In uno speciale simposio, National Interest ha chiesto a un gruppo di commentatori e specialisti se in Iraq si può parlare di "successo" o "fallimento". E fino a che punto il "successo" è raggiungibile, e in che termini? E che impatto avrebbe un "fallimento", avvertito come tale, sugli obiettivi e sugli interessi americani nella regione e nel mondo? E, infine, determinare il "successo" e il "fallimento" dipenderà ancora dagli Stati Uniti?
Per le repliche di Tommy Franks, Stephen Biddle, Peter Charles Choharis, John M. Owen IV, Gary Rosen e Dov S. Zakheim si veda la pagina web www.nationalinterest.org/PrinterFriendly.aspx?id=12988
Giudicare la spedizione irachena come un successo o un fallimento dipende quasi esclusivamente dai punti di vista degli americani – e non da quelli degli iracheni o degli altri partner della coalizione o di chiunque altro. Pertanto, lasciamo che siano gli americani a dibattere la questione. Qui di seguito la mia opinione.
È stato giusto prevenire Saddam Hussein prima che egli potesse opprimere ulteriormente gli iracheni, invadere un altro paese, utilizzare armi chimiche e costruire armi nucleari. Il mondo è un luogo migliore con questo abominevole teppista in carcere e che non tiranneggia nei suoi "palazzi presidenziali".
Insieme alla facile e rapida vittoria su Saddam Hussein, l'amministrazione Bush ha commesso un grave errore concettuale: suscitare delle aspettative a breve termine troppo alte. Bastava solo nominare l'Operazione militare Iraqi Freedom per pensare che fosse possibile dar vita a un Iraq palpitante, prospero, aperto e tranquillo che qualsiasi altra cosa meno di questo risultato sarebbe stata un fallimento. Parlare di un Iraq "libero e prospero" che fungesse da modello regionale ha appioppato delle ambizioni agli iracheni che questi ultimi – venendo solo adesso fuori da un incubo totalitario durato trenta anni – non avrebbero potuto soddisfare.
A Washington è cresciuta la frustrazione, dal momento che gli iracheni non sono riusciti a svolgere il ruolo loro assegnato. Cadendo sempre più nella trappola che si è costruita con le proprie mani, l'Amministrazione americana ha assecondato quelle ambizioni impantanandosi nelle minuzie interne irachene come sanare i conflitti intertribali, ripristinare l'erogazione di luce ed acqua, e impegnarsi a scrivere la Carta costituzionale.
Se la coalizione condotta dagli Stati Uniti avesse nutrito delle ambizioni minori limitandosi ad ambire a un governo e ad un'economia adeguati, pur continuando a lavorare lentamente a un processo di democratizzazione, negli ultimi quattro anni il progresso iracheno sarebbe stato più palese. Per mettere al sicuro il paese e riuscire a trasportarlo verso un processo politico aperto, le forze di occupazione avrebbero dovuto patrocinare un uomo forte favorevole alla democrazia. E questo approccio avrebbe avuto il beneficio di tenere fuori dall'esercizio del potere gli islamisti, nel loro momento di massima popolarità e di maggior fascino elettorale
Il messaggio fondamentale che la coalizione avrebbe dovuto lanciare agli iracheni sarebbe dovuto essere il seguente: "Siete adulti. Rieccovi il vostro paese e buona fortuna". Occorreva trasferire stanziamenti iniziali e ridislocare le forze di coalizione nel deserto assegnando loro un mandato chiaramente definito: difendere i confini internazionali dell'Iraq, garantire la sicurezza delle esportazioni di gas e petrolio, cercare Saddam Hussein e i suoi scagnozzi e prevenire il perpetrarsi di atrocità su larga scala.
Questi punti continuano ad essere rilevanti come approcci del 2007. L'Amministrazione americana può ancora articolare il dibattito in funzione degli interessi statunitensi e non di quelli iracheni. Ciò è in grado di contrapporre l'Iraq odierno a un modello totalitario di ieri piuttosto che a un potenziale modello futuro. Ciò è in grado di prendere le distanze dal destino dell'Iraq ricordando al mondo che sono gli iracheni ad essere responsabili della loro sorte.
Ma l'Amministrazione americana non dà segno di smorzare le proprie ambizioni in Iraq e di fare marcia indietro dalle linee sostenute. Se essa dovesse rimanere fedele ai suoi obiettivi irrealisticamente alti, temo che allora si profilerà un fallimento. Le conseguenze di questo fallimento, come in Vietnam, saranno essenzialmente di natura interna, con i conservatori e i liberal che torneranno alle loro posizioni di combattimento antecedenti all'amministrazione Reagan e con gli Stati Uniti che torneranno ad essere ciò che Richard Nixon nel 1970 qualificò come uno status di "gigante ridicolo e impotente".