Truffa, inganno, farsa e voto cosmetico. Sono questi i termini che ricorrono di più nei commenti alle elezioni presidenziali da parte degli analisti americani di affari iraniani. «Nei risultati c'è qualcosa che non va - osserva Patrick Clawson, direttore del dipartimento ricerche del «Washington Institute» - e sono i pochi voti raccolti dal riformista Mostafa Moin a fronte di un'affluenza oltre il 60 per cento, proprio come l'ayatollah Khamenei aveva auspicato alla vigilia, mentre tutti gli osservatori erano d'accordo sul fatto che Moin sarebbe stato favorito se i votanti fossero andati oltre la quota del 20 per cento».
Michael Ledeen, portavoce da tempo all'«American Enterprise Institute» di un maggiore sostegno ai gruppi dell'opposizione interna, va oltre ripercorrendo che cosa è avvenuto nella notte del voto: «Alle 3 del mattino Moin era in testa, alle 4 erano spariti un milione di voti ed in testa c'era finito l'ex sindaco di Teheran, Mahmoud Ahmedinejad». Come dire, è stata una truffa. Clawson parla di «frode», Ledeen puntualizza «farsa» perché «gli ayatollah questa volta sono stati patetici, hanno fatto vedere in televisione immagini di persone che votavano con indosso cappotti pesanti come avvenuto alle passate elezioni ma spacciandoli per votanti di adesso in piena estate, non a caso alla radio iraniana è arrivata la telefonata di una signora che si è vista votare in tv mentre questa volta alle urne non c'è andata, tutto ciò è ridicolo».
Daniel Pipes, direttore dell' Istituto americano per la Pace di Washington, osserva che «in questa occasione le voci di frodi sono davvero tante», usa l'espressione «voto cosmetico» e guardando al risultato ufficiale con la prospettiva del duello al secondo turno fra Hashemi Rafsanjani e l'ex sindaco di Teheran Mahmoud Ahmedinejad ritiene che «non importa troppo chi alla fine uscirà vincitore». Ecco il perché: «Chiunque prevarrà non avrà in realtà alcun tipo di potere, come è stato per Mohammed Khatami nel recente passato, gli organi che detengono il vero potere in Iran, ovvero il Consiglio dei Guardiani e l'ayatollah Alì Khamenei, non sono soggetti ad elezioni per questo la democrazia non è reale ma fittizia, la gente può votare solamente per chi non conta nulla, il presidente della Repubblica o altre autorità locali». C'è sintonia fra Clawson, Ledeen e Pipes anche sull'immagine che il regime degli ayatollah ha dato di sè manipolando il voto.
«Al massimo ha votato il 12 o 13 per cento della popolazione - dice Ledeen - ciò significa che gli ayatollah sono divisi, non sono riusciti a mobilitare la popolazione nè a convogliare le preferenze su un unico candidato». «Il personaggio emergente è l'ex sindaco di Teheran - aggiunge Clawson - che è un vero e proprio protofascista perché è ostile al capitalismo, favorevole ad un massiccio ruolo dello Stato ed alla mobilitazione costante di grandi masse» e ciò lascia supporre una «degradazione interna del sistema di potere». «L'Iran si presenta al mondo con una leadership senza legittimità - osserva Pipes - e l'unica strada per restituire la sovranità ai cittadini è un referendum popolare per cambiare la Costituzione che rende possibile al Consiglio dei Guardiani di governare in maniera teocratica». Era stato il presidente americano, George W. Bush, a definire le elezioni «oppressive e ingiuste» alla vigilia dell'apertura dei seggi mentre il Segretario di Stato, Condoleezza Rice, ha preannunciato la lettura dei risultati affermando: «I nuovi eletti dovranno dimostrare con i fatti se continueranno ad essere in contraddizione con il resto della comunità internazionale su profilerazione nucleare, sostegno al terrorismo e mancanza del rispetto dei diritti umani e civili».
All'amministrazione Usa Mohsen Sazegara, ex fondatore dei pasdaran oggi a Washington, fa una richiesta: «Non bisogna riconoscere il nuovo presidente perchè è illegittimo». D'accordo Mark Dubowitz, della Fondazione per la difesa delle democrazie, secondo cui «la democrazia iraniana è vergognosa, Europa e Stati Uniti devono unirsi per non riconoscere la legittimità delle elezioni fino a quando l'opposizione non potrà manifestare liberamente nelle piazze».