Non si può rimarcare troppo la distinzione tra l'Islam puro e la sua versione fondamentalista. L'Islam è la religione di circa un miliardo di persone ed è una fede che sta rapidamente diffondendosi, specie in Africa, ma anche ovunque nel mondo. Gli Stati Uniti, ad esempio, vantano quasi un miliardo di convertiti all'Islam (oltre a un copioso numero di immigranti musulmani).
I fedeli dell'Islam ritengono che il proprio credo sia profondamente affascinante, poiché la religione possiede una forza interiore che è del tutto straordinaria. Come afferma un'importante figura della Repubblica islamica dell'Iran: "Ogni occidentale che comprende realmente l'Islam invidierà il modo di vivere dei musulmani". Lungi dal sentirsi imbarazzati del fatto di essere l'ultima in ordine di tempo delle tre grandi religioni monoteistiche del Medio Oriente, i musulmani ritengono che la loro fede potenzia le precedenti. A detta dei musulmani, il giudaismo e il cristianesimo non sono che delle imperfette varianti dell'Islam, che è l'inoppugnabile e perfetta religione di Dio.
La memoria degli eccezionali successi conseguiti nei primi sei secoli circa dell'Islam contribuisce a questa fiducia interiore. La sua cultura era la più avanzata e i musulmani godevano di una migliore salute, vivevano più a lungo, avevano il più alto grado di alfabetizzazione, promuovevano le più avanzate ricerche tecniche e scientifiche e dispiegavano armate vittoriose. Questo modello di successo era evidente sin dall'inizio: nel 622 il Profeta Maometto abbandonò la Mecca da profugo per farvi ritorno solo otto anni dopo da governante. Fin dal 715 i conquistatori musulmani avevano messo insieme un impero che si estendeva dalla Spagna, in Occidente, all'India, in Oriente. Essere un musulmano significa appartenere a una civiltà vincente. Non sorprende che i musulmani arrivino a supporre l'esistenza di una correlazione tra la loro fede e il successo che hanno ottenuto a livello mondiale, e a considerarsi i favoriti di Dio tanto nelle questioni spirituali quanto in quelle materiali.
Eppure, nell'era moderna scarseggiano alquanto di benessere e vittorie sul campo di battaglia. Anzi, dal secolo XIII erano già percepibili l'atrofia dell'Islam e l'avanzata della cristianità. Ma per più di cinque secoli i musulmani rimasero in gran parte ignari degli straordinari sviluppi che stavano avendo luogo a nord di dove si trovavano. Ibn Khaldun, il famoso intellettuale musulmano, scriveva intorno al 1400 riguardo l'Europa: "Apprendo che parecchi sviluppi stanno avendo luogo nella terra dell'ignoto, ma Dio solo sa ciò che accade lì!".
Una simile ignoranza ostinata rese i musulmani vulnerabili quando non poterono più ignorare ciò che stava accadendo intorno a loro. Probabilmente il più clamoroso allarme arrivò nel luglio 1798, quando Napoleone Bonaparte sbarcò in Egitto – cuore del mondo musulmano – e lo conquistò con sbalorditiva facilità. Altri assalti seguirono nel secolo successivo, e anche dopo, e ben presto la maggior parte dei musulmani si trovò a vivere sotto il governo europeo. Un senso di incomprensione si diffuse tra i musulmani, quando la loro forza e influenza scemarono. Cosa era andato male? Che avevano fatto di sbagliato? Perché sembrava che Dio li avesse abbandonati?
Il trauma dell'Islam moderno deriva da questo netto e palese contrasto tra i successi medievali e le più recenti tribolazioni. Detto con parole semplici, i musulmani vissero un periodo estremamente difficile, per spiegare ciò che andò storto. Né il trascorrere del tempo rese questo compito più semplice, perché ancora sussistono le medesime circostanze fondamentalmente infelici. Qualunque parametro si impieghi, i musulmani ricoprono le ultime posizioni – se misurate in termini di valenza militare, di stabilità, di politica, di sviluppo economico, di corruzione, di diritti umani, di salute, di longevità e di alfabetizzazione. Come Anwar Ibrahim, ex primo ministro della Malesia che adesso langue in prigione, asserisce in The Asian Renaissance (1997): sebbene i musulmani siano solo un quinto della popolazione mondiale, essi costituiscono oltre la metà di 1,2 miliardi di persone che vivono nella più nera miseria. Il mondo islamico odierno è pertanto pervaso da un dilagante senso di debilitazione e di abuso. Come affermava non molto tempo fa l'imam di una moschea di Gerusalemme: "Prima noi eravamo i padroni del mondo e adesso non siamo neppure i padroni delle nostre stesse moschee".
Nel ricercare una spiegazione alla loro difficile situazione, i musulmani trovarono tre risposte politiche alla modernità: il secolarismo, il riformismo e l'islamismo. Il primo dei tre ritiene che il progresso musulmano sia possibile solo se si emula l'Occidente. È vero, i secolaristi ammettono che l'Islam è un retaggio prezioso e apprezzato, ma la sua dimensione pubblica va messa da parte. In particolare, si dovrebbe rinunciare in toto alla sacra legge dell'Islam (chiamata Shari'a) – che regola il sistema giuridico, le modalità con cui i musulmani stabiliscono di entrare in guerra e la natura delle interazioni sociali che intercorrono tra uomini e donne. Il paese secolare per eccellenza è la Turchia, dove Kemal Attatürk, tra il 1923 e il 1928, rimodellò e modernizzò una società nella stragrande maggioranza musulmana. Tuttavia, nell'insieme il secolarismo ricopre una posizione minoritaria tra i musulmani, e perfino in Turchia è sotto assedio.
Il riformismo, occupando una torbida via di mezzo, offre una risposta più popolare alla modernità. Mentre il secolarismo chiede esplicitamente di imparare dall'Occidente, il riformismo se ne appropria in maniera selettiva. Il riformista afferma: "Guardate l'Islam, è sostanzialmente compatibile con le usanze occidentali. È solo che noi abbiamo perso le tracce dei nostri successi che l'Occidente ha sfruttato. Dobbiamo adesso ritornare alle nostre usanze adottando quelle occidentali". Per arrivare a questa conclusione, i riformatori rileggono i testi sacri islamici in un'ottica occidentale. Ad esempio, il Corano permette che un uomo abbia quattro mogli, a condizione che egli le tratti equamente. Tradizionalmente e in un modo del tutto logico, i musulmani hanno interpretato questo versetto come un permesso per un uomo di prendere quattro mogli. Ma poiché in Occidente è permessa una sola moglie, i riformisti hanno forzato la mano e hanno interpretato il versetto in modo nuovo. Il Corano, essi sostengono, vuole che un uomo tratti le proprie mogli con equanimità, il che è chiaramente qualcosa che nessun uomo è in grado di fare, se ha più di una sposa. Pertanto, essi concludono che l'Islam proibisce di avere più di una consorte.
I riformisti applicano questa specie di ragionamento generale. Ad esempio, essi ribattono che i musulmani non dovrebbero sollevare obiezioni alla scienza, poiché essa è per la verità musulmana. Essi rammentano che il termine algebra deriva dall'arabo al-jabr. Essendo l'algebra l'essenza della matematica e la matematica l'essenza della scienza, tutta la scienza moderna e la tecnologia discendono così dal lavoro fatto dai musulmani. Così non c'è motivo di fare a meno della scienza occidentale; piuttosto occorre in primo luogo correggere ciò che l'Occidente ha preso (o trafugato). In un caso dopo l'altro, e a vari livelli di credibilità, i riformisti si appropriano degli usi occidentali fingendo di attingere al loro stesso retaggio. Allora, l'obiettivo dei riformisti è quello di imitare l'Occidente senza prendersi la briga di conoscerlo a fondo. Nonostante il fallimento a livello intellettuale, il riformismo funge bene da strategia politica.
La Reazione Ideologica
L'islamismo è la terza reazione al trauma moderno, e su ciò focalizzeremo l'attenzione del resto del saggio. L'islamismo annovera tre caratteristiche principali: una devozione alla legge sacra, un rifiuto delle influenze occidentali e la trasformazione della fede in ideologia.
L'islamismo reputa che i musulmani si trascinino dietro all'Occidente poiché non sono dei buoni musulmani. Recuperare la gloria perduta comporta un ritorno alle vecchie usanze, possibile solo se si vive in pieno accordo alla Shari'a. Se i musulmani lo facessero, sarebbero ancora una volta i padroni del mondo, come un millennio fa. Ciò, tuttavia, non è un compito facile, poiché la legge sacra annovera una gran quantità di disposizioni che riguardano ogni aspetto della vita, molte delle quali contrarie alle consuetudini moderne. (La Shari'a assomiglia un po' alla legge ebraica, ma nulla di simile esiste nel cristianesimo.) Di conseguenza, essa vieta l'usura o la riscossione di interessi monetari, che ha profonde ed evidenti conseguenze per la vita economica. La Shari'a invita a tagliare le mani dei ladri, il che va contro ogni sensibilità moderna, come il suo imperativo che le donne indossino il velo e che viga l'apartheid sessuale. L'islamismo non solo impone l'applicazione di queste leggi, ma esige un'applicazione più rigorosa che mai. Prima del 1800, gli interpreti della Shari'a la ammorbidirono alquanto. Ad esempio, essi idearono un metodo grazie al quale raggirare il divieto di riscuotere gli interessi monetari. I fondamentalisti rifiutano simili modifiche, esigendo invece che i musulmani applichino la Shari'a in modo rigoroso e nella sua totalità.
Nel loro tentativo di costruire uno stile di vita basato puramente sulle leggi della Shari'a, gli islamisti tendono a rifiutare ogni aspetto dei costumi che risentono dell'influenza occidentale, ricusano la filosofia, le istituzioni politiche e i valori. Nonostante questi tentativi, essi continuano ad assimilarne grosse quantità, e incessantemente, dall'Occidente. Da un lato, essi hanno bisogno della tecnologia moderna, specie delle sue applicazioni in campo medico e militare. Dall'altro, essi stessi tendono ad essere degli individui moderni e, pertanto, sono molto più occidentalizzati di quanto desiderino essere o di quanto possano ammettere. Così, pur se l'ayatollah Khomeini, che era il più tradizionalista della maggior parte degli islamisti, tentò di costituire un governo sulla base dei puri principi dell'Islam sciita, egli finì con il dar vita a una repubblica basata sua una Costituzione che rappresenta una nazione attraverso le decisioni di un Parlamento, a sua volta scelto dagli elettori tramite delle elezioni popolari, secondo i dettami occidentali. Un ulteriore esempio dell'influenza esercitata dall'Occidente è rappresentato dal venerdì, che nell'Islam non è considerato un giorno di riposo, ma di aggregazione, e che oggi rappresenta l'equivalente musulmano di un sabato ebraico. In modo simile, le leggi islamiche non vanno applicate a tutti coloro che vivono all'interno di un territorio geografico, ma solo ai musulmani; tuttavia, gli islamisti ritengono che le leggi abbiano un carattere territoriale (come scoprì molto tempo fa un prete italiano che viveva in Sudan, quando subì la pena della fustigazione per detenzione di alcol). Così facendo, l'islamismo si appropria furtivamente dell'Occidente, pur negandolo.
Probabilmente il più importante di questi prestiti è l'emulazione delle ideologie occidentali. Il termine "islamismo" è ragguardevole e accurato poiché esso indica che questo fenomeno è una "dottrina" paragonabile alle altre ideologie del XX secolo. In realtà, l'islamismo rappresenta una versione di sapore islamico delle idee utopistiche radicali del nostro tempo, che seguono il Marxismo-Leninismo e il fascismo. L'islamismo istilla una vasta gamma di idee politiche ed economiche legate all'Occidente in seno alla religione dell'Islam. Come asserisce un islamista, appartenente ai Fratelli Musulmani d'Egitto: "Non siamo né socialisti né capitalisti, bensì siamo dei musulmani"; un musulmano della vecchia leva avrebbe detto: "Non siamo né ebrei né cristiani, bensì siamo dei musulmani".
Gli islamisti considerano la loro appartenenza all'Islam innanzitutto come una forma di devozione politica; perciò, nonostante i musulmani siano solitamente pii, non occorre che loro lo siano. Pare infatti che parecchi islamisti siano alquanto empi. Ad esempio, Ramzi Yousef, l'ideatore dell'attentato dinamitardo del 1993 contro il World Trade Center di New York, aveva una ragazza quando viveva nelle Filippine, e "amava andare a divertirsi nei bar, nei locali di spogliarello e di karaoke di Manila, a flirtare con le donne". In base a ciò e ad altre indicazioni che rivelarono una condotta licenziosa, il suo biografo, Simon Reeve, mise insieme "delle prove alquanto esigue per ritrarre Yousef come un guerriero religioso". L'agente dell'FBI incaricato di condurre le indagini su Yousef arrivò alle conclusioni che "lui si celava dietro il pretesto dell'Islam".
A un livello più ambizioso, in una lettera scritta a Michael Gorbachev all'inizio del 1989 quando l'Unione Sovietica stava rapidamente crollando, l'ayatollah Khomeini fece allusione alla mancanza di fede da parte degli islamisti. Il leader iraniano presentò il suo governo come modello da seguire: "Ho apertamente detto che la Repubblica islamica dell'Iran, quale base maggiore e più potente del mondo islamico, è in grado di aiutarvi a colmare il vuoto ideologico del vostro sistema". In questo contesto, Khomeini sembrava lasciare intendere che i sovietici avrebbero dovuto dirigersi verso l'ideologia islamista convertendosi all'Islam, quasi a sembrare un ripensamento epocale.
Contrariamente alla sua fama, l'islamismo non è di lunga data; come un'ideologia coeva esso non offre i mezzi per tornare ad alcuni modi di vita all'antica, ma per governare le insidie della modernizzazione. Con alcune eccezioni (in particolar modo i talebani, in Afghanistan), gli islamisti abitano in città provando a confrontarsi con i problemi legati alla vita urbana moderna e non con quelli della gente che vive in campagna. Pertanto, i problemi della carriera lavorativa delle donne vengono largamente dibattuti dagli islamisti. Ad esempio, come deve comportarsi una donna che deve viaggiare su dei mezzi di trasporto pubblici affollati per proteggersi dai palpeggiamenti? Gli islamisti hanno la risposta pronta: deve coprirsi il corpo e il volto e far capire, indossando indumenti di foggia islamica, di non essere abbordabile. In linea di massima, essi offrono alle persone moderne un complessivo e alternativo modo di vita, che rifiuta in toto la cultura popolare, il consumismo e l'individualismo a favore di un totalitarismo basato sulla fede.
Deviazioni dalla Tradizione
Sebbene a volte l'islamismo venga considerato come una forma dell'Islam tradizionale, esso è qualcosa di molto diverso. L'Islam tradizionale cerca di insegnare agli uomini come vivere in accordo con la volontà divina, laddove l'islamismo aspira a creare un nuovo ordine. Il primo è sicuro di sé, il secondo sta sulla difensiva. L'uno enfatizza gli individui, l'altro le comunità. Il primo è un credo personale, il secondo un'ideologia politica.
La distinzione si acutizza se si paragonano i due tipi di leader. I tradizionalisti portano a termine uno statico e lungo ciclo di apprendimento in cui studiano un immenso corpo di informazioni e assimilano le verità islamiche, come fecero i loro antenati secoli prima. La loro fede rivela oltre un millennio di dibattiti tra studiosi, giuristi e teologi. I leader islamisti, al contrario, tendono ad essere ben istruiti nel settore scientifico, ma non nell'Islam. Nei primi anni dell'età adulta, essi affrontano le problematiche nelle quali la loro preparazione moderna mostra delle lacune, pertanto si dedicano all'Islam. Nel farlo, ignorano del tutto l'intero corpus del sapere islamico e interpretano il Corano a loro piacimento. Da autodidatti, abbandonano le tradizioni e applicano le loro (moderne) sensibilità agli antichi testi, fornendo una versione stranamente protestante dell'Islam.
Il mondo moderno delude e disturba i tradizionalisti che hanno ricevuto un'istruzione relativa ad argomenti antiquati, non hanno studiato le lingue dei paesi occidentali, né hanno vissuto in Occidente ovvero hanno conosciuto a fondo i suoi segreti. Ad esempio, i tradizionalisti di rado sanno come utilizzare la radio, la televisione ed Internet per diffondere il loro messaggio. Al contrario, i leader islamisti parlano solitamente le lingue occidentali, spesso vivono all'estero e tendono ad essere esperti in tecnologia. Su Internet vi sono centinaia di siti islamisti. Francçois Burgat e William Dowell osservano questo contrasto nel loro libro The Islamist Movement in North Africa (1993):
Il saggio della comunità, che è vicino all'establishment religioso e sa poco della cultura occidentale (della quale ricusa a priori la tecnologia) non va confuso con il giovane che studia le materie scientifiche a lui familiari e delle quali è in grado di servirsi a certi livelli. Il tradizionalista rigetterà la televisione, temendo il devastante modernismo di cui essa è apportatrice; gli islamisti esigono un crescente numero di televisori…una volta ottenuto il controllo dei programmi televisivi.
Ma la cosa più importante è che i tradizionalisti temono l'Occidente, mentre gli islamisti sono impazienti di lanciargli una sfida. L'ex mufti dell'Arabia Saudita, `Abd al-`Aziz Bin-Baz, fu un esempio della timorosa vecchia guardia. Nell'estate del 1995, egli ammonì i giovani sauditi a non recarsi in Occidente a trascorrere le loro vacanze giacché "c'è un veleno mortale nel viaggiare nella terra degli infedeli, e i nemici dell'Islam hanno predisposto dei piani per allettare i musulmani ad abbandonare la loro religione, per istillare dei dubbi in merito alle loro convinzioni e per propagare la sedizione tra di loro". Egli esortò i giovani a trascorrere le vacanze estive "al sicuro" nelle località turistiche del loro paese.
Gli islamisti non sono del tutto insensibili alla paura di questi pericoli, di tali lusinghe, ma ambiscono a sottomettere l'Occidente, cosa di cui parlano apertamente senza farne mistero al mondo intero. Il più rozzo tra loro desidera semplicemente uccidere gli occidentali. Un tunisino condannato per aver fatto esplodere delle bombe in Francia tra il 1985 e il 1986, uccidendo tredici persone, si rivolse così al giudice che si occupava del caso: "Non rinuncio alla mia lotta contro l'Occidente che assassinò il profeta Maometto… Noi musulmani dovremmo uccidervi [voi occidentali] uno per uno fino all'ultimo". Altri islamisti intendono espandere l'Islam all'Europa e all'America, ricorrendo alla violenza, se necessario. Un imam stanziato ad Amsterdam dichiarò a un programma televisivo turco: "Dovete uccidere coloro che si oppongono all'Islam, all'ordine dell'Islam o ad Allah, e al suo Profeta; dovete impiccarli o farli a pezzi dopo aver cercato di far loro incrociare le mani e i piedi… come prescritto dalla Shari'a". Un gruppo terroristico algerino, il GIA, nel 1995 diffuse un comunicato in cui veniva mostrata la Torre Eiffel all'atto di esplodere e pieno di minacce del tipo:
Continuiamo con tutte le nostre forze a muovere i passi in direzione della jihad e degli attacchi militari, e questa volta nel cuore della Francia e delle sue città maggiori… È una promessa che [i francesi] non dormiranno più sonni tranquilli né conosceranno più quiete e che l'Islam entrerà in Francia, piaccia loro o meno.
Gli islamisti più moderati desiderano utilizzare i mezzi non violenti per trasformare i paesi ospiti in Stati islamici. Secondo loro, la chiave sta nella conversione. Un eminente pensatore musulmano che vive in America, Isma'il R. Al-Faruqi, ha espresso questo modo di pensare in forma alquanto poetica: "Niente potrebbe essere più grande di questo giovane, vigoroso e ricco continente [il Nord-America] se voltasse il capo al suo malvagio passato e marciasse avanti sotto il vessillo di Allahu Akbar [Dio è grande]".
Questo contrasto non solo implica che l'islamismo, a differenza della tradizionale fede, minaccia l'Occidente, ma esso suggerisce altresì il motivo per il quale i musulmani, che spesso sono le prime vittime dell'islamismo, mostrano disprezzo per l'ideologia. Naguib Mahfouz, premio Nobel egiziano per la letteratura, così commentò dopo essere stato pugnalato al collo da un islamista: "Prego Dio che la polizia riesca a vincere il terrorismo e che l'Egitto venga purificato da questo male, per il bene del popolo, della libertà e dell'Islam". Tujian Faysal, una parlamentare giordana, definisce l'islamismo come "uno dei maggiori pericoli che la nostra società deve fronteggiare" e lo paragona a "un cancro" che "va asportato chirurgicamente". Cevik Bir, una delle figure che ebbero un ruolo chiave nel porre fine al governo islamista turco nel 1997, dichiara seccamente che nel suo paese "il fondamentalismo musulmano rimane il nemico numero uno". Se i musulmani lo ritengono tale, non per questo non possono essere considerati dei fedeli islamici; essere contrari all'islamismo non significa affatto essere contrari all'Islam.
L'islamismo nella Pratica
Parimenti agli altri ideologi radicali, gli islamisti considerano lo Stato come il mezzo principale per promuovere i loro programmi. Ma, poiché il loro piano è difficilmente realizzabile, si servono proprio delle leve statali per soddisfare i loro fini. Per ottenere ciò, spesso gli islamisti sono a capo dei partiti di opposizione (Egitto, Turchia, Arabia Saudita) o acquistano un importante potere (Libano, Pakistan, Malesia). La loro tattica è talvolta omicida. A partire dal 1992, una rivolta islamista ha causato in Algeria 70.000 morti.
E quando gli islamisti assumono il potere come in Iran, in Sudan e in Afghanistan, il risultato è sempre disastroso. Il declino economico ha immediatamente inizio. L'esempio più singolare è rappresentato dall'Iran, dove da venti anni lo standard di vita ha subito un pressoché inesorabile declino. I diritti dei singoli vengono trascurati, come è dimostrato in modo spettacolare dalla riaffermazione dello stato di schiavitù in Sudan. La repressione delle donne è un'esigenza assoluta, una pratica di cui si fa clamorosamente mostra in Afghanistan, dove esse sono state escluse ad opera dei talebani dalle scuole e dalle attività lavorative.
Uno Stato islamista è, quasi per definizione, uno stato canaglia, che non rispetta nessuna regola se non quelle dettate dall'opportunismo e dal potere, un'istituzione crudele che genera miseria sia all'interno che all'esterno del paese. Quando gli islamisti sono al potere significa che i conflitti proliferano, che la società è militarizzata, che gli arsenali aumentano e che il terrorismo diventa uno strumento di Stato. Non è un caso che l'Iran abbia ingaggiato la più lunga guerra convenzionale del XX secolo (dal 1980 al 1988 contro l'Iraq) e che sia il Sudan che l'Afghanistan sono in preda ad annose guerre civili che durano da decenni e che non tendono a finire. Gli islamisti reprimono i musulmani moderati e trattano coloro che non sono musulmani come degli essere inferiori. Gli apologeti dell'islamismo amano vedere in esso una forza per la democrazia, ma ciò ignora il modello chiave in base al quale, come fa notare Martin Kramer, "può darsi che gli islamisti raggiungano delle posizioni meno militanti se vengono esclusi dal potere... La debolezza modera gli islamisti". Il potere ha l'effetto contrario.
Da oltre un quarto di secolo, l'islamismo è in ascesa. I suoi innumerevoli successi non dovrebbero però essere considerati come prova del fatto che esso gode di un vasto consenso. Una ragionevole stima ritiene che il 10% dei musulmani segue l'approccio islamista. Piuttosto, il potere esercitato dagli islamisti sta a indicare che essi sono una minoranza molto impegnata, capace e ben organizzata. Un po' come i quadri del Partito Comunista, essi compensano l'esiguità numerica con l'attivismo e la risolutezza.
Gli islamisti provano un profondo antagonismo nei confronti di coloro che non sono musulmani, in generale, e degli ebrei e dei cristiani, in particolare. Disprezzano l'Occidente, in un modo nuovo, sia a causa della sua immensa influenza culturale sia perché la cristianità rappresenta una tradizionale antagonista o una vecchia rivale. Alcuni islamisti hanno imparato a moderare i loro punti di vista per non turbare le platee occidentali, ma l'inganno è inconsistente e non dovrebbe abbindolare nessuno.