Il documento completo è stato presentato alla "Conferenza sui punti di vista di Stati Uniti e Turchia in merito al Medio Oriente", tenutasi nell'ottobre 1984, co-sponsorizzata dalla Heritage Foundation e dal Foreign Policy Institute (Ankara).
Per una versione sintetica, si veda "La Turchia non è in Europa", cap. 13 di The Middle East in Turkish-American Relations: Report of a Heritage Foundation Conference, October 3-4, 1984, curato da George S. Harris (Washington: The Heritage Foundation, 1985), pp. 81-83. Titolo originale: "Options and Restraints for U.S. Policy in the Middle East: The Turkish Dimension" ("Opzioni e restrizioni per la politica statunitense in Medio Oriente: la dimensione turca").
La maggior parte delle analisi della politica estera degli Stati Uniti da parte degli accademici tendono a condividere un tono negativo e altezzoso, il che sembra implicare che l'autore, se solo fosse al potere, otterrebbe molto di più degli incapaci che prendono le decisioni. Nel caso in cui anch'io assuma un po' di quel tono, è importante che inizi questa indagine sulla politica degli Stati Uniti in Medio Oriente con una dichiarazione di apprezzamento: pur rilevando che le politiche degli ultimi anni potrebbero essere migliorate, sono colpito dal loro risultato complessivo. Oltre a questo, vorrei osservare che gli Stati Uniti hanno avuto più successo in Medio Oriente di qualsiasi altra potenza esterna. Oppure, in un contesto diverso, occorre rilevare che gli sforzi diplomatici americani nel conflitto arabo-israeliano dal 1973 in poi sono senza dubbio i più straordinari compiuti in due secoli di storia di questo secolo [1].
Detto questo, le seguenti osservazioni vengono fatte in modo costruttivo, nello spirito di migliorare ulteriormente, e non di demolire, un record di successi.
La schizofrenia è il più grande ostacolo a un'efficace politica americana in Medio Oriente. I sintomi di questa afflizione sono evidenti nel modo in cui il governo americano si occupa del Medio Oriente. Approccia Paesi come la Turchia e l'Afghanistan preoccupandosi solo della minaccia sovietica; lì, le questioni locali scompaiono dalla visione americana. In altre nazioni, inclusi i Paesi Arabi, Israele e l'Iran, Washington considera soltanto le questioni locali e, la questione tra Oriente e Occidente passa in secondo piano. Questo doppio squilibrio è alla base di molte delle carenze presenti nella politica americana in Medio Oriente.
Dove predomina il conflitto tra Oriente e Occidente
Vedere la Turchia e l'Afghanistan esclusivamente attraverso il prisma delle relazioni con l'Unione Sovietica rende ciechi gli americani di fronte a molti altri sviluppi in questi Paesi, inclusi quelli che riguardano direttamente i loro interessi.
La Turchia. Nei Dipartimenti di Stato, Difesa e Tesoro, nella Central Intelligence Agency e nel National Security Council, gli affari turchi non sono gestiti, come un estraneo potrebbe immaginare, dagli uffici che si occupano del Medio Oriente. Piuttosto, la Turchia rientra nella competenza degli uffici responsabili dell'Unione Sovietica, dell'Europa e del Canada. Più di ogni altro fattore, questo assetto istituzionale ha l'effetto di rendere visibile la Turchia, principalmente, in riferimento all'Unione Sovietica.
Il motivo che induce a portare la Turchia fuori dal Medio Oriente e farla diventare parte dell'Europa è abbastanza chiaro: dal punto di vista americano, l'adesione della Turchia all'Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico mette completamente in ombra le sue altre attività. Questo trasferimento ha il pregio di far uscire la Turchia dalla confusione che caratterizza la politica americana nel cuore del Medio Oriente, portandola nell'arena principale della politica estera americana. Ma questo vantaggio si acquista ad un prezzo: vedere la Turchia come parte dell'Europa significa isolarla dagli affari della sua vera regione, il Medio Oriente. Nonostante sia un punto d'appoggio nei Balcani, ciononostante l'adesione alla NATO e la partecipazione al Consiglio d'Europa, la Turchia non è proficuamente intesa come parte dell'Europa. Culturalmente, religiosamente, politicamente, economicamente ha molto di più in comune con i Paesi del Medio Oriente.
La preoccupazione per il ruolo della Turchia nel conflitto tra Oriente e Occidente induce gli americani a trascurare la crescente importanza assunta negli ultimi anni dal Medio Oriente nella politica turca. Ci sono molte ragioni dietro questo ri-orientamento: una reazione contro le politiche occidentalizzanti dei primi decenni della Repubblica, l'alienazione dalla politica europea, la comparsa dell'Islam fondamentalista nella vita turca, la maggiore ricchezza e potere di alcuni Stati mediorientali, i fiorenti scambi commerciali con i Paesi esportatori di petrolio e il massiccio impiego di manodopera turca di immigrati.
Il ruolo maggiore del Medio Oriente crea nuovi problemi per la Turchia. Le rivendicazioni siriane sulla provincia turca di Hatay, che hanno turbato le relazioni turco-siriane per 45 anni, acquisiscono maggiore importanza. L'oleodotto che attraversa la Turchia dall'Iraq al Mediterraneo assume una rilevanza fondamentale nella guerra tra Iran e Iraq. In relazione a questo, le truppe turche si sono impegnate due volte nell'inseguimento dei ribelli curdi in territorio iracheno [2]. Le relazioni turche con Israele degenerano poiché Ankara pone meno attenzione alle preoccupazioni dell'Occidente e considera più importanti quelle dei suoi vicini del Medio Oriente.
Il crescente coinvolgimento della Turchia nella politica mediorientale crea il potenziale per la cooperazione americana e turca in Medio Oriente: ciò appare più fruttuoso con riferimento ai conflitti arabo-israeliano e iracheno-iraniano. In entrambi i casi, le buone relazioni della Turchia con le due parti della controversia ben le giovano a livello diplomatico.
La Turchia ha una posizione unica per quanto riguarda la disputa arabo-israeliana. Gli israeliani si ricordano che per tre decenni la Turchia è stato l'unico Stato del Medio Oriente a mantenere con essi pieni rapporti diplomatici. I leader arabi vedono nella Repubblica turca uno Stato musulmano amico che ha aperto la strada verso la modernizzazione, tenendosi allo stesso tempo in disparte dai litigi regionali. Se i leader turchi offrissero le loro sedi per ospitare la diplomazia arabo-israeliana (come la Romania e il Marocco hanno fatto con successo in passato), potrebbero svolgere un servizio importante. Per avere il massimo impatto, Questi sforzi potrebbero essere fatti in collaborazione con gli Stati Uniti.
Ankara ha un ruolo potenzialmente ancora più utile da svolgere nella guerra tra Iran e Iraq, poiché ha rapporti in costante miglioramento con i belligeranti: ormai i suoi rapporti potrebbero essere migliori di quelli di qualsiasi altro governo. A titolo indicativo, si noti che l'Iran e l'Iraq insieme sono stati destinatari del 4 per cento delle esportazioni turche nel 1980, del 16 per cento nel 1981 e di quasi il 25 per cento nel 1982. ciò ha reso l'Iran il più grande cliente estero della Turchia e il suo più grande fornitore. Un protocollo dell'aprile 1983 tra Turchia e Iran prevedeva ulteriori aumenti degli scambi. Per quanto riguarda l'Iraq, tutte le sue esportazioni di petrolio passano attraverso l'oleodotto turco che attraversa la Turchia; mentre il volume degli scambi della Turchia con l'Iraq è secondo soltanto a quello con la Germania [3]. Dati i difficili legami di Iran e Iraq con gli Stati Uniti, e quelli non migliori con i Paesi della maggior parte dell'Europa occidentale, la Turchia può compiere passi importanti, ancora una volta, in consultazione con i suoi alleati verso una soluzione del conflitto.
L'Afghanistan . Da quando le forze sovietiche hanno invaso l'Afghanistan nel dicembre 1979, questo Paese è teatro di una feroce guerriglia tra il governo sostenuto dai sovietici a Kabul e i ribelli, che ottengono armi da varie fonti in tutto il mondo, compresi gli Stati Uniti. Questa lotta ha due dimensioni: una sovietica e una afgana. Purtroppo, gli americani prestano un'attenzione quasi esclusiva ai primi, considerando a malapena la politica degli afgani, compresa quella dei movimenti mujaheddin.
Ma questo potrebbe essere un grave errore. Alcuni gruppi che combattono le truppe sovietiche sono guidati da musulmani fondamentalisti, altri hanno leader più orientati all'Occidente. Le differenze tra questi gruppi hanno una grande importanza: non solo i fondamentalisti hanno la tendenza a combattere gli altri gruppi, anziché le truppe sovietiche, indebolendo così tutte le forze di resistenza, ma hanno i propri piani per il futuro del Paese. Se i fondamentalisti, i quali odiano gli Stati Uniti tanto o più dell'Unione Sovietica, dovessero prevalere, il futuro governo afghano perseguirebbe politiche paragonabili a quelle di Khomeini in Iran. Al contrario, se prevalessero i non fondamentalisti, stabilirebbero un governo amico degli Stati Uniti. Se i mujaheddin riuscissero a respingere gli attaccanti sovietici, queste differenze diventerebbero fondamentali per gli interessi americani nell'area.
Dove predominano le questioni locali
Il cuore del Medio Oriente occupa un posto unico nella politica estera americana. La questione che guida la politica in quella regione, la disputa arabo-israeliana, è di fatto estranea alla preoccupazione mondiale in merito alla politica estera americana attuata dalla Seconda guerra mondiale riguardo a come trattare con l'Unione Sovietica. Il modo in cui si fronteggia Mosca determina la politica americana quasi ovunque nel mondo tranne che nel cuore del Medio Oriente. Lì, nel conflitto sommerso tra Oriente e Occidente, il risultato è una politica statunitense indiretta [4].
Il conflitto arabo-israeliano . Gli Stati Uniti vogliono la piena pace tra gli arabi e Israele, ma ovviamente si accontentano della stabilità, come fanno in altre parti del mondo. I coreani non sono in pace, così come l'India e il Pakistan, ma questi Paesi hanno relazioni relativamente stabili. La stabilizzazione delle tensioni arabo-israeliane rappresenta un obiettivo realistico per la diplomazia statunitense. Senza perdere di vista l'obiettivo finale della pace, Washington dovrebbe guardare alla stabilità.
Qualsiasi amministrazione statunitense che spera di apportare miglioramenti nelle relazioni arabo-israeliane deve evitare due grandi tentazioni: quella di incentrare i negoziati sui partiti locali o di enfatizzare eccessivamente l'importanza della Cisgiordania e di Gaza. Ognuno dei tanti successi diplomatici americani dell'ultimo decennio si è verificato quando gli Stati Uniti hanno coadiuvato gli sforzi avviati da un partito arabo e da Israele. Quando le differenze tra gli Stati arabi e Israele sono inconciliabili, le parti si rifiuteranno di negoziare e gli sforzi di mediazione degli Stati Uniti saranno praticamente inutili. Nessun attore esterno può forzare una soluzione: la pace non può mai essere imposta dalla diplomazia. Ciò implica che gli Stati Uniti rinuncino all'ambizione di risolvere da soli (o con qualsiasi combinazione di poteri esterni) il conflitto arabo-israeliano.
Gli Stati Uniti dovrebbero rispondere alle iniziative locali. Possono facilitare le comunicazioni, fungere da intermediario onesto, fornire garanzie di sicurezza e aiutare ad alleviare gli oneri finanziari associati al movimento verso la pace. Ad esempio, Washington può incoraggiare discussioni tranquille tra Giordania e Israele su quelle questioni pratiche come i diritti sull'acqua, i regolamenti valutari, l'influenza giordana sulla Cisgiordania, tutte questioni in cui i suoi buoni uffici potrebbero fare la differenza.
Una seconda tentazione riguarda la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. Sebbene la disposizione di queste aree sia di grande importanza per gli arabi che vivono in quelle regioni e per tutti gli israeliani, di fatto, questo problema può avere una rilevanza letale per Israele, ma non è centrale nel conflitto arabo-israeliano. Pertanto, non deve interessare molto agli Stati Uniti. Arabi e israeliani hanno combattuto per molti anni prima che la Cisgiordania e Gaza passassero sotto il dominio israeliano nel 1967, e non c'è motivo di presumere che il ritorno di questi territori agli arabi porrebbe fine al conflitto più ampio. La pace può essere raggiunta dagli Stati arabi senza l'approvazione degli abitanti della Cisgiordania e di Gaza o dell'OLP; al contrario, nessuno di questi ultimi può concludere da solo il conflitto arabo con Israele. Per questo motivo, la definizione dello status della Cisgiordania e di Gaza, spesso definita come "risoluzione del problema palestinese", non è che un aspetto minore delle relazioni generali arabo-israeliane.
Piuttosto, il nocciolo del conflitto sta nel rifiuto degli Stati arabi di riconoscere Israele. È questo problema che gli Stati Uniti possono influenzare in modo più proficuo e che dovrebbero affrontare.
Dei 21 Stati membri della Lega Araba, gli unici in grado di fare guerra a Israele sono quei quattro Paesi che hanno confini adiacenti a Israele: Libano, Siria, Giordania ed Egitto. Tre di questi quattro vicini si sono rassegnati all'esistenza di Israele: l'Egitto ha firmato un trattato di pace nel 1979, il Libano ha cercato di firmare accordi di pace nel 1983 e la Giordania ha ripetutamente dimostrato la sua volontà di coesistere. La sola Siria mantiene con la forza una politica per distruggere Israele. Inoltre, Damasco non solo si prepara alla guerra contro Israele, ma esercita la massima pressione su altri leader arabi, tra cui quelli del Libano, della Giordania, dell'Egitto e dell'OLP, per non accettare l'esistenza di Israele.
Affinché gli Stati Uniti affrontino proficuamente il conflitto arabo-israeliano, devono affrontare il problema dell'intransigenza siriana. Ciò significa lavorare per l'isolamento della Siria e la riduzione della sua influenza sugli altri Paesi arabi. Sebbene siano molto difficili da raggiungere, i passi in tale direzione potrebbero essere: aiutare gli oppositori arabi della Siria a coordinare le politiche tra loro, adottare misure preventive contro il terrorismo, aiutare le forze contrarie al regime di Damasco e fare pressione sull'Unione Sovietica affinché riduca i suoi aiuti militari alla Siria. Inoltre, all'esercito siriano non deve essere consentito di prevalere su quello israeliano; Israele deve essere dotato di tutte le armi necessarie per assicurare il suo predominio militare.
Le relazioni fra Stati Uniti e Israele . In Medio Oriente, le linee sono chiaramente tracciate. Mentre gli Stati Uniti sostengono fortemente l'unico Paese inequivocabilmente filo-occidentale della regione qual è Israele, l'Unione Sovietica sostiene fortemente quei governi e quelle organizzazioni come la Libia, la Siria e l'OLP, che si impegnano nel terrorismo contro l'Occidente.
Il costante sostegno sovietico ai peggiori nemici di Israele è dovuto alla constatazione da parte di Mosca che un potente Israele costringe i leader arabi a rendersi conto che la lotta armata è senza speranza, inducendoli a chiedere aiuto a Washington. Dovendo scegliere se portare avanti il loro conflitto con Israele militarmente con Mosca o diplomaticamente con Washington, un leader arabo dopo l'altro rinuncia alla rotta sovietica per quella americana. Anwar Sadat ha ben sintetizzato questa situazione quando ha osservato che "gli Stati Uniti hanno il 99 per cento delle carte". Tra gli Stati del Medio Oriente, Israele è l'unico a schierarsi apertamente con l'Occidente contro l'URSS, mettendo a disposizione una varietà di vantaggi militari, di intelligence e politici. Questo è uno dei motivi per cui gli Stati Uniti rafforzano la forza israeliana.
Ci sono altri due motivi. La forza di Israele aiuta a difendere le forniture occidentali di petrolio dal Golfo Persico. Israele fornisce potenzialmente la migliore infrastruttura militare nell'area o potrebbe, in quanto Stato locale più capace di proiettare potenza, agire da solo.
In secondo luogo, Israele offre vantaggi speciali come alleato americano. Essendo l'unico Paese costantemente democratico del Medio Oriente, gode del sistema di governo più stabile della regione. La continuità politica israeliana ha un valore inestimabile in una situazione in cui la maggior parte dei regimi può essere rovesciata da un colpo di Stato o da una pallottola. Inoltre, la libertà di espressione di Israele e i suoi principi morali lo rendono insolitamente prezioso in un momento in cui molti americani rifiutano le alleanze con regimi dittatoriali.
Ci sono alcuni in Occidente che vedono i benefici apportati da Israele come un valore maggiore di quello che valgono, sostenendo che questa relazione indebolisce i legami con gli Stati arabi meno filo-occidentali e più numerosi. Ma questo è sbagliato. Ci sono tutte le ragioni per credere che gli Stati Uniti possano avere buone relazioni contemporaneamente sia con i Paesi arabi sia con Israele. Ad esempio, gli Stati Uniti hanno firmato un accordo di cooperazione militare con Israele nel novembre 1983 e successivamente non hanno pagato un prezzo significativo per questo con gli arabi. Al contrario, le relazioni sono poi migliorate sia con Israele sia con gli arabi, in particolare con gli Stati del Golfo Persico minacciati dall'Iran. Come questo mostra, il "consenso strategico" cercato all'inizio dell'amministrazione Reagan può, in circostanze adeguate, essere effettivamente raggiunto.
Per usufruire del rapporto strategico con Israele rispetto all'Unione Sovietica e ai suoi emissari, tale rapporto dovrebbe essere intensificato e consolidato attraverso il pre-posizionamento del materiale, il coordinamento dei piani di battaglia, le manovre congiunte e l'intelligence condivisa. Anche gli Stati Uniti dovrebbero chiarire a tutti gli Stati della regione che non intendono armare entrambe le parti in conflitto. Ciò implica soltanto la fornitura di armi ritenute difensive ai governi che mantengono uno stato di guerra con Israele (tra cui la Giordania e l'Arabia Saudita).
Le relazioni fra Stati Uniti e Arabia Saudita. Le relazioni degli Stati Uniti con Riad hanno una strana somiglianza con quelle con Pechino. In entrambi i casi, gli americani fanno di tutto per dimostrare sincera amicizia in una coalizione che entrambe le parti sanno essere meramente tattica. Come con la Cina, questi inutili gesti di buona volontà caratterizzano le relazioni degli Stati Uniti con l'Arabia Saudita: la vendita di armi superflue, il trattenersi dal riempire la Strategic Petroleum Reserve degli Stati Uniti e la riluttanza a esercitare pressioni per un maggiore coordinamento militare sono tutte indicazioni di questo.
Sebbene gli Stati Uniti si rivolgano spesso al governo saudita per esercitare un'influenza politica (sul processo di pace, sulla Siria, sulle fazioni libanesi), di fatto, quel governo è un regime debole, incapace di opporre resistenza ai suoi vicini e chiedere cambiamenti nelle loro politiche. Aspettarsi l'aiuto saudita è irrealistico; inoltre, esercitare sul governo saudita pressioni che non trovano risposta, mette in pericolo il regime.
La situazione implica che gli Stati Uniti diano di meno ai sauditi, pretendano meno negli affari esteri e chiedano di più all'interno:
Non vendere grandi arsenali all'Arabia Saudita, ma affittare tutto ciò che serve in caso di emergenze nel Golfo Persico. Ciò è stato fatto, con notevole successo, con gli aerei AWACS dal 1981 e più di recente con i missili Stinger.
Non fare pressioni sull'Arabia Saudita affinché eserciti la sua influenza politica; al contrario, non farsi in quattro per soddisfare le sue esigenze.
Stabilire che le strutture per l'aviazione terrestre siano rese disponibili in cambio della protezione militare degli Stati Uniti. La situazione che esiste oggi mostra tutti i problemi della presenza senza i vantaggi del controllo, e questo deve essere cambiato.
Infine, non definire il ruolo americano in Arabia Saudita in dichiarazioni formali. Invece, occorre sfruttare appieno l'influenza de facto che deriva dal coinvolgimento sul campo di cui godono attualmente gli Stati Uniti.
Libano. Gli sforzi militari americani in Libano compiuti tra l'agosto 1982 e il febbraio 1984 segnarono un grave fallimento della politica estera statunitense, probabilmente il più ignominioso sperimentato da alcuni anni. I principali errori commessi includevano: (1) un sostegno inadeguato negli Stati Uniti a un'ambiziosa impresa militare; (2) uno schieramento di truppe senza una missione specifica; (3) una scarsa comprensione delle fazioni all'interno del Libano e delle ragioni del loro conflitto; (4) una valutazione errata degli obiettivi del governo siriano in Libano; e (5) un distoglimento dell'interesse dal Libano proprio nel momento di maggiore opportunità (l'Iniziativa Reagan ha rivolto l'attenzione verso la Cisgiordania e Gaza esattamente nel momento in cui una svolta in Libano era a portata di mano). Questi errori sono stati particolarmente miseri in quanto quasi tutti hanno reiterato quelli precedenti commessi in Vietnam.
Per quanto sfortunata sia stata l'esperienza degli Stati Uniti a Beirut, e continua a esserlo tuttora, il Libano rimane un Paese chiave in Medio Oriente e le battaglie che vi si svolgono hanno importanza per gli Stati Uniti. Il Libano ha un ruolo chiave nella vita intellettuale, politica ed economica del Medio Oriente; la sua popolazione comprende alcuni degli elementi più filo-occidentali della regione; e la sua posizione lo costringe a svolgere un ruolo nelle relazioni arabo-israeliane. C'è ancora molto da vincere o da perdere in Libano e gli Stati Uniti devono mantenere la loro influenza.
Washington si trova di fronte a una scelta in Libano: può lavorare per la pace nel Paese esercitando pressioni per una ristrutturazione politica del Paese per affrancare quegli elementi, in particolare i musulmani sciiti, che finora sono stati esclusi. Ma questo porterà all'ascesa al potere di forze meno amiche dell'Occidente. In alternativa, gli Stati Uniti possono rafforzare le forze loro amiche assistendo l'esercito del governo centrale. Fare questo significa mantenere i legami con un attore chiave e può impedire a quelle forze di cadere sotto l'influenza sovietica.
La guerra tra Iran e Iraq. La politica americana è stata coerente durante quattro anni di guerra: ha condannato l'aggressione di entrambe le parti, ha mantenuto una rigorosa neutralità politica e ha fornito silenziosamente aiuto militare a qualunque parte stesse perdendo. Quando entrambe le parti in conflitto fanno a gara nel perseguire politiche ripugnanti e nell'oltraggiare gli Stati Uniti, l'interesse americano è quello di impedire ad entrambe le parti di vincere. Invece, esso mira a indurre le parti a negoziare un accordo e tornare alla fine ai loro confini prebellici.
Nell'ambito dell'obiettivo generale di impedire a entrambe le parti di ottenere una chiara vittoria, gli Stati Uniti devono preoccuparsi di una vittoria irachena più di quella iraniana. Il successo militare iraniano potrebbe portare a un regime musulmano fondamentalista a Baghdad. Quel governo presumibilmente minaccerebbe i regimi esistenti in Kuwait, negli Emirati Arabi Uniti, in Bahrein, in Giordania e in Arabia Saudita. Tuttavia, una vittoria irachena porrebbe questi stessi pericoli, alimentando le ambizioni del regime di Saddam Hussein. Inoltre, il successo iracheno metterebbe a repentaglio l'integrità dello Stato iraniano, potrebbe portare alla dissoluzione di quel Paese così com'è ora, creare opportunità per l'intervento dell'Unione Sovietica, agevolare l'influenza di Mosca in Iran e portare le risorse petrolifere del Golfo Persico sotto il suo controllo.
L'Iran confina con l'Unione Sovietica e non con l'Iraq; questo fatto da solo rende le buone relazioni con l'Iran permanentemente più critiche che con l'Iraq. Come alleato sovietico o come alleato americano, l'Iran conta più dell'Iraq. L'Iran è chiaramente una questione strategica: costretti a scegliere, gli Stati Uniti devono aspettarsi di preoccuparsi del futuro dell'Iran più di quello dell'Iraq. I rapporti di collaborazione con l'Iran richiedono quindi una priorità molto alta.
Queste prospettive implicano l'attuazione di diverse politiche riguardo al conflitto tra Iran e Iraq. Innanzitutto, l'assistenza non dovrebbe essere offerta a nessuna delle parti in conflitto a meno che non sia in imminente pericolo di perdere la guerra. In tal caso, alla parte perdente dovrebbe essere offerto un sostegno discreto e minimo fino a quando non combatte.
Una flotta dovrebbe essere di stanza fuori dal Golfo Persico fintanto che la guerra continua. Ciò protegge la navigazione, stabilizza l'area in caso di emergenze locali e riduce la probabilità di un intervento sovietico.
Per essere più efficace, la politica americana nei confronti dei Paesi belligeranti del Golfo Persico richiede il coordinamento con gli alleati della NATO, con la Francia e con il Giappone. La cooperazione ha un'importanza particolare per quanto riguarda la vendita di armi; inoltre, il boicottaggio del petrolio iracheno o iraniano potrebbe, in questo momento di eccesso di petrolio, esercitare pressioni politiche su quei Paesi.
Le linee private con il governo iraniano devono essere mantenute aperte per assicurare le comunicazioni, soprattutto in tempi di crisi. L'Iran è troppo importante nella politica mondiale perché gli americani indulgano anno dopo anno in un risentimento che risale alla crisi degli ostaggi a Teheran.
Infine, gli Stati Uniti dovrebbero approfittare della minaccia iraniana per assecondare i legami con quegli Stati arabi del Golfo Persico che da soli non possono opporsi alle forze iraniane.
Conclusione
L'enfasi posta sul conflitto tra Oriente e Occidente in Turchia e in Afghanistan induce a trascurare le questioni locali; al contrario, l'attenzione prestata alle questioni locali nei Paesi arabi, in Israele e in Iran porta a politiche che ignorano i principi fondamentali delle relazioni estere degli Stati Uniti. Se fosse possibile prendere in prestito parte dell'eccessiva preoccupazione per l'Unione Sovietica dalla prima categoria e applicarla alla seconda, la politica verso tutte le parti del Medio Oriente ne trarrebbe vantaggio.
[1] Un semplice elenco di accordi sponsorizzati dagli americani dal 1973 lo rende chiaro: Chilometro 101, Sinai I, l'accordo di disimpegno siriano-israeliano, Sinai II, Camp David, il trattato di pace egiziano-israeliano, l'accordo tra Israele e l'OLP del 1981, l'evacuazione dell'OLP da Beirut e l'accordo israelo-libanese.
[2] A parte Cipro e la Corea, questa è la prima volta da quando è stata istituita la Repubblica che si dispiegano forze turche al di fuori della Turchia. Cfr. Jennifer Noyon, "Bridge Over Troubled Regions", The Washington Quarterly, (Summer 1984), p.81.
[3] Noyon, "Bridge", p. 83; Afkar, July 1984, pp. 28-29.
[4] Per una spiegazione della non applicabilità dei principi fondamentali della politica estera statunitense al Medio Oriente, si veda il mio articolo "Breaking All the Rules: American Debate Over the Middle East", International Security 9 (Autumn 1984), pp. 124-150 ; e anche "Mideast Isn't Seen in Left-Right Terms", The Wall Street Journal , 27 settembre 1984.