La politica violenta nei Paesi esportatori di petrolio del Medio Oriente ha di recente attirato l'attenzione sui pericoli che questa regione deve affrontare. La rivoluzione in Iran, il fanatismo alla Mecca, l'invasione in Afghanistan e le ostilità fra Iran e Iraq hanno colto impreparati i consumatori di petrolio; eppure, dopo una breve ondata di preoccupazione, tutti sono tornati alla routine precedente. Nessuno pensa molto alle prospettive dei problemi reali di questi Paesi importanti, nonostante la loro estrema importanza per l'Occidente.
I Paesi esportatori di petrolio del Medio Oriente devono far fronte a due pericoli principali: il controllo sovietico e il crollo interno. La minaccia sovietica richiede poche spiegazioni: se i russi prendessero il controllo dei circa diciassette milioni di barili di petrolio che ogni giorno lasciano il Medio Oriente, avrebbero i mezzi per arricchirsi e per dettare condizioni politiche e finanziarie alle democrazie industriali. Potremmo aspettarci che l'Europa occidentale e il Giappone diventino neutrali, l'effettiva scomparsa della NATO e il crescente isolamento degli Stati Uniti in un mondo sempre più ostile.
Questo pericolo è ben compreso, anche se ce ne preoccupiamo troppo poco. L'altro pericolo, il crollo interno, tende a essere ignorato o dimenticato, fatta eccezione per la preoccupazione sorprendentemente diffusa per un colpo di Stato in Arabia Saudita. Gli uomini d'affari con interessi in Medio Oriente non dicono una parola in merito ai problemi della regione, non vogliono rompere gli equilibri. Anche molti giornalisti, accademici e funzionari di governo evitano l'argomento, spesso perché non vogliono mettere a repentaglio i buoni rapporti con i signori dell'OPEC (che godono di ampio favore).
Nei Paesi mediorientali esportatori di petrolio, gli apologeti della stabilità dell'ordine esistente hanno, in realtà, molti successi da evidenziare. Nelle polverose aree desertiche ora spuntano grattacieli, i figli dei primitivi beduini viaggiano per il mondo con disinvoltura e raffinatezza, le donne partecipano alla vita della società con sempre più abilità e sicurezza, l'alfabetizzazione si è rapidamente diffusa, gli eserciti diventano ogni anno più impressionanti.
Eppure, questi sono fenomeni di superficie, la quieta patina che riveste società turbolente e vulnerabili. Al di sotto di questi piacevoli sviluppi si trovano Paesi sconvolti da tensioni e disperazione. Più il Paese è ricco, peggiori sono i suoi problemi; maggiori sono i suoi successi evidenti, minore è la stabilità. Nel complesso, i loro pericoli sono così gravi che mi aspetto un crollo in molte delle nazioni più ricche dell'OPEC, tra cui Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi Uniti e Libia. Non conosco né i tempi né le modalità della loro rovina, ma mi rendo conto che si stanno rapidamente dirigendo verso un triste destino.
La ricchezza petrolifera crea due problemi principali per i suoi beneficiari, il cambiamento e la dipendenza. Il cambiamento deriva dal fatto che i più ricchi Paesi membri dell'OPEC erano tra le nazioni più povere e isolate del mondo solo pochi decenni fa. La cuccagna del petrolio ha ribaltato le loro economie semplici, le loro relazioni sociali e le loro culture, non lasciando quasi niente com'era prima: la vita ora si svolge in un contesto incredibilmente nuovo e in rapida evoluzione.
La dipendenza è frutto dell'inadeguatezza delle risorse locali (e quindi è anche legata al fatto che questi Paesi hanno vissuto di recente al limite della sussistenza). I cittadini delle nazioni che più traggono profitto dalle esportazioni di petrolio sono troppo pochi e troppo poco qualificati per sostenere i complessi meccanismi della vita moderna che sono arrivati insieme alla ricchezza petrolifera. Devono dipendere dai lavoratori stranieri per dotarsi di personale di ogni tipo dalle sale operatorie e dalle torri di controllo del traffico aereo, ai ristoranti e alle case di tolleranza. Non solo il lavoro viene dall'esterno, lo stesso dicasi per quasi tutta la ricchezza di cui godono e i beni che consumano. I sauditi, i kuwaitiani, i libici e gli altri fanno molto poco da soli: la loro totale dipendenza dagli stranieri li rende particolarmente vulnerabili anche al minimo disagio, se gli stranieri se ne andassero o le navi non riuscissero ad arrivare, Abu Dhabi si bloccherebbe. Incapaci di farcela da soli, i cittadini dei Paesi esportatori di petrolio dipendono da un fragile equilibrio per mantenere inalterato l'attuale sistema.
Insieme, il cambiamento e la dipendenza minacciano di porre fine alla vita serena dell'OPEC in Arabia e in Libia. Ciò può avvenire in vari modi, a livello ecologico, economico, sociale, militare o culturale.
(1) Ecologico. Per coincidenza, le più ricche nazioni esportatrici di petrolio sono tutte aride. Fino al boom del petrolio, gli abitanti locali vivevano delle piccole quantità d'acqua che trovavano nelle sorgenti sotterranee. Poi, con il petrolio, il consumo di acqua è aumentato vertiginosamente, poiché i progetti di costruzione, l'agricoltura e gli stili di vita moderni richiedevano un consumo di acqua notevolmente maggiore. Gli impianti di dissalazione (che rendono dolce l'acqua di mare) hanno risposto a tale esigenza, ma sono macchinari costosi, complessi, delicati, le cui operazioni si interrompono facilmente. Un calo delle entrate potrebbe significare denaro insufficiente per mantenerle in funzione; un embargo potrebbe portare a un'interruzione delle attività per mancanza di pezzi di ricambio; in una guerra gli impianti potrebbero essere bombardati; le agitazioni operaie potrebbero causare sabotaggi; una guerra civile potrebbe far fuggire i tecnici stranieri; una sedizione potrebbe far cadere gli impianti nelle mani dei ribelli. Ognuno di questi problemi ridurrebbe fortemente o porrebbe fine alla produzione di acqua, portando all'inaridimento del terreno delle imprese agricole e delle città, seguito probabilmente da devastazione, emigrazione e violenza.
(2) Economico. Le vecchie competenze diventano inutili nella nuova società; chi ha più bisogno di commercianti nomadi? Competenze completamente diverse hanno preso il loro posto, valorizzando la conoscenza della lingua europea e l'ingegneria. Inoltre, i legami con la corte e gli alti funzionari del governo hanno assunto una nuova importanza finanziaria, poiché quasi tutte le entrate derivanti dalla vendita di petrolio passano attraverso il governo. Gli effetti di questi sconvolgimenti non possono essere sovradimensionati, poiché le basi per la ricompensa finanziaria sono cambiate radicalmente nell'arco di pochi anni, alcuni Paesi sono diventati molto ricchi e molti altri relativamente più poveri.
L'inflazione è dilagante, proveniente sia dall'estero (sotto forma di beni e servizi che i Paesi ricchi di petrolio acquistano) sia dalle eccessive richieste alle strutture e alla manodopera locali. I prezzi a volte raggiungono livelli assurdi; per esempio, una casa che a Chicago si potrebbe affittare per 600 dollari al mese costa circa 50 mila dollari all'anno ad Abu Dhabi.
I Paesi più ricchi dell'OPEC si rendono conto che le loro entrate petrolifere non possono continuare all'infinito e stanno facendo grandi sforzi per ridurre la loro dipendenza dal petrolio istruendo i propri cittadini, investendo all'estero e ampliando la base economica in patria. Eppure, queste mosse sono inutili. Per la maggior parte dei cittadini, l'istruzione è una fonte di prestigio e un biglietto per un lavoro, ma non un mezzo per acquisire competenze pratiche che avrebbero valore quando le entrate petrolifere diminuiscono. I dividendi degli investimenti all'estero forniscono un buon reddito, ma sono soltanto una piccola parte delle entrate correnti e non sono sufficienti per mantenere lo stile di vita odierno.
Le industrie locali non vengono costruite con molta preoccupazione per la vitalità economica. Acciaierie, impianti per la produzione di ammoniaca, industrie petrolchimiche e simili sorgono nei luoghi più improbabili, privi delle complesse infrastrutture che queste industrie richiedono: si pensi a quanto ha Gary, nell'Indiana, oltre alle sue fabbriche. Manodopera qualificata, impianti di riparazione, reti di trasporto, infrastrutture di comunicazione e grandi mercati locali sono tutti indispensabili, e sono tutti sono privi di queste installazioni. Per produrre beni a prezzi competitivi, ricevono il contributo occulto dell'energia a basso costo; per ora va bene, ma cosa accadrà quando le entrate petrolifere diminuiranno e ogni dollaro conterà? L'agricoltura, con le sue forniture idriche fortemente finanziate, ha prospettive ben peggiori.
(3) Sociale. Paradossalmente, le relazioni sociali si sono deteriorate con il moltiplicarsi delle risorse finanziarie. Mentre ogni nazione esportatrice di petrolio nel suo insieme beneficia del nuovo denaro, alcune persone guadagnano molto più di altre, il che porta a un crescente antagonismo. Quando alcuni raddoppiano annualmente i loro redditi, quelli che guadagnano solo il 25 per cento si sentono svantaggiati. Con l'aumento delle aspettative, l'insoddisfazione si diffonde. Inoltre, la base per la distribuzione della ricchezza petrolifera crea infelicità, poiché dipende molto più dalle connessioni che dall'intelligenza e dagli sforzi. Finché la torta si allarga, le controversie sulla distribuzione rimangono gestibili, ma l'estraniazione si diffonderà se la torta rimanesse costante o diventasse più piccola.
(4) Militare. Un'eccessiva parte delle entrate petrolifere è stata destinata alle spese militari. In teoria, questo ha senso, poiché i Paesi membri dell'OPEC ora possiedono risorse molte preziose che vanno tutelate; in effetti, le loro forze armate hanno scarsi scopi militari, tanto sono inefficaci. La guerra tra Iran e Iraq lo ha dimostrato: l'analisi militare è sussultata quando l'Iraq ha interrato i carri armati e li ha utilizzati come cannoni e quando gli iraniani hanno pilotato i loro caccia F-14 senza i computer integrati. La guerra è stata condotta così male che il governo israeliano ha ridotto le sue spese per la difesa in alcune aree!
Gli esportatori di petrolio del Medio Oriente spendono molto di più pro capite per la difesa di qualsiasi altro Paese, incluse le superpotenze. (Quest'anno gli Stati Uniti stanno spendendo circa 800 dollari a persona per l'esercito, circa un sesto della spesa saudita.) I Paesi del Golfo e la Libia acquistano sistemi d'arma talmente avanzati che devono fare arrivare decine di migliaia di stranieri per installare, mantenere e azionare queste macchine complesse. Altri stranieri prestano servizio come soldati, poiché le piccole e viziate popolazioni autoctone di questi Paesi mostrano poca propensione a difendersi. Affidarsi agli stranieri nelle forze armate pone, tuttavia, evidenti pericoli per i governi che li finanziano. Man mano che le forze armate crescono di dimensioni, minacciano sempre più le istituzioni politiche. Sebbene nessun colpo di Stato militare sia ancora avvenuto in una nazione membro dell'OPEC super ricca, la probabilità diventa maggiore man mano che i soldati guadagnano costantemente in dimensioni e prestigio.
(5) Culturale. L'intero apparato della civiltà moderna è ricaduto quasi senza preavviso sugli esportatori di petrolio del Medio Oriente. Le persone che sono cresciute nell'ambiente semplice e duro della vita tribale del deserto, modellato dall'Islam e dalla lotta per la sopravvivenza, devono ora affrontare una serie sconcertante di scelte e pressioni. Spesso, riescono a malapena a farcela. Prendiamo ad esempio il posto delle donne nella società. La cultura tradizionale ha creato un ordine in cui le donne non avevano quasi alcun ruolo nella vita pubblica: tutti lo sapevano e quasi nessuno lo contestava. Ora, con le nuove opportunità di istruzione, intrattenimento di viaggio e di consumismo, le donne, volenti o nolenti, vengono coinvolte negli affari pubblici, sollevando forti tensioni sia per loro sia per gli uomini.
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Ovviamente, molti Paesi non esportatori di petrolio affrontano dilemmi culturali simili a questi, ma raramente i cambiamenti avvengono così bruscamente. I Paesi petroliferi più ricchi, particolarmente primitivi qualche anno fa, hanno subito sconvolgimenti straordinari. È del tutto possibile che, incapaci di far fronte alle difficoltà apportate dalla ricchezza petrolifera, altri Paesi seguiranno l'esempio dell'Iran e abbatteranno le istituzioni moderne nel tentativo di tornare a qualcosa di più semplice e conosciuto. Non si deve ignorare la capacità di distruzione che sta al di sotto della relativa calma che regna oggi. Se ciò accadesse, sarebbe incredibilmente paradossale e tragico: il boom petrolifero avrà quindi danneggiato i suoi beneficiari apparenti anche più dei consumatori che hanno finanziato l'intera bizzarria.