Quando il presidente eletto Ronald Reagan entrerà in carica il 20 gennaio prossimo, probabilmente erediterà lo stesso problema che ha contribuito a renderlo presidente – la crisi degli ostaggi, la maledizione e l'ossessione di Jimmy Carter.
Se non verranno rilasciati presto, il destino dei 52 americani tenuti prigionieri in Iran dal 4 novembre 1979 diventerà oggetto di riflessione da parte di Reagan. Sarà la preoccupazione principale del neo presidente, se non la sua ossessione. Reagan potrebbe voler dapprima occuparsi dell'economia, smantellare il Dipartimento dell'Educazione, abbassare le imposte o licenziare l'intero corpo diplomatico latinoamericano – ma il mondo intero guarderà cosa farà con gli ostaggi.
Nei quattordici mesi trascorsi da quando gli iraniani hanno attaccato l'ambasciata americana a Teheran, agli americani è stata rammentata quasi ogni giorno la dolorosa prigionia degli ostaggi. Con il tempo, l'umiliazione diventa più profonda. L'agitazione degli americani è grande come grande è la commozione, e questo non può essere ignorato. La guerra in corso tra Iran e Iraq, con la sua costante minaccia all'approvvigionamento petrolifero e alla stabilità politica dell'Iran è un altro elemento che non può essere trascurato. A mettere tutto questo in secondo piano, l'ombra dell'Unione Sovietica che si profila in gran parte dal vicino Afghanistan e oltre il suo lungo confine con l'Iran.
Nonostante il paziente e duro lavoro del presidente Carter e degli intermediari algerini, i leader iraniani mostrano poca impazienza a liberare gli ostaggi. E, se gli iraniani continueranno a non fare nulla, non dovrebbe fare nulla nemmeno Reagan. Esiste un ampio consenso nel campo di Reagan sul fatto che gli Stati Uniti, non concedendo miseramente tutto all'Iran, non sono in grado di garantire che gli ostaggi torneranno a casa sani e salvi. L'amministrazione Carter ha fatto tutto il possibile: ha mobilitato l'opinione mondiale contro l'Iran, ha esercitato pressioni sugli alleati statunitensi per ottenere aiuto, ha organizzato un'azione militare per provare a liberare gli ostaggi e si è impegnata nei negoziati. Finora, tutto ha fallito.
La nuova Amministrazione dovrebbe dare meno importanza alla crisi degli ostaggi interrompendo i negoziati. Ciò porterebbe gli americani a mitigare gli animi sulla questione (come già accaduto nell'estate del 1980) e diminuirebbe il valore degli ostaggi per i loro rapitori. Il "benevolo disinteresse" ridurrebbe il potere che i leader iraniani possono esercitare su Washington. Se l'amministrazione Reagan riuscisse a dimostrare pazienza, allora Teheran non sarebbe in grado di manipolare gli Stati Uniti così facilmente.
La conclusione dei negoziati per il rilascio degli ostaggi indicherebbe altresì all'Iran e al mondo che l'amministrazione Reagan non tratta con i terroristi, anche quando essi controllano un governo. Questo è relativamente semplice. Ignorare gli ostaggi lascia agli iraniani la facoltà di fare il passo successivo. Se dovessero liberare gli americani, il problema finisce qui. Ma se si muovono nella direzione opposta e minacciano di processare gli ostaggi o di usare loro violenza, sorgono altri problemi.
In teoria, gli Stati Uniti potrebbero ignorare tali provocazioni; ma la rabbia dei cittadini americani esigerebbe senza dubbio qualche punizione. Inoltre, se gli Stati Uniti devono preservare la loro credibilità di grande potenza, devono fare qualcosa.
Che cosa? Gli Stati Uniti sono vincolati in due modi: innanzitutto, gli atti indiscriminati di vandalismo o l'uccisione di cittadini iraniani sono contrari alla tradizione morale dell'America. Washington non può semplicemente "bombardarli" o "bombardarli fino a farli tornare all'età della pietra". Allo stesso modo, agli iraniani che si trovano ora negli Stati Uniti non deve essere fatto alcun male, poiché ciò violerebbe la legge americana. Per quanto siano forti i sentimenti contro l'Iran, l'amministrazione Reagan non deve violare gli standard nazionali di moralità e legalità in un impeto di rabbia, non importa quanto sia giustificabile.
In secondo luogo, Reagan non deve cercare di minare il potere militare del governo iraniano. I seguaci di Khomeini sono attualmente impegnati in una guerra con l'Iraq, nella lotta contro i movimenti separatisti regionali e nella repressione dei gruppi di sinistra. Non importa cosa gli americani pensino degli attuali leader iraniani, è nell'interesse degli Stati Uniti che il Paese diventi forte e stabile. Se Washington cerca di distruggere il suo potere, si prevede la possibilità che il regime di Baghdad consolidi la sua presa sulla provincia iraniana del Khuzistan e conquisti altre regioni dell'Iran. I ribelli curdi e di altre etnie potrebbero essere in grado di creare regioni autonome, alcune delle quali sotto l'influenza sovietica. La sinistra iraniana, finora in ritirata, potrebbe emergere per rivendicare il premio che le è sfuggito di mano quando lo Scià ha lasciato il Paese. E mentre l'Iran si frammenta, l'Unione Sovietica di certo sfrutterà nuove opportunità per interferire.
Cosa possono fare gli Stati Uniti per reagire al governo di Teheran senza fare del male a delle persone innocenti o senza minare il potenziale militare? Sono diverse le opzioni inadeguate.
A lungo termine, gli Stati Uniti possono fare pressioni sull'Iran dal punto di vista economico; possono persuadere i loro alleati a interrompere il commercio; possono attuare un blocco navale, minare i porti iraniani e bloccare il traffico d'armi o impedire l'arrivo in Iran di merci provenienti dagli Emirati Arabi Uniti. Le pressioni economiche probabilmente non influirebbero sulle capacità militati iraniane, poiché il governo ridurrebbe innanzitutto le forniture ai civili al fine di mantenere la propria forza militare.
Ciò creerebbe nuovi disagi per la popolazione iraniana già in difficoltà a seguito del forte declino economico causato dal calo della produzione di petrolio, dall'embargo e dalla guerra in Iraq. Alla fine, la popolazione iraniana si opporrà a ulteriori difficoltà economiche. A quel punto, i leader di Teheran dovranno fare una scelta: o liberare gli ostaggi americani o affrontare un forte malcontento interno. Se Washington eserciterà accuratamente delle pressioni, l'Iran potrebbe liberare gli ostaggi in un paio di mesi o nel giro di un anno.
O forse no. La reazione degli iraniani alla guerra con l'Iraq è stata implacabile; qualunque essa sia, l'amministrazione Reagan può avere la stessa determinazione. Pertanto, il nuovo presidente potrebbe voler prendere in considerazione una risposta più efficace – un'azione militare diretta.
E in tal caso si presentano due obiettivi: la provincia del Khuzistan e gli stessi leader iraniani. Sebbene l'attacco implichi un'operazione militare disdicevole e rischiosa, ciò mostrerebbe la fermezza dell'amministrazione Reagan.
Nel Khuzistan si concentra la maggior parte della ricchezza petrolifera iraniana e questa provincia si affaccia sul Golfo Persico. La Marina degli Stati Uniti può sottrarre all'Iran tale provincia fino a quando i diplomatici americani non verranno liberati. L'America controllerebbe in tal modo la principale risorsa economica iraniana: il petrolio. Ovviamente, il fatto che gli iracheni abbiano già invaso il Khuzistan, complica enormemente la situazione.
In alternativa, gli Stati Uniti potrebbero tentare di sequestrare e trattenere i funzionari governativi iraniani, i membri del suo Parlamento o perfino eminenti mullah. Un'iniziativa del genere potrebbe essere portata a termine con mezzi clandestini o attraverso un raid militare a sorpresa. Una volta che Washington ha condotto i leader iraniani in un posto sicuro, sarebbe nella posizione di negoziare uno scambio per i propri diplomatici.
A differenza dell'amministrazione Carter, tuttavia, la nuova amministrazione non è responsabile della difficile situazione degli ostaggi. Pertanto, può permettersi di fare una cosa prudente, ossia nulla. Ma quel lusso persisterà fintanto che gli iraniani si asterranno dal torturare o dal fare del male agli ostaggi.
Se gli iraniani organizzassero un processo farsa nei confronti degli ostaggi o dovessero fare loro del male in qualche modo, Reagan probabilmente sarebbe costretto a scegliere una o più delle sue sgradevoli opzioni militari. Né Washington né Teheran potrebbero prevedere o controllare appieno le conseguenze di una simile decisione.
Il presidente eletto Reagan ha avuto la sfortuna di ereditare uno dei problemi di politica estera più incontrollabili e pericolosi della storia recente. E, come il suo predecessore, egli scoprirà che la sua risposta può essere elaborata a Teheran come nello Studio Ovale.