Fat'hi ash-Shiqaqi, un colto ragazzo palestinese che vive a Damasco, si è di recente vantato di avere familiarità con la letteratura europea. Egli ha raccontato a un intervistatore di aver letto e apprezzato Shakespeare, Dostoyevsky, Chekhov, Sartre e T.S. Eliot. Ha parlato della sua particolare passione per l'Edipo Re, di Sofocle, un'opera che ha letto dieci volte nella traduzione in inglese "e versando ogni volta lacrime amare".[i] Una simile conoscenza della letteratura mondiale e una tale sensibilità delicata, non sarebbero importanti se non per due fatti: che Shiqaqi era, fino a quando non venne ucciso a Malta nel 1995, un fondamentalista musulmano e si trovava a capo della Jihad Islamica, la principale organizzazione terroristica che ha ucciso decine di israeliani negli ultimi due anni.
La familiarità mostrata da Shiqaqi con le cose occidentali è tipica di uno schema comune. Il suo successore alla guida della Jihad Islamica è stato Ramadan 'Abdullallah Shallah, uno studioso che aveva vissuto per nove anni in Gran Bretagna e negli Stati Uniti e che quando Shiqaqi venne ucciso insegnava scienze politiche alla University of South Florida, a Tampa. Eyad Ismail, uno degli attentatori del World Trade Center recentemente estradato dalla Giordania, nutriva altresì una speciale simpatia nei confronti degli Stati Uniti. Secondo suo fratello: "Egli amava ogni cosa riguardasse l'America dai film western agli hamburger".[ii] Sua sorella ha rievocato il suo amore per la televisione americana e le sue parole: «Voglio vivere per sempre in America». "La famiglia", ha commentato la donna, "lo ha sempre considerato un figlio dell'America".[iii] Sua madre ha confermato che "suo figlio ama gli Stati Uniti".[iv]
Anche gli intellettuali islamisti si trovano molto a loro agio in Occidente. Hasan at-Turabi, il vero governante del Sudan, l'uomo che si cela dietro le note «case fantasma» e il brutale persecutore della vasta minoranza di cristiani presenti nel suo Paese, si vanta spesso della sua conoscenza dell'Occidente, raccontando a un intervistatore francese che i più importanti leader fondamentalisti, come lui, sono "di cultura cristiana, occidentale. Parliamo la vostra lingua."[v] In una dichiarazione che riassume questa intera ottica, un fondamentalista di Washington ha asserito: "Ascolto Mozart, leggo Shakespeare, guardo Comedy Channel, e credo altresì nell'applicazione della Shari'a (la sacra legge islamica)."[vi]
Questo schema è indice di un paradosso: sono proprio gli intellettuali a voler far retrocedere i musulmani al secolo VII, pur se essi si mettono in luce per i costumi occidentali e sembrano apprezzare moltissimo perlomeno alcune di tali abitudini. Ma perché accade ciò? Cosa denota in merito alle loro attuali forze e alla futura linea di condotta?
I fondamentalisti sono occidentalizzati
I leader fondamentalisti tendono a conoscere bene l'Occidente, avendovi vissuto, avendo imparato i suoi idiomi e studiato le differenti culture. Turabi del Sudan ha conseguito avanzati titoli accademici presso l'Università di Londra e alla Sorbona; nel 1961, egli ha trascorso un'intera estate negli Stati Uniti, visitando il Paese grazie a un programma finanziato dai contribuenti americani per i più promettenti studenti stranieri. Abbasi Madani, leader del Fronte Islamico di Salvezza (FSI) algerino, ha conseguito un dottorato di ricerca in pedagogia all'Università di Londra. La sua controparte tunisina, Rashid al-Ghannushi, ha trascorso un anno in Francia e dal 1993 ha stabilito la sua sede in Gran Bretagna. Necmettin Erkaban, importante politico militante turco ed ora primo ministro, ha studiato in Germania. Mousa Mohamed Abu Marzook, capo del comitato politico di Hamas, a partire dal 1980 ha vissuto negli Stati Uniti; ha un dottorato di ricerca in ingegneria, conseguito all'University of Louisiana e dal 1990 è un residente permanente negli Stati Uniti. Negli ultimi anni si è trasferito nella Virginia Settentrionale con la moglie e i suoi 6 figli.[vii] Nel 1995 venne arrestato al suo arrivo all'aeroporto di New York, in viaggio nel Paese per iscrivere suo figlio in una scuola americana.
Certo, l'esperienza di vivere in Occidente talvolta trasforma gli indifferenti musulmani in fondamentalisti. Parlando di Mehdi Bazargan, un ingegnere iraniano che ha vissuto in Francia dal 1928 al 1935, Hamid Dabashi analizza il processo che molti studenti musulmani subiscono:
"Esordendo con la premessa più o meno consapevole, manifesta o latente, che essi dovrebbero restare fermamente attaccati alla loro coscienza islamica, gli studenti musulmani cominciano ad ammirare i risultati «occidentali»… Essi ravvisano un elevato stato di auto-consapevolezza in quella parte di «Occidente» che identificano con la fonte e la causa delle sue conquiste. Poi, rivolgono lo sguardo alla loro società che è sprovvista, a loro dire, di simili conquiste tecnologiche, per la mancanza di questo elevato stato di auto-consapevolezza ideologica".[viii]
L'analista francese Olivier Roy spiega che il concetto fondamentale è quello piuttosto sorprendente che le ideologie sono «la chiave dello sviluppo tecnico dell'Occidente». Questa ipotesi induce i fondamentalisti a "sviluppare una moderna ideologia politica basata sull'Islam, che essi ritengono sia l'unico modo per accettare il mondo moderno e il migliore modo per far fronte all'imperialismo straniero".[ix]
Alcuni degli insigni fondamentalisti convengono con questo schema. L'egiziano Sayyd Qutb nel 1948 si recò negli Stati Uniti, quale estimatore dell'America e, dopo due anni "ritornò all'Islam"[x] diventando uno dei più influenti pensatori fondamentalisti del nostro tempo. L'iraniano »`Ali Shari'ati ha vissuto a Parigi per cinque anni, dal 1960 al 1965; da questa esperienza egli trasse le idee chiave della Rivoluzione islamica. In altri casi, i pensatori fondamentalisti pur non vivendo realmente in Occidente, ne assorbono i costumi, imparandone le lingue e immergendosi nelle idee occidentali, come ha fatto il giornalista, pensatore e politico indo-pakistano, Sayyd Abul A'la Mawdudi (1903-79). In altri casi ancora, è utile anche leggere le opere occidentali tradotte. Morteza Motahhari, un insigne complice di Khomeini, ha scritto un approfondito e plausibile studio sul Marxismo, in lingua persiana.
Innumerevoli luminari intellettuali del fondamentalismo condividono un bagaglio di conoscenze tecnologiche. Erkaban è giunto rapidamente all'apice della professione ingegneristica in Turchia, come professore ordinario presso la Technical University di Istanbul; come direttore in una fabbrica produttrice di motori a diesel e perfino come capo della Camera di Commercio del Paese. Il suo partito politico è talora noto come il «Partito degli ingegneri«». Layth Shubaylat, un agitatore giordano, è altresì presidente dell'Associazione giordana degli ingegneri. Questi uomini vanno particolarmente fieri di essere in grado di sfidare l'Occidente, nell'area della sua maggiore forza.
Gli odierni terroristi tendono a prediligere il settore scientifico, anche se sono meno esperti. Ramzi Yusuf, la mente ideatrice dell'attentato al World Trade Center, è un ingegnere elettronico ed esperto in esplosivi, in possesso di un diploma avanzato conseguito presso il Swansea Institute, nel Galles Meridionale (UK);[xi] Nidal Ayyad era un intraprendente ingegnere chimico del Genio Radiotelegrafisti e Segnalatori Alleato ed Eyad Ismail ha studiato informatica e ingegneria alla Wichita State University. Questo stesso schema attecchisce in Medio Oriente: Salah `Ali `Uthman, uno dei tre terroristi che fecero saltare in aria un autobus a Gerusalemme, l'1 luglio 1993, era uno studente di informatica all'Università di Gaza. Il più celebre terrorista antisionista degli ultimi anni è un certo Yahya Ayyash, soprannominato «l'Ingegnere». Molti fondamentalisti egiziani, impegnati nella violenza contro il regime, hanno una laurea nel settore scientifico, incluso il leader del gruppo che nel 1981 assassinò Anwar as-Sadat.
La conoscenza fondamentalista dell'Occidente sembra focalizzarsi sull'ingegneria e sulle commedie, ma non si limita a questo. In una professione di fede pronunciata dalla sua cella del carcere di Manhattan, Ramzi Yusuf ha citato l'Encyclopedia Britannica e The New York Times, come pure le leggi della fisica di Newton.[xii] Questo uomo non è un bifolco. Uno dei suoi amici racconta che una saliente peculiarità di Ramzi Yusuf era il suo notorio piacere nell'imparare nuove lingue, di conoscere nuove culture e persone, per poi farle saltare in aria.[xiii]
Pertanto la conoscenza approfondita dell'Occidente rivela chi sono i fondamentalisti: essi non sono dei buzzurri che vivono in aperta campagna, ma degli individui moderni, assolutamente evoluti, molti dei quali laureati. Nonostante tutti loro parlino di ricreare la società del Profeta Maometto, i fondamentalisti sono delle persone moderne, capaci di affrontare la vita odierna. Sono donne che lottano per difendere la loro virtù su autobus superaffollati; imprenditori che tentano di vivere secondo le tradizioni coraniche in tema di usura e, ingegneri che codificano il significato spirituale del computer.
Ignoranza dell'Islam tradizionalista
Se i fondamentalisti mostrano un'ostentata familiarità con i costumi occidentali, sono invece estranei alla loro stessa cultura. Turabi ha confessato a un intervistatore francese: "Conosco meglio la storia della Francia di quella del Sudan; amo la vostra cultura, i vostri pittori e i vostri musicisti".[xiv] Ma egli non ha avuto altrettante parole elogiative per i pittori e i musicisti sudanesi. Essendosi accostati all'Islam da adulti, molti fondamentalisti disconoscono la loro storia e le loro tradizioni. Martin Kramer osserva che alcuni di coloro che appartengono "alla nuova generazione di fondamentalisti islamici, pur essendo musulmani dalla nascita, ignorano la tradizione islamica e, talvolta, considerano l'Islam esclusivamente un'ideologia di potere".[xv] Ali Chebbi, ministro della Religione, in Tunisia, va oltre affermando che "essi ignorano i fatti fondamentali dell'Islam".[xvi] Come Mawdudi, questi autodidatti mettono insieme un po' di questo e un po' di quello, come spiega Seyyed Vali Reza Nasr:
"L'espressione in formule di Mawdudi non si fondava affatto sull'Islam tradizionalista. Egli ha adottato idee, valori, meccanismi, procedimenti e idiomi moderni, inserendoli in un tessuto islamico… non ha cercato di far risorgere un ordine atavico, ma ha tentato piuttosto di modernizzare i concetti tradizionali di pensiero e di vita islamici. La sua visione ha significato una chiara rottura con la tradizione islamica e una fondamentalmente nuova interpretazione dell'Islam, che segue l'esempio del pensiero moderno".[xvii]
Riflettendoci bene, questa ignoranza non è sorprendente. I fondamentalisti sono degli individui che hanno ricevuto un'istruzione moderna e che cercano di trovare delle soluzioni ai problemi moderni; ovviamente conoscono meglio i costumi occidentali che le tradizioni del loro proprio Paese. Può darsi che il Profeta sia la loro fonte di ispirazione, ma essi si accostano a lui attraverso il filtro ideologico della fine del secolo XX. Nel procedimento sostituiscono involontariamente i costumi occidentali all'Islam tradizionalista.
L'Islam tradizionalista – l'immensamente gratificante fede di quasi un miliardo di credenti – ha sviluppato una civiltà che per oltre un millennio ha disciplinato le vite di giovani e anziani, di ricchi e di poveri, di sapienti e di analfabeti, di marocchini e di malesi. Alienati da questa tradizione, i fondamentalisti ne fanno a meno, nell'impresa chimerica di ritornare ai puri e semplici costumi dell'epoca di Maometto. Per collegarsi spiritualmente ai primi anni dell'Islam, quando il Profeta era vivo e la fede era nuova, essi tentano di fare un salto indietro di tredici secoli. Le questioni più terrene li inducono a rievocare i tempi del Profeta. Un autore descrive così «la tecnica di sopravvivenza» impiegata nelle università americane dagli studenti musulmani per mantenere la loro identità islamica "come fecero i primi musulmani ai tempi della Hijra (dalla Mecca alla Medina)".[xviii]
I fondamentalisti non si considerano legati alla tradizione, ma ritengono di aver avviato un'impresa estremamente insolita. Secondo il leader spirituale iraniano, ‘Ali Hoseyni Khamene'i, "nel corso della storia non è esistito un sistema islamico come quello creato dall'imam (Khomeini)…, fuorché all'inizio (dell'Islam), e non esiste altrove nel mondo odierno".[xix] In modo simile, Ghannushi asserisce che "l'Islam è antico ma il movimento islamista è recente".[xx] Nel disconoscere un intero millennio, i fondamentalisti si disfano di gran parte del loro retaggio dal grande corpo della dottrina coranica alle recenti interpretazioni giuridiche. Essi non si sono lasciati sedurre dai fasti dell'architettura delle moschee.
Al contrario, essi ammirano le efficienti fabbriche e gli eserciti. Ai loro occhi, come a quelli di un burocrate svedese che si occupa di assistenza, il mondo musulmano è un luogo arretrato che necessita urgentemente di una riforma attraverso l'adozione di metodi occidentali. Quando questo processo procede lentamente, essi biasimano l'Occidente di tenersi stretto la propria tecnologia. Pertanto, `Ali Akbar Mohtashemi,, l'irriducibile radicale iraniano, si lamenta mestamente che "gli Stati Uniti e l'Occidente non ci hanno dato la tecnologia" per ottenere ciò che egli definisce in modo bizzarro «la scienza dell'industrializzazione».[xxi]
L'obiettivo dei fondamentalisti risulta essere non un ordine genuinamente islamico, ma piuttosto una versione di sapore islamico della realtà occidentale. Ciò è in particolar modo chiaro in quattro settori: religione, vita quotidiana, politica e sfera giuridica.
I. Imitare la Cristianità
Non era di certo loro intenzione, ma i musulmani fondamentalisti hanno introdotto nell'Islam alcune nozioni decisamente cristiane.
Una struttura di tipo ecclesiastico. L'Islam tradizionale era caratterizzato da organizzazioni informali. Di fatto, ogni decisione importante – stabilire un testo canonico del Corano; escludere l'indagine filosofica o, scegliere a quali studiosi religiosi prestare attenzione – veniva presa in modo non gerarchico e consensuale. Questo è stato il genio di tale religione e ciò significa che i governanti che tentarono di controllare le istituzioni religiose fallirono abitualmente.
I fondamentalisti, ignari di questo retaggio, hanno costituito delle strutture di tipo chiesastico. La tendenza prese piede in Arabia Saudita, ove le autorità dettero vita a una serie di nuove istituzioni. Già nel 1979, Khalid Durán scriveva a proposito dell'apparizione di una "gerarchia sacerdotale dotata di un apparato clericale":
Un certo numero di funzionari religiosi ha ricoperto posti senza precedenti, ad esempio: il Segretario della Lega Musulmana Mondiale, il Segretario generale della Conferenza Islamica, il Rettore dell'Università Islamica di Medina e così via dicendo. Per la prima volta nella storia, l'imam di Ka'ba è stato in visita presso Paesi stranieri come se fosse un Nunzio apostolico.[xxii]
La Repubblica islamica dell'Iran ha seguito il modello saudita ed è andata oltre, istituendo un controllo di tipo cattolico del clero, come spiega Shahrough Akhavi:
La centralizzazione che ebbe luogo nell'ordinamento religioso iraniano è senza precedenti e i provvedimenti presi ricalcano gli schemi della tradizione clericale ecclesiastica, tipici dell'Occidente. Ad esempio, nel 1982, Khomeini favorì «la sconsacrazione» e «la scomunica» del suo principale rivale, l'ayatollah Muhammad Kazim Shari'atmadari (morto nel 1986), benché nell'Islam non sia mai esistito un meccanismo del genere. Altre tendenze, come l'accentrato controllo sui budget, la nomina dei professori, i programmi seguiti nei seminari, la creazione di milizie religiose, l'accentramento della rappresentazione degli interessi e la creazione di un Kulturkampf nel settore delle arti, la famiglia e altre questioni sociali, rivelano la crescente tendenza di creare in Iran «un episcopato islamico».
E la cosa ancor più straordinaria, osserva Akhavi, è stata la decisione di Khomeini di proclamarsi Papa:
La pratica di Khomeini di diffondere autorevoli fatwas, l'obbedienza alle quali viene resa obbligatoria, si avvicina a quella di un giureconsulto, con poteri non dissimili a quelli del Papa nella Chiesa cattolica. Dopotutto, in passato, la sottomissione a un particolare fatwas clericale non è stata obbligatoria.[xxiii]
Nel creare questa falsa gerarchia cristiana, i fondamentalisti hanno inventato qualcosa di più occidentale che islamico.
Venerdì musulmano = sabato ebraico. In una simile confusione, i fondamentalisti hanno trasformato il venerdì in un giorno di riposo, qualcosa che non era mai successo prima. Tradizionalmente il venerdì era un giorno di preghiera e non di riposo. Per meglio dire, l'idea del giorno di riposo è estranea allo spirito infervoratamene monoteistico dell'Islam, che considera come falsamente antropomorfico il concetto di Dio che ha bisogno di un giorno di riposo. Piuttosto, il Corano (62,9-10) insegna ai musulmani di "abbandonare il lavoro" solo quando pregano; una volta ultimate le loro preghiere, essi dovrebbero "sparpagliarsi in giro per il mondo e andare in cerca della generosità di Dio", in altre parole, dovrebbero dedicarsi al commercio. Un giorno di riposo, sa pertanto di pratiche ebraiche e cristiane, e alcune delle tradizionali autorità islamiche hanno in effetti sconsigliato l'imitazione del venerdì. In molti luoghi e in molti periodi storici, i musulmani hanno lavorato di venerdì, sospendendo le attività solo per dedicarsi al servizio comunitario.
Nell'era moderna, gli Stati musulmani hanno imitato l'Europa e hanno adottato un giorno di riposo. Nel 1829, l'Impero ottomano cominciò a chiudere gli uffici governativi al venerdì, un giorno religiosamente neutrale. Gli imperialisti cristiani imposero la domenica come giorno di riposo settimanale in tutte le loro colonie, una consuetudine adottata anche dai governanti musulmani; ad esempio, nel 1935, la Repubblica della Turchia fece lo stesso, mostrandosi in gran parte sensibile agli interessi commerciali del calendario europeo. Con l'indipendenza, di fatto ogni governo musulmano ereditò il riposo domenicale e lo ha mantenuto. S. D. Goitein, il più eminente studioso di questo argomento, osserva che gli Stati musulmani lo hanno fatto "in risposta alle esigenze della vita moderna e su imitazione dei precedenti occidentali".[xxiv]
Di recente, dal momento che il giorno di riposo domenicale è tornato ad essere considerato troppo occidentale, i governanti musulmani hanno rivendicato le loro identità islamiche, eleggendo il venerdì come giornata festiva. Non hanno compreso che, così facendo, hanno perpetuato un'usanza tipicamente giudaico-cristiana. E dal momento che il venerdì è stato trasformato in giorno di vacanza (per gite con la famiglia, per assistere alle manifestazioni sportive, etc.), i musulmani hanno imitato il weekend occidentale.[xxv] P. Lewis, Isl Britain 198
I musulmani si sono cristianizzati anche in altri modi. Con la sola eccezione degli Ismaeliti, i musulmani tradizionalisti non hanno pensato di diffondere l'Islam; l'opera missionaria veniva svolta da individui come i mercanti. Solo nel secolo XIX, messi di fronte a un'opera missionaria cristiana organizzata, i musulmani resero pan per focaccia. Come risulta da questa descrizione di giochi atletici, sponsorizzati da una propaggine di Hamas all'interno di Israele, nel tentativo di far sì che i fondamentalisti novellini vengano addestrati alle arti marziali:
I giochi sono sempre preceduti da preghiere e procedono senza invettive e liti tra giocatori e fan. I giocatori indossano dei pantaloni lunghi e a fine gioco, i membri di ogni team abbracciano i loro avversari, assaporano un pasto di festa e recitano una preghiera comunitaria per entrambe le squadre.[xxvi]
II. Femminismo
Se si osserva l'ordine creato dai fondamentalisti, risulta chiaro che essi si siano parecchio rifatti all'Occidente. Prendiamo la struttura dei loro governi: anche l'ayatollah Khomeini, che è stato il più tradizionalista della maggior parte degli islamisti, ha istituito un governo apparentemente basato sui puri principi dell'Islam sciita, ossia una Repubblica fondata su una Costituzione che rappresenta la Nazione attraverso le decisioni prese da un Parlamento, scelto grazie a delle elezioni popolari – concetti questi tutti occidentali.[xxvii]
Quando hanno cominciato a capire la storia, i musulmani tradizionalisti hanno pensato che il mondo fosse statico oppure decisamente in declino. L'epoca di Maometto è stata la migliore, e da allora ogni generazione ha dato prova di degenerazione. È avulsa l'idea del progresso, così radicato nell'Occidente moderno. In questa visione del mondo "non c'è spazio per lo sviluppo o per l'avanzamento e il miglioramento sociale".[xxviii] Al contrario, i fondamentalisti credono che dei profondi cambiamenti siano in cammino, e molto probabilmente per il meglio. Sayyd Qutb, uno dei più influenti pensatori fondamentalisti, ha accettato il concetto marxista di stadi storici, limitandosi ad aggiungere uno stadio islamico. Intorno al 1950, egli predisse che il secolo XX avrebbe provato la fine del capitalismo in Occidente e la nascita del comunismo. Ma se quest'ultimo sarebbe riuscito a soddisfare i bisogni materiali, non avrebbe soddisfatto quelli spirituali. "A questo stadio", arguisce Qutb, "l'Islam sarebbe l'unico candidato alla guida per l'umanità".[xxix] Ebbene, alcuni dettagli forniti da Qutb sono inesatti, ma ciò che è particolarmente interessante è il modo in cui egli accetta il concetto marxista (e assolutamente non-islamico) della storia che si sviluppa per stadi.
Ma probabilmente i più importanti occidentalismi della vita odierna, che i musulmani fondamentalisti hanno introdotto, sono quelli riguardanti le donne. Portare il velo in testa e separare le donne dagli uomini, potrebbe sembrare arcaico, e in questo i fondamemtalisti sono d'accordo, ma non è così. Oggi, i fondamentalisti sposano delle idee più affini al femminismo di tipo occidentale di qualunque punto di vista nutrito dall'Islam tradizionalista.
Gli uomini musulmani tradizionalisti, di certo, non sono fieri della libertà e dell'indipendenza delle loro donne, ma i fondamentalisti lo sono. Ahmad al-Banna, figlio del fondatore dei Fratelli Musulmani d'Egitto, adotta una visione femminista che lo induce a dare una nuova interpretazione della storia musulmana conformemente ai criteri occidentali: "È da quindici secoli che le donne musulmane sono libere e indipendenti. Per quale motivo dovrebbero seguire l'esempio delle donne occidentali, così dipendenti dai loro mariti nelle questioni importanti?"[xxx]
Gli uomini musulmani tradizionalisti vanno orgogliosi del fatto che le loro donne stiano a casa; nelle famiglie agiate, esse quasi mai abbandonano i loro confini. Hasan at-Turabi la pensa in modo del tutto differente: "Oggi, in Sudan, le donne sono presenti nell'esercito, nella polizia, nei ministeri; si trovano ovunque e sono sullo stesso piano degli uomini".[xxxi] Turabi va fiero del fatto che il movimento islamico abbia aiutato "le donne a emanciparsi".[xxxii] In osservanza dell'adagio che "la migliore moschea per le donne si trova all'interno delle mura domestiche", le donne tradizionaliste hanno pregato in casa, e i settori femminili delle moschee sono stati trascurati; ma le donne fondamentaliste sono delle assidue frequentatrici dei servizi pubblici e le nuove moschee concedono perciò molto più spazio ai settori riservati alle donne.
Per secoli, il velo femminile è servito allo scopo principale di aiutare la donna a difendere la propria virtù; oggi, soddisfa l'obiettivo femminista di facilitare la carriera. Le donne musulmane che indossano "abiti islamici", scrive un analista occidentale, sono in genere colte e spesso si trovano nelle più prestigiose facoltà universitarie di medicina, ingegneria e in quelle a carattere scientifico, e i loro abiti stanno ad indicare che, pur se esse si dedicano agli studi e a una carriera nel settore pubblico, sono delle donne pie e virtuose. Laddove le altre donne vengono di frequente molestate in pubblico, esse vengono rispettate e anche temute. Dalla fine degli anni ´80, l'abito islamico è divenuto la norma per le donne delle classi medie che non desiderano farsi compromettere la reputazione dalle attività pubbliche. Le boutiques offrono abiti in stile parigino che seguono i criteri di modestia islamica.[xxxiii]
La creazione di un ordine islamico in Iran, per ironia della sorte, ha probabilmente aperto alle pie donne innumerevoli opportunità fuori di casa. Esse sono forza-lavoro e prestano benissimo servizio nell'esercito. Un leader parlamentare si vanta, a ragione, del fatto che l'Iran abbia il miglior primato femminista del Medio Oriente, e lo attribuisce al numero di donne presenti nell'istruzione superiore.[xxxiv] In accordo a quanto detto, una delle nipoti di Khomeini ha frequentato la facoltà di legge e si è poi trasferita a Londra con suo marito, uno specializzando in cardiochirurgia; un'altra organizza manifestazioni sportive per donne. Sayyid Muhammad Khatami, presidente dell'Iran, ha dichiarato con orgoglio che "sotto la Repubblica islamica, le donne hanno ottenuto i pieni diritti a partecipare alle attività sociali, culturali e politiche".[xxxv]
Se il velo simboleggia un'incontenibile ( e pertanto distruttiva) sessualità femminile, i fondamentalisti lo considerano come segno della sua ammissibilità. Turabi dichiara: "Sono per l'eguaglianza tra i sessi"; e prosegue con lo spiegare come indossare il velo aiuti a soddisfare questo fondamentale obiettivo femminista: "Una donna che non porta il velo non è eguale agli uomini. Non viene considerata allo stesso livello di un uomo. Viene guardata per vedere se è bella, se possa essere desiderabile. Se indossa il velo, la donna viene considerata un essere umano, non un oggetto di piacere o un'immagine erotica".[xxxvi]
Stranamente, alcuni fondamentalisti ritengono che il velo non simboleggi la carriera e l'eguaglianza, ma qualcosa del tutto differente: la sessualità positiva. Samira Isma'ili, una donna di Sharjah, allude a ciò quando sottintende all'essere completamente coperta: "l'anonimato mi rende libera".[xxxvii] Shabbir Akhtar, uno scrittore inglese, è più esplicito: per lui, il velo serve "a creare una cultura veramente erotica in cui si fa a meno del bisogno dell'eccitamento artificiale che procura la pornografia".[xxxviii] I musulmani tradizionalisti non hanno affatto bisogno di mettere in evidenza che non considerano i veli dei surrogati della pornografia.
III. Trasformare l'Islam in un'ideologia
L'Islam tradizionalista ha dato importanza ai rapporti tra Dio e l'uomo, minimizzando però i rapporti con lo Stato. Il diritto è stato posto in primissimo piano, la politica ha avuto un ruolo marginale. Nel corso dei secoli, i pii musulmani hanno evitato qualsiasi contatto con l'autorità pubblica, che non rivestiva pressoché alcun significato per loro, ma solo preoccupazioni (tasse, arruolamenti, lavoro ingrato e gravoso). Però hanno compiuto dei grossi sforzi per vivere secondo la Shari'a.
Contagiati dal male del secolo XX, i fondamentalisti hanno posto la politica «al centro» del loro programma.[xxxix] Essi considerano l'Islam, più che una struttura nella quale ognuno vive la propria vita, come un'ideologia che circola in tutte le società. Proclamando: "l'Islam è la soluzione!", essi convengono con l'iraniano Khamenei che l'Islam "abbonda di insegnamenti su come governare uno Stato, su come gestire un'economia, stabilire legami e rapporti sociali tra popoli; e ridonda di ammaestramenti su come condurre una famiglia".[xl] Per i fondamentalisti l'Islam rappresenta il modo per arrivare al potere. Come rileva un funzionario egiziano di grado molto elevato, per loro "l'Islam non è un insieme di precetti oppure un culto, ma bensì un sistema di governo".[xli] Olivier Roy ritiene che l'ispirazione fondamentalista sia molto più di natura materiale che spirituale: "Per molti di loro il ritorno alla religione è una conseguenza della loro esperienza politica, e non un effetto della fede religiosa".[xlii]
In modo significativo, i fondamentalisti non paragonano l'Islam alle altre religioni, ma alle altre ideologie. "Non siamo socialisti, né capitalisti. Siamo islamici",[xliii] dice il malese Anwar Ibrahim. I Fratelli Musulmani d'Egitto affermano di non essere né socialisti né capitalisti, ma solo «musulmani»".[xliv] Questo paragone potrebbe sembrare esagerato – socialismo e capitalismo sono universali, l'Islam fondamentalista è limitato ai musulmani – ma non lo è, poiché i fondamentalisti offrono la loro ideologia anche ai non-musulmani. Rifacendoci a un esempio importante, nel gennaio 1989, Khomeini inviò una lettera a Michael Gorbachev rivendicando l'universalità dell'Islam. Nell'osservare il crollo dell'ideologia comunista, l'Ayatollah scongiurò il Presidente sovietico a non rivolgersi all'Occidente per una sostituzione, ma all'Islam.
Insisto vivamente affinché nell'abbattere i muri delle fantasie marxiste tu non incappi nella prigione dell'Occidente e del Grande Stana… Ti richiamo a studiare seriamente e a condurre delle ricerche sull'Islam… Ti annuncio pubblicamente che la Repubblica islamica dell'Iran, essendo la base maggiore e più importante del mondo islamico, è in grado di aiutare facilmente a riempire il vuoto ideologico del tuo sistema.[xlv]
Come spiegato da un importante ufficiale iraniano, questa lettera "intendeva porre fine a… opinioni essenzialmente espresse da noi, riguardo il mondo islamico. Noi parliamo a nome del mondo".[xlvi] Potrebbe anche essere il caso – solo Khomeini allude a ciò – che essendosi l'Islam disincarnato dalla fede, egli si aspettava che un non-musulmano come Gorbachev adottasse i costumi islamici senza essere un musulmano. Se così fosse, allora si è verificata una trasformazione integrale dell'Islam dalla fede al costrutto politico.
IV. Rivedere la legge sacra
Proprio mentre i fondamentalisti rendono omaggio alla sacra legge islamica, essi la trasformano in un codice di tipo occidentale e scompaiono le peculiarità della Shari'a, vecchie di tre secoli: la sua elaborazione effettuata da parte di studiosi indipendenti, la sua precedenza sugli interessi di Stato e la sua applicazione alle persone piuttosto che ai territori.
Sviluppata dallo Stato. Nel corso dei secoli, i giuristi (faqihs) hanno scritto e interpretato da soli la legge islamica, con poca ingerenza da parte dei governi. Ben presto, i giuristi stabilirono che loro ne dovessero rispondere a Dio e non al principe. Joseph Schacht, un importante studioso di questo argomento, spiega: "il califfo, sebbene fosse il capo assoluto delle comunità musulmane, non aveva il potere di legiferare ma aveva solo quello di dettare disposizioni amministrative nei limiti disposti dalla Legge sacra".[xlvii] I governanti hanno provato a dettare le clausole ai giuristi, ma non ci sono riusciti. Dall'833 all'849 d.C., quattro califfi consecutivi imposero la loro visione della natura del Corano (che è stato creato da Dio, al contrario di quanto sostenuto dagli studiosi religiosi, che ritenevano che esso esistesse da sempre). Nonostante gli energici tentativi da parte dei califfi (compresa la fustigazione di un'autorità religiosa molto importante), lo sforzo fallì e con esso le pretese da parte dei politici di stabilire i contenuti dell'Islam.
I giuristi detennero l'assoluto controllo della legge islamica fino al secolo XIX, quando i governanti inglesi, francesi e di altri Stati europei, codificarono la Shari'a come un corpo giuridico statale di tipo occidentale. Gli Stati musulmani indipendenti, come l'Impero ottomano, seguirono la guida europea e codificarono altresì la Shari'a. Con l'indipendenza, tutti i governanti musulmani mantennero l'abitudine europea di trattenere la legge sotto il ferreo controllo statale; a partire dagli anni Sessanta, solo in Arabia Saudita essa mantenne l'autonomia.
Nel 1969, il libico Mu'ammar al-Qadhdhafi iniziò la nuova ondata di ampliamento del contenuto delle leggi statali (ad esempio, le leggi penali). Lo fece da governante, servendosi dell'apparato statale per obbligare i giuristi a eseguire i suoi ordini. Fu così che in molti Paesi i musulmani fondamentalisti emularono Qadhdhafi, ponendo la Shari'a sotto l'autorità statale, proprio quando essi avevano esteso la sua portata. Riuscirono facilmente a tornare alla vecchia legge dei giuristi, ma mantennero le procedure avviate dalle Potenze europee.
Se in rare occasioni i fondamentalisti protestano contro la sovranità giuridica da parte dello Stato, ciò è poco convincente. Turabi rileva che "il governo islamico non è assoluto poiché è l'Islam ad essere un assoluto modo di vita, e se lo si riduce ad essere un governo, allora quest'ultimo sarebbe onnipotente. E l'Islam non è questo."[xlviii] L'enorme potere che Turabi ha in Sudan, rende difficile prendere sul serio questa critica. I fondamentalisti accettano i costumi occidentali poiché, innanzitutto, conoscono il sistema imperialista molto meglio di un musulmano tradizionalista, e pertanto perpetuano le sue usanze. In secondo luogo, come fa notare Ann Mayer della Wharton School, tornare agli standard di vita dei musulmani tradizionalisti "implica che i governi rinuncino al potere che avevano ottenuto sull'ordinamento giudiziario, quando è stata in origine adottata la legge di stampo europeo".[xlix] E perché dovrebbero farlo?
Gli interessi dello Stato hanno la precedenza. Il subentrare dello Stato causa costantemente dei problemi. Probabilmente il più importante è quello che nello schema tradizionale i giuristi mantengono gelosamente la loro indipendenza nell'interpretare le leggi. Essi hanno insistito che gli imperativi di natura divina avessero assoluta priorità su quelli del sovrano; e che le leggi aventi per oggetto la preghiera, i digiuno del Ramadan o il pellegrinaggio alla Mecca, non venissero mai sottoposte ai capricci dei despoti. I giuristi la hanno avuta vinta, poiché difficilmente un singolo sovrano o un presidente, e nemmeno un secolarista così fervente come il turco Kemal Atatürk, ebbero la temerarietà di interferire con i comandamenti del Signore.
Ma l'ayatollah Khomeini lo ha fatto. Nel gennaio 1988, egli emise seccamente un editto contravvenendo a questo antico presupposto islamico. In uno straordinario, ma semi-sconosciuto documento, l'Ayatollah asseriva che: "Il governo è autorizzato unilateralmente ad abolire i suoi accordi giuridici con la gente e… a prevenire ogni cosa, di natura spirituale o materiale, che costituisca una minaccia ai suoi interessi". Ciò sta a significare che, "per l'Islam le esigenze del governo rimpiazzano ogni dogma, inclusi anche quelli della preghiera, del digiuno e del pellegrinaggio alla Mecca".[l] Subordinare queste leggi alla ragione di Stato sortisce l'effetto di sminuire la Shari'a, tanto da renderla irriconoscibile.
Khomeini – un erudito classicista, un'autorità in fatto di legge islamica ,[li] e un'eminente figura religiosa – giustificò questo editto col dire che gli interessi della Repubblica islamica fossero sinonimi degli interessi dello stesso Islam. Ma ciò non spiega affatto un passo così radicale e senza precedenti. La vera ragione sta nel fatto che, come innumerevoli altri governanti del secolo XX, egli voleva detenere il controllo della vita spirituale del suo Paese. Hitler, Stalin e Mao subordinarono la religione allo Stato, perché non avrebbe dovuto farlo Khomeini? Il suo editto subordinò l'Islam allo Stato totalitario. Khomeini poteva apparire medievale, ma era un uomo moderno, profondamente colpito dalle idee totalitarie che scaturivano dall'Occidente.
Più in generale, era previsto il caso che, solo dei giuristi altamente qualificati potessero legiferare. Adesso, nessuno che disponga di potere politico – che siano gli elettori, i parlamentari o un despota militare – ha la potenziale autorità sul risultato. Ciò conduce inevitabilmente alla legge che diventa uno strumento del potere statale.
Applicazione della legge alle giurisdizioni geografiche. Nell'Islam tradizionalista (come nel giudaismo) le leggi si applicano alle persone e non (come in Occidente) al territorio. Non importa dove viva un musulmano, nella propria terra o in diaspora: egli deve seguire la Shari'a. Al contrario, non è necessario che un non-musulmano segua le sue direttive. Ad esempio, un musulmano non potrebbe bere whisky sia che viva a Teheran ovvero a Los Angeles; e un non-musulmano potrebbe berlo in entrambi i luoghi. Ciò porta a delle situazioni complesse, in base alle quali, una serie di norme si applicano a un ladro musulmano che deruba un musulmano; un altro complesso di leggi si applicano a un cristiano che deruba un cristiano, e così via dicendo. La cosa importante è chi tu sia, e non dove ti trovi.
Invece, le nozioni giuridiche europee si basano sulle giurisdizioni. Se si commette un crimine in questa città o Stato, qui si verrà puniti; se lo si commette in un'altra città, si verrà puniti là. Anche le autostrade hanno le loro leggi. Ciò che conta è dove tu ti trovi, e non chi tu sei.
Essendo i fondamentalisti ignoranti dello spirito che permea la Shari'a, essi la applicano su base territoriale e non personale; Turabi dichiara che l'Islam "accoglie il territorio come base della giurisdizione".[lii] Pertanto, sono emerse delle differenze nazionali. Il governo libico fustiga tutti gli adulteri. Il governo pakistano fustiga i rei che non sono sposati e lapida quelli sposati. Il Sudan ne imprigiona alcuni e ne impicca altri. L'Iran annovera ancor più punizioni, inclusi la rasatura del capo e un esilio della durata di un anno.[liii] Nelle mani dei fondamentalisti, la Shari'a diventa una semplice variante della legge territoriale occidentale.
Questa nuova comprensione tocca in modo più clamoroso i non-musulmani, la cui millenaria esclusione dalla Shari'a è finita. Adesso devono vivere da musulmani di fatto. ´Umar ´Abd ar-Rahman, lo sceicco egiziano rinchiuso in una cella americana, è risoluto a riguardo: "è risaputo che nessuna minoranza di qualsiasi Paese ha delle proprie leggi".[liv] ´Abd al- ´Aziz ibn Baz, il leader religioso saudita, richiama i non-musulmani al rispetto del digiuno durante il Ramadan. In Iran, le donne straniere non potrebbero avere le unghie laccate – poiché in tal modo sarebbero impure per la preghiera (islamica). All'entrata del Paese, le autorità forniscono alle turiste degli stracci imbevuti di benzina e insistono affinché si tolgano lo smalto dalle unghie. Un partito fondamentalista malese vuole regolamentare quanto tempo possano trascorrere insieme uomini e donne cinesi che non sono legati da rapporti di parentela.
Questa nuova interpretazione della legge islamica crea dei grossi problemi. Anziché lasciare liberi i non-musulmani di regolamentare la propria condotta, come ha fatto l'Islam tradizionalista, il fondamentalismo cerca di introdursi nelle loro vite, per fomentare dei grossi risentimenti e per indurli a volte alla violenza. I palestinesi cristiani, allevatori di maiali, trovano i loro animali misteriosamente avvelenati. Il milione o due di cristiani che vivono nella parte settentrionale del Sudan, a predominanza musulmana, devono osservare di fatto tutte le disposizioni della Shari'a. Nel Sudan meridionale, la legge islamica sovrasta le leggi del governo centrale, sebbene «certi» provvedimenti della Shari'a non trovino applicazione lì;[lv] se il governo conquistasse l'intera parte meridionale del Paese, tutti i provvedimenti entrerebbero in vigore, una prospettiva che da quaranta anni mantiene viva una guerra civile.
[i] Ash-Sharq al-Awsat, 17 March 1995.
[ii] The New York Times, 4 August 1995.
[iii] The New York Times, 5 August 1995.
[iv] Radio Monte Carlo, 3 agosto 1995.
[v] Le Figaro, 15 April 1995. Turabi è proprio quel leader fondamentalista che va fiero della sua conoscenza dell'Occidente – con la grande eccezione dell'ayatollah Khomeini, un arcigno ottuagenario. È emblematico di questa mancanza di curiosità il fatto che egli trascorse quasi quattro mesi in un sobborgo di Parigi senza mettere piede nella capitale. Heikal, Iran 135.
[vi] Robert H. Pelletreau, Jr. e altri, "Symposium: Resurgent Islam in the Middle East", «Middle East Policy», vol. 3, n.2 (Fall 1994) p. 20.
[vii] The New York Times, 28 July 1995. Lì è stato membro attivo dell'United Association for Studies and Research, un'organizzazione che gode dell'appoggio di Hamas.
[viii] Hamid Dabashi, Theology of Discontent: The Ideological Foundations of the Islamic Revolution in Iran (New York: New York University Press, 1993), p.326.
[ix] Olivier Roy, Islam and Resistance in Afghanistan, trans. by First Edition (Cambridge, Eng. : Cambridge University Press, 1986), p.68.
[x] Ronald L. Nettler, Past Trials and Present Tribulations: A Muslim Fundamentalist's View of the Jews (Oxford: Pergamon, 1987), p. 26.
[xi] Mary Anne Weaver, "Children of the Jihad", The New Yorker, 12 June 1995. Egli dichiara di possedere queste cognizioni tecniche in due interviste, rilasciate rispettivamente a Al-Hayat, il 12 aprile 1995, e a Al-Majalla, il 28 maggio 1995.
[xii] Un documento senza titolo, messo in circolazione da Ramzi nell'aprile 1995, che esordiva così: "Il mio nome è ABDUL-BASIT BALOCHI…".
[xiii] Weaver, "Children of the Jihad". La Weaver racconta altresì che lo zio materno di Ramzi Yusuf, che è ricercato dalla polizia pakistana in quanto coinvolto nella violenza fondamentalista, era direttore regionale della sede svizzera dell'organizzazione benefica Mercy International.
[xiv] Le Figaro, 15 aprile 1995.
[xv] Martin Kramer, "The Jihad against the Jews", «Commentary», October 1994, p.39.
[xvi] The Wall Street Journal, 22 June 1995.
[xvii] Seyyed Vali Reza Nasr, The Vanguard of the Islamic Revolution: The Jama'at-i Islami of Pakistan (Berkeley: University of California Press, 1994), pp.7-8. Per una dettagliata esposizione dell'orientamento occidentale di Mawdudi, cfr. Seyyed Vali Reza Nasr, Mawdudi and the Making of Islamic Revivalism (New York: Oxford University Press, 1996).
[xviii] Shahed Amanullah, The Minaret, July-August 1994. Isl in I Am Fall'94 p.22.
[xix] Voice of the Islamic Republic of Iran, 4 June 1994.
[xx] Citato in François Burgat and William Dowell, The Islamic Movement in North Africa (Austin Tex. : Center for Middle Eastern Studies, University of Texas, 1993, p.9).
[xxi] Shahid, Farvadin 1369/1990., 4 May.
[xxii] Detlev H. Khalid (Khalid Durán), "The Phenomenon of Re-Islamization", Aussenpolitik, 29 (1978): 448-49.
[xxiii] Shahrough Akhavi, "`Ulama': Shi'i `Ulama' ", in John L. Esposito, ed., The Oxford Encyclopedia of the Modern Islamic World (New York: Oxford University Press, 1995) vol. 4, p.263.
[xxiv] S.D.Goitein, Studies in Islamic History and Institutions, (Leiden: E. J. Brill, 1968), p.111, n.1).
[xxv] Di tanto in tanto, un musulmano riconosce questa distorsione. Come nel caso di Omar Bakri Muhammad, qadi della cosiddetta Corte della Shari'ah del Regno Unito: "Sfortunatamente, alcuni musulmani sono diventati dei consumatori della cultura occidentale fino al punto che molti musulmani celebrano e considerano il venerdì come un giorno festivo settimanale, in antitesi al sabato ebraico e alla domenica cristiana. Quando invece l'idea di un giorno festivo non esiste nell'Islam ed è in contraddizione con la cultura islamica" (sentenza del 20 dicembre 1999).
[xxvi] Ma'ariv, 3 February 1995.
[xxvii] A riguardo cfr. Asghar Schirazi, The Constitution of Iran: Politics and the State in the Islamic Republic, trans. by John O'Kane (London: I.B. Tauris, 1997).
[xxviii] W. Montgomery Watt, Islamic Fundamentalism and Modernity (London: Routledge, 1988), p. 3.
[xxix] Walid Mahmoud Abdelnasser, The Islamic Movement in Egypt: Perceptions of International Relations, 1967-81 (London: Kegan Paul International, 1994), p. 173.
[xxx] Corriere della Sera, 29 agosto 1994.
[xxxi] Le Figaro, 15 April 1995.
[xxxii] An-Nahar, 15 July 1995.
[xxxiii] Valerie J. Hoffman-Ladd, "Woman and Islam: Women's Religious Observances", in Oxford Encyclopedia, vol.4, p.330.
[xxxiv] Mohammad Javad Lariani, Resalat, 28 June 1995.
[xxxv] "An Interview with Iranian President Khatami", Middle East Insight, November-December 1997, p. 31.
[xxxvi] Le Figaro, 15 April 1995.
[xxxvii] Associated Press, 30 March 1997.
[xxxviii] Shabbir Akhtar, Be Careful With Muhammad! The Salman Rushdie Affair (London: Bellew Publishing, 1989), p. 100.
[xxxix] Burgat and Dowell, Islamic Movement, p.21.
[xl] Voice of the Islamic Republic of Iran, 7 June 1995.
[xli] Usama al-Baz, The Washington Times National Weekly Edition, 24-30 April 1995.
[xlii] Roy, Islam and Resistance, p. 80.
[xliii] The New York Times, 28 March 1980.
[xliv] Al-Ahram Weekly, 2-8 February 1995.
[xlv] Radio Tehran, January 8, 1989. Il 9 gennaio, Khomeini non è affatto l'unico fondamentalista a considerare il declino del socialismo come un'opportunità per la sua privilegiata ideologia. Il sudanese Turabi concorda: "Adesso che il socialismo è scomparso c'è un grande vuoto che solo l'Islam può riempire". La Vanguardia (Barcelona), 16 July 1995.
[xlvi] Mohammad Javad Lariani, Resalat, 28 June 1995.
[xlvii] Joseph Schacht, An Introduction to Islamic Law (Oxford: At the Clarendon Press, 1964), p.53. In realtà queste «disposizioni amministrative» equivalgono a un importante accordo giuridico.
[xlviii] Citato in Milton Viorst, "Sudan's Islamic Experiment", Foreign Affair, May/June 1995, p.53.
[xlix] Ann Mayer, "The Shari'ah: A Methodology or a Body of Substantive Rules?" in Nicholas Heer, ed., Islamic Law and Jurisprudence (Seattle: University of Washington Press, 1990), p. 182. Questa analisi si basa fortemente sul resoconto della Mayer.
[l] Keyhan, January 8, 1988. Iran Liberation, 27 Feb. Non è stata questa la sola dichiarazione del genere, da parte di Khomeini. Ad esempio, subito dopo essere arrivato al potere, egli annunciò che "servire la Nazione è come servire Dio" (Radio Tehran, 3 November 1979).
[li] Ad esempio, Sayyed Ruhollah Mousavi Khomeini, Risalat Tawzih al-Masa'il, trans. by J.Borujerdi, A Clarification of Questions (Boulder, Colo. : Westview, 1984).
[lii] Citato in Judith Miller, "Faces of Fundamentalism: Hassan at-Turabi and Muhammed Fadlallah", Foreign Affairs, Novembre/December 1994, p. 132.
[liii] Mayer, "The Shari'ah", p.193.
[liv] The New Yorker, 12 April 1993.
[lv] Minister of State Ghazi Salah ad-Din al-Atabani, citato in Milton Viorst, "Sudan's Islamic Experiment", p.51.