Cos'é il movimento religioso chiamato Islam fondamentalista? E come si spiega l'esplosione politica chiamata revival islamico?
Per tutta risposta, una serie di intrepidi giornalisti – come V.S. Naipaul, Judith Miller, Edward Mortimer, J.-P. Péronçel-Hugoz, Joyce M. Davis, Wilhelm Dietl, G.H. Jansen – prepara le valigie, prende il proprio computer portatile e si reca a visitare i punti caldi musulmani. Ogni itinerario sembra includere l'Egitto, l'Arabia Saudita e l'Iran; altre soste abituali comprendono l'Algeria, la Turchia, il Pakistan e l'Indonesia.
Essendo giornalisti, questi scrittori forniscono quasi sempre dei resoconti leggibili pieni di osservazioni interessanti e interviste mai scontate. Ma non essendo degli specialisti, la complessità dell'argomento trattato fa sì che solo alcuni di loro riescano a scrivere qualcosa di soddisfacente o che sia altresì intellettualmente coerente.
Milton Viorst, un giornalista di The New Yorker che ha viaggiato in sette paesi, non c'è riuscito. Il suo tentativo di comprendere l'Islam presenta delle pagine che contengono materiale che raccoglie testimonianze di prima mano mischiato a ciò che si può definire una divulgazione incredibilmente inesatta della dottrina. Proprio perché egli presenta questo guazzabuglio con eleganza, il lettore dovrebbe non lasciarsi convincere dallo stile sicuro e autorevole dell'autore.
È comunque positivo che il modo gentile e quasi candido adottato da Viorst nel fare domande induca i suoi interlocutori a rilasciare delle dichiarazioni franche e importanti. Un fondamentalista iraniano prevede che lo Stato islamico nel suo paese non sopravvivrà un'altra decade. Un altro dice in modo ancor più interessante di aspettarsi che i fallimenti della rivoluzione islamica in Iran "conferiranno all'Islam una pessima reputazione". Un secolarista egiziano delinea con convinzione uno scenario in cui i musulmani fondamentalisti prendono il potere, passando dalle elezioni multipartitiche alla tirannia e al tempo stesso professando le loro intenzioni democratiche.
Purtroppo, queste informazioni preziose sono circondate da un'incessante raffica di errori. Gli strafalcioni abbondano, con le parole in arabo tradotte male e con le date storpiate. L'anacronismo che preferisco è il seguente: dopo aver messo sul trono ventidue anni prima il celebre califfo Harun ar-Rashid (786-809), Viorst tenta poi di trasmettere l'atmosfera del tempo con una storia che parla della città del Cairo – città che fu fondata nel 970.
Gli avvenimenti attuali se la cavano un po' meglio nelle mani di Viorst. Egli afferma che "non un solo soldato iracheno aveva attraversato l'Arabia Saudita" durante la crisi del Kuwait nel 1990-1991, ma ignora la facile conquista irachena di Khafji, una città saudita, avvenuta il 30 gennaio 1991, e anche altri due attacchi al territorio saudita, avvenuti sempre nello stesso giorno. Gli egiziani non hanno "mai" fatto delle rivoluzioni, egli dice. Ebbene, qualcuno lo informi meglio sulla rivoluzione del 1919. "I filippini stanno raggiungendo i livelli di prosperità dell'Occidente", scrive Viorst, ma secondo il rapporto sullo sviluppo mondiale redatto nel 1997 dalla Banca Mondiale, nel 1995, il PIL pro capite delle Filippine risulta pari a 1.050 dollari, mentre quello della Grecia, il paese più povero dell'Europa occidentale, ammonta a 8.210 dollari.
Altri errori sono concettuali, dando ai lettori delle idee false. Non è vero che l'Islam si è sviluppato in un "ambiente chiuso (…) tagliato fuori dalle altre culture". Il Profeta Maometto ha vissuto alla Mecca, una città vivace, e il suo punto di vista rifletteva i costumi cosmopoliti di questa città; man mano che l'Islam si diffuse, i musulmani subirono rapidamente l'influenza indiana, persiana, ebraica, bizantina, etiope e di altri paesi.
Tornando ancora al presente, l'affermazione secondo la quale "il mondo arabo ha fatto pochi compromessi con le civiltà non musulmane, conservando intatta la sua integrità islamica" fornisce informazioni errate sugli ultimi due secoli. Gli arabofoni, infatti, si sono adattati in innumerevoli modi ai costumi occidentali, utilizzando spazzolini da denti, abolendo la schiavitù o adottando il nazionalismo. La descrizione fatta dall'autore dell'Islam fondamentalista come un movimento che "emana l'odore familiare delle vecchie moschee" è del tutto sbagliata: il fondamentalismo aspira a rompere con la tradizione in ogni cosa, dal fervore puro alla forte dipendenza dalla televisione e dai computer.
Ma la cosa ancor più grave è che Viorst si scusa per gran parte di ciò in cui s'imbatte, ravvisando il liberalismo laddove è assente. Egli parla di "principi liberali" dell'ideologia baathista (tra i cui sostenitori ci sono quei famosi filantropi come Hafiz al-Assad e Saddam Hussein). Il sedicente dittatore fondamentalista della Tunisia, Rashid al-Ghannushi, viene presentato come un uomo dedito a "promuovere un Islam modernista". Il dittatore del Sudan è descritto quasi in modo identico come una persona "di larghe vedute e tollerante" che "promuove un Islam liberale e moderno", un Islam che Viorst definisce "geniale, non rigoroso, individualista". Ditelo alle sue migliaia di vittime!
In un brano, si legge che anche l'Ayatollah Khomeini disprezzava l'Islam fondamentalista. Chi, allora, corrisponde alla descrizione del "fondamentalista"? In definitiva, Viorst si scusa per quasi ogni cosa in cui s'imbatte, lasciando intendere ai suoi lettori che il fondamentalismo è un fantasma. Non dovete preoccuparvi che qualcuno vi spari o vi faccia saltare in aria, egli sembra dire. All'ombra del Profeta si legge bene e si occupa di un argomento molto importante, ed è davvero un peccato che non possa essere raccomandato come una guida affidabile.