I sostantivi plurali del sottotitolo sintetizzano la tesi del libro, ossia che "Il fiume Nilo è un sistema idrico, ma non è un'omogenea unità geografica, climatica o ecologica". Più specificamente, "nessuna cultura è mai riuscita a diffondersi attraverso l'intero bacino del Nilo". Per un fiume che attraversa oltre 4.000 miglia e una grande varietà di popolazioni, questa affermazione non potrebbe sembrare sorprendente, ma lo è. Una lunga sfilata di interpreti ("costruttori di civiltà antiche, divulgatori di religioni monoteistiche, conquistatori imperiali, autoctoni nazionalisti moderni, visionari rivoluzionari, missionari, scienziati, lontani ammiratori romantici, osservatori orientalisti e sostenitori contemporanei dell'afro-centrismo") hanno cercato, tutti invano, di creare "un Nilo, una realtà, una leggenda". Nel farlo, sostengono i curatori, essi rendono questa grande regione "unidimensionale".
L'interesse del Nilo risiede nei dettagli che mostrano che non è così. Forse l'ostacolo più importante all'unità era la cosiddetta diga nubiana, ossia non una struttura fisica ma l'incapacità dei conquistatoti musulmani d'Egitto di sconfiggere per oltre un millennio i nubiani cristiani a sud (essi aprirono una breccia nella diga nel primo ventennio del XIX secolo). Ciò permise al regno cristiano di Etiopia di sopravvivere e rallentò molto l'avanzata dell'Islam in Africa, con enormi conseguenze per quel continente.
Un particolare dà un senso alla grande diversità del fiume Nilo: a differenza degli egiziani, che sin dall'antichità hanno universalmente espresso una gratitudine ai limiti della venerazione nei confronti delle acque che si lasciavano abitare, Bairu Tafla racconta che gli etiopi, di recente hanno visto lo stesso fiume, per ragioni opposte, come un traditore che ruba oltre mezzo milione di tonnellate di terra fertile, che taglia in profondità la terra e ostacola le comunicazioni per poi sfociare in una terra lontana o nel Mar Mediterraneo, lasciando gli etiopi morire di sete.