Questo volume ha tutte le caratteristiche di un libro futile: un alto papavero saudita (attualmente ambasciatore in Gran Bretagna ed ex ministro dell'Industria) pubblica un volumetto di riflessioni sugli avvenimenti accaduti tra il 1990 e il 1991 privo di fonti, di una bibliografia o di ogni pretesa di offrire una nuova interpretazione. Tuttavia, contrariamente alle aspettative, La crisi del Golfo è una chicca, piena di intelligenza e di spunti. Leggerlo è un po' come trascorrere una lunga serata in compagnia di un accorto mediorientale che è disposto ad aprirsi e a spiegare il mondo dal suo punto di vista.
Algosaibi fornisce delle nuove informazioni (Saddam Hussein rese partecipe re Fahd della propria intenzione di invadere l'Iran nel 1980 e Fahd lo scoraggiò), ma è soprattutto la sua analisi pacata ad essere così illuminante. Egli ritrae la decisione di Saddam Hussein di invadere il Kuwait come se fosse la più grande scommessa di un avventuriero; il leader iracheno non avrebbe potuto ritirarsi perché, come un giocatore che punta tutto su un certo numero al tavolo della roulette, "non poteva che starsene là in piedi impotente, in attesa che la ruota si fermasse". Algosaibi giustifica la scelta di ogni leader arabo di stare dalla parte di Saddam o di mettersi contro di lui; la sua analisi della personalità "emotiva e nervosa" di Arafat e del ruolo che questi gioca nella politica palestinese è particolarmente istruttiva. Il capitolo intitolato "I 'beduini' poco attraenti e i brutti 'arabi'" riprende i pregiudizi reciproci esistenti tra gli arabofoni delle città e gli arabofoni della penisola araba e consiglia saggiamente a questi ultimi di avvicinarsi ai primi.