Circa un quinto di quest'analisi globale del 1995 si occupa del Medio Oriente e l'immagine di quest'ultimo è in genere negativa. L'Algeria ospita "una guerra sempre più orribile". Il quadro dei diritti umani in Egitto è "sconfortante". L'uso della pena di morte si è esteso in Iraq. L'Arabia Saudita ha subito un "ulteriore deterioramento". In Sudan vige lo stato di emergenza, la schiavitù delle donne e dei bambini e il paese è soggetto a crescenti difficoltà economiche. Gli unici due governi a ottenere l'approvazione sono il Kuwait e il Marocco, con "importanti miglioramenti" in entrambi i casi.
Se Human Rights Watch e altre organizzazioni simili fanno un ottimo lavoro denunciando gli abusi sugli individui, nel complesso, i loro sforzi sollevano tre problemi preoccupanti. Il primo ha a che fare con una semicecità nel commisurare le cose: i problemi minori e occasionali sono da considerare quasi come quelli brutali e sistematici. Quando si dice che la Turchia ha dei "seri problemi" e che la Siria è "una società strettamente controllata", l'una è una democrazia aperta e l'altra un dispotismo autoritario dissimulato. Nella letteratura dei diritti umani, la censura di un libro non è affatto diversa da un massacro di massa. In secondo luogo, l'enfasi sui diritti umani, con l'esclusione di ogni altra cosa, porta a raccomandazioni politiche miopi in cui gli interessi nazionali sono di fatto accantonati. Ad esempio, nel caso della Turchia, il rapporto critica implicitamente l'amministrazione Clinton per non permettere ai problemi dei diritti umani di avere maggior peso del ruolo della Turchia come alleato e come "grande mercato emergente". In terzo luogo, concentrarsi esclusivamente sugli stati significa che movimenti come Hamas e la Jihad islamica sembrano non meritare una sola menzione.