Perché gli Stati usano la forza militare per conquistare e occupare le terre che si estendono oltre i loro confini? Lawson crede, in modo abbastanza ragionevole, che l'impulso di espandersi derivi dai problemi interni. Per dimostrare ciò, egli presenta lo studio di un caso specifico dei primi del XIX secolo – tre campagne espansionistiche di Muhammad 'Ali che ebbero luogo tra il 1810 e il 1835 – sperando così di evitare le passioni di un conflitto contemporaneo.
Fin qui tutto bene. I problemi sorgono quando Lawson entra nello specifico. Egli mostra di avere i soliti limiti del politologo quando si tratta di scrivere la storia, traendo le sue informazioni da fonti secondarie e commettendo i più elementari errori di fatto (l'inizio del XIX secolo, egli scrive, fu "un periodo incontaminato dalle distorsioni dell'imperialismo europeo"). E peggio ancora, Lawson ignora i conflitti interni derivanti dall'autoritarismo, dalle ideologie e dalle ambizioni personali a favore del conflitto di classe e di altre preoccupazioni dei marxisti teorici. Che Lawson vada in una direzione sbagliata diventa chiaro quando egli applica le sue idee all'invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein: quest'aggressione, si apprende, non aveva nulla a che fare con l'intento di Saddam di controllare il mercato del petrolio o di spaventare i vicini, ma fu una conseguenza del programma di privatizzazione iracheno degli anni Ottanta che creò "una potente serie di interessi privati più vasti" che pose una "una grave sfida potenziale" al regime di Saddam! Per proteggersi dai suoi ricchi sudditi, Saddam invase il paese. Non è la prima né l'ultima volta che una teoria (o ancora meglio ciò che Herman Kahn ha definito "incapacità addestrata") rende cieco uno specialista davanti alla realtà semplice e ovvia.