Anche se "abbiamo imparato molto riguardo alle conseguenze economiche dell'arma del petrolio, rimaniamo in gran parte ignari del suo impatto politico", sostiene Licklider. Per correggere questo squilibrio, egli esamina minuziosamente il comportamento di cinque paesi consumatori di petrolio (Paesi Bassi, Regno Unito, Canada, Giappone e Stati Uniti) a metà degli anni Settanta. Il risultato è un'analisi interessante, sottile e ben argomentata.
L'obiettivo degli arabi tra il 1973 e il 1974 era attuare un cambiamento nella politica verso il conflitto arabo-israeliano, ma così non fu a causa dell'embargo petrolifero. Infatti, Licklider non riesce a ravvisare "quasi nessun cambiamento politico riguardo al conflitto arabo-israeliano" da parte dei cinque stati, confermando la conclusione quasi generale che le sanzioni economiche non funzionano.
Ma qualcos'altro accadde tra il 1973 e il 1974: il boom petrolifero. Se l'embargo non fu efficace, il grande aumento di ricchezza di qualche paese arabo invece lo fu. L'aumento del potere d'acquisto arabo, e non la paura di future mancanze di petrolio, portò effettivamente a dei cambiamenti nel modo in cui i cinque paesi industriali affrontarono la politica mediorientale. In particolare, tutti alla fine si mossero in direzione degli arabi. Dove è fallito l'embargo, ha funzionato la minaccia di boicottaggio.
L'autore trae dalla sua analisi delle conclusioni teoriche e politiche. In teoria, egli sostiene che quanto accaduto nel biennio 1973-1974 conferma che "è assai difficile costringere uno stato con un obiettivo a modificare la sua politica su un argomento che per l'obiettivo è importante". In pratica, l'autore ritiene che i futuri tentativi di brandire l'arma del petrolio – o qualsiasi altra sanzione sulle merci – produrranno risultati ancor più scarsi dello sforzo arabo.