GERUSALEMME - IL professor Daniel Pipes, americano, una celebrità nel campo degli studi sul Medio Oriente e l'Islam, è stato recentemente designato da George Bush a far parte della direzione del Consiglio per la pace, un organismo governativo che studia la strategie americane.
Una scelta contestata: Pipes è noto per il suo diretto e duro approccio al problema del terrorismo. Lo incontriamo a Gerusalemme dove partecipa a una conferenza del Jerusalem Center sul tema: ""Costruire la pace sulla verità"". Pipes è in partenza per un giro di conferenze in Germania e poi a Roma, dove parlerà alla fondazione Magna Charta. È molto dispiaciuto ma non sembra sorpreso dall'attacco terroristico a Gaza contro un convoglio diplomatico americano. Non è una scelta enormemente compromettente per il terrorismo palestinese? Una scelta che lo mette definitivamente nello stesso paniere di Al Qaeda?
"È presto per speculare troppo in profondità. Quello che si può dire è che per l'integralismo islamico tutta la zona del conflitto israelo-palestinese è zona di guerra, Dar el-Islam, contro l'Occidente usurpatore, coloniale, peccatore, che si tratti di israeliani, di americani o di chiunque altro che non appartenga all'Islam. Il territorio del conflitto israelo-palestinese è enormemente centrale per gli integralisti, siano essi terroristi autoctoni di Hamas e della Jihad, o infiltrati da altri Paesi e appartenenti ad altre organizzazione, come Al Qaeda o Hezbollah. Bisogna ricordare che questa terra non è stata cristiana o ebraica per secoli, fino al mandato britannico. Gli americani sono i nemici occidentali per eccellenza: la frustrazione musulmana dell'ultimo mezzo secolo nell'area del conflitto israelo-palestinese è più acuta, qui dà luogo alle maggiori esplosioni, e la sua posizione geografica la rende centrale".
Ma un attacco come questo ha un connotato irrazionale, autolesionista, come si vede dalle condanne che provengono dall'Autorità palestinese, da Arafat e da Abu Ala. C'è differenza fra l'atteggiamento della leadership e quello di chi ha perpetrato l'attacco? "È difficile dirlo oggi. Quello che si può certo affermare è che, se l'attacco è palestinese, in comune tra Arafat e i gruppi integralisti religiosi c'è l'ambizione a conquistare tutta intera la terra di Palestina; Hamas e la Jihad Islamica lo dicono chiaramente, cacceremo tutti gli ebrei, batteremo l'Occidente corruttore. Arafat invece preferisce conservarsi l'amicizia europea con varie mosse accattivanti che però non incidono sulla sostanza della scelta; l'uso del terrorismo, poi, è un'arma strategica per tutti, anche se Arafat può talvolta condannarlo in inglese, mentre Hamas lo esalta apertamente anche davanti alle telecamere della Cnn. In una parola, la terra nella jihad ha un valore sacro a tutti: chi secondo la religione e la politica che ne viene ispirata la occupa, come Israele, o la domina, come gli americani, è oggetto di odio e può essere attaccato da tutti i jihadisti".
Secondo questa visione Israele non ha legittimità, ma è una terra occupata con intenti coloniali dagli ebrei "profeti" degli americani e quindi, in defintiva, anche dagli americani. "Proprio così: vorrei aggiungere che la lettura della storia che gli europei danno aiuta questa interpretazione coloniale, che spinge alla jihad. Forse l'Europa proietta su Israele e l'America il suo proprio passato coloniale; forse, frustrata nei suoi tentativi di partecipare a trattative di pace parteggia senza condizioni per la restituzione appunto, delle " colonie", come si trattasse dell'Algeria, o di una lotta anti-apartheid".
Come giudica la reazione di Sharon al terrorismo? I suoi duri attacchi in Cisgiordania? "Li giudico decisi, consistenti. Penso che Sharon si muove fra due barriere. Da una parte quella della deterrenza verso il terrore, dall'altra quella dei buoni rapporti con l'amministrazione americana. Da qui, forse, nella storia israeliana in genere, anche l'errore principale nelle trattative di pace, che continuano fino alla Road Map ma hanno il loro principale picco con l'accordo di Oslo".
Ovvero? Quale errore? "Di gran lunga il più importante è quello di accettare una trattativa con un nemico che non riconosce la legittimità alla tua esistenza. La decisione di distruggere Israele non è stata mai annullata: nel ‘93 era stata messa momentaneamente da parte in un momento di debolezza, dopo la Guerra del Golfo. Nel 2000, una volta pronte le armi, Arafat la recuperò, anche ispirato dal ritiro israeliano dal Libano. Tutti i programmi nazionali e internazionali per promuovere uno Stato palestinese, erano e sono prematuri: migliorare il sistema palestinese, creare una zona cuscinetto, combattere la corruzione, fare un Piano Marshall, creare una forza internazionale, uscire unilateralmente, lasciare i Territori o quant'altro... possono essere tutte ottime idee se i palestinesi accetteranno, dimostrandolo nei fatti, uno Stato ebraico. Altrimenti tutto è buttato al vento, è polvere e esplosioni, è arena di terrorismo. Ci vorrà tempo perché i palestinesi capiscano che il vecchio gioco è finito. Ma anche ci volessero vent'anni, prima comunque la pace non sarà possibile".