FILADELFIA - Se George Bush sente di avere una missione - "civilizzare l' Islam" - Daniel Pipes è il suo "profeta": «Dobbiamo svegliarci, prima che arrivi un altro massacro. Qui è in gioco il nostro modello di mondo contro il loro». Sguardo mansueto, modi affabili, voce bassa, questo giovane ricercatore ed esperto islamista, è da anni l' avanguardia del radicalismo della destra americana, il campione del "politicamente scorretto", il nemico numero uno delle comunità musulmane americane più radicali, dei pacifisti, del mondo accademico liberal - che lui ha messo sotto osservazione provocatoriamente in un sito chiamato Campus Watch. Lui si vede come un crociato globale contro il fondamentalismo islamico, l' America progressista lo chiama «islamofobo». Ma nel circo dei neoconservatori di Bush, Pipes mantiene volentieri il ruolo di scomodo outsider, e da tutte le tv e sui principali giornali teorizza quel che altri non osano neanche accennare.
Certo è che la sua non è una vocazione improvvisata: suo padre Richard, ebreo polacco, storico ed accademico consigliere di Ronald Reagan, si esercitò per anni sull' analisi dei demoni del comunismo e dell' ex Urss, influenzando le scelte dell' amministrazione. Oggi Daniel, dal piccolo ufficio di Filadelfia del suo think tank, il "Middle East Forum", adorno di kefie palestinesi e di attestati accademici, avanza come un cingolato sulle macerie dei rapporti tra Islam e Occidente dopo l' 11 settembre.
L' America è di nuovo di fronte all' incubo del terrorismo. Cosa teme di più?
«L' ideologia è la chiave di tutto. Il terrorismo è un fenomeno allarmante, sì, ma è solo il sintomo di qualcos' altro. Non è che la gente vada in giro a distruggere grattacieli senza motivo. Sono credenti, credono in un' ideologia che porta alcuni alla violenza, altri ad altre forme di contrapposizione, ma tutti agiscono con un solo obiettivo: creare un' altra forma di società. Il problema chiave, qui, è l' Islam e l' islamismo come ideologia: per certi versi simile al fascismo e al marxismo-leninismo nel suo radicalismo totalitario».
L' hanno già accusata di «islamofobia» per queste sue dichiarazioni... L' Islam moderato per lei non esiste?
«Ma certo che una distinzione va fatta tra islamismo "militante" e "moderato". I moderati sono importanti nella guerra al fondamentalismo. Ma non esistono un "buon Islam" e un "cattivo Islam". Molti governi fanno questa distinzione. Per esempio in Egitto: combattono i violenti, ma forniscono spazio politico e pubblico agli ideologi. No, troppo semplice: qui il pericolo è ovunque. Sia che l' approccio sia violento, sia che sia politico, lo scopo è sempre lo stesso: imporre un cambiamento basato sull' ideologia «.
Sta dicendo che l' Islam e la democrazia sono incompatibili?
«No, non dico questo. Dico che oggi l' Islam è in difficoltà. Se si guarda in giro, oggi al mondo ci sono pochissime democrazie islamiche. Niente lo impedirebbe, in teoria, semplicemente non funziona. L' Islam si è radicalizzato, è pieno di rabbia, frustrazione, estremismo».
Se questo è il pericolo, secondo lei cosa bisognerebbe fare?
«Capire che non si tratta di uno scontro tra civiltà o religioni, tra cristiani e musulmani. E' uno scontro tra un islam moderno e riformatore, e uno radicale e militante. E' quest' ultimo che vince, adesso. I moderati sono troppo deboli, e il dovere dell' occidente è aiutarli. Se negli anni '30 qualcuno avesse detto che c' erano in Germania gli uomini in grado di salvare quel paese, lo avrebbero preso per matto. E invece noi li abbiamo trovati, li abbiamo aiutati, e ora governano la Germania democratica. Adesso dobbiamo essere noi a trovare e sostenere l' alternativa nell' Islam».
Chi intende per "noi"?
«Le forze della civilizzazione - gli americani, gli europei - contrapposte all' ideologia radicale islamica. Prenda il Sudan: povertà, oppressione, donne ridotte in schiavitù. Prenda l' Iran, che forse sta costruendo l' arma atomica. Prenda l' Afghanistan, con i Taliban che imperversavano finché non gli è stata fatta guerra. Questi sono i modelli di "successo" per l' Islam militante. E più tardi ci accorgeremo del pericolo, peggio sarà anche per noi».
Ma è la guerra lo strumento giusto? A due anni dall' 11 settembre, e dopo due guerre, sembra che i rischi, le divisioni, l' odio, siano persino aumentati...
«Due anni non sono niente. Questa è come la Guerra fredda, è lunga. I kamikaze danno la vita per una causa che ritengono vincente: rovesciare la civiltà occidentale, che odiano perché rappresenta tutto quello che loro non riusciranno mai ad ottenere. L' unica risposta è dimostrare che non possono vincere».
Dimostrarglielo, in che modo? E' possibile una comunicazione?
«Non sono di quelli che pensano: oh, loro non ci capiscono, noi non li capiamo. No, questa è una guerra che si basa su un contrasto. Loro hanno una visione: credono di avere un modello di civiltà da offrire, vogliono sostituirlo al nostro. Detto in altro modo: sostituire la Costituzione con il Corano».
E un paese come l' Italia, che è al centro del Mediterraneo e certo è un crocevia di tante culture, cosa dovrebbe fare secondo lei?
«A volte ci vuole un atto terribile per svegliare la gente. In questo paese abbiamo subito almeno ottocento vittime prima dell' 11 settembre per il terrorismo. Ma siamo rimasti inerti, fino alla grande tragedia. L' Australia ha avuto lo stesso tipo di shock, con le bombe a Bali. Io la chiamo education by murder ("stragi istruttive"), ci svegliamo perché muore un sacco di gente. Mi piacerebbe che non fosse così, ma agli Usa l' 11 settembre è servito. Altri paesi non hanno avuto questa lezione, e non sanno come difendersi». Sorriso amabile: «Certo, non lo auguro a nessuno».
Pensa che gli Usa, con le leggi speciali antiterrorismo, abbiano trovato la via giusta?
«Sì, la linea dura funziona. Intanto perché queste misure permettono alla polizia di avere accesso ad informazioni di intelligence che prima non erano disponibili. Siamo ufficialmente in tempo di guerra, e il sistema politico, legale, di sicurezza americano si sta adattando a dare le risposte giuste».
Per ora l' unico risultato sembra una divisione ancor più profonda della società americana, con le comunità musulmane che si sentono sempre più discriminate...
«Le comunità musulmane qui sono in mano ai fondamentalisti. Non sorprende che protestino».
Non sono soli, protestano anche le associazioni per la difesa dei diritti umani e civili.
«E certo. Qui la divisione tra destra e sinistra è chiara. In America la destra è sempre stata la portatrice dei valori, della tradizione, della visione del futuro positiva. La sinistra è sempre stata ipercritica, e su questo terreno di attacco ai valori si è trovata allineata con i radicali islamici. I loro obiettivi sono poi diversissimi, ma sono alleati nell' oggetto della loro avversione».