Gli studi americani sulla crisi del Kuwait tendono a soffermarsi quasi esclusivamente sugli aspetti americani: "l'Iraqgate", ciò che ha portato alla guerra, l'efficacia dei bombardamenti delle forze aeree, quanto sia morale l'uso della forza. Questo sguardo introspettivo lascia molto spazio ad altri, e quattordici studiosi israeliani di talento (più due americani) sfruttano l'opportunità di unire le loro forze e di fornire uno studio originale e importante sugli effetti della crisi. Essi rivolgono l'attenzione a Israele (un argomento trattato dettagliatamente nel volume La guerra del Golfo - Le conseguenze per Israele, a cura del Jaffee Center, recensito in Orbis, Inverno 1993), al resto del Medio Oriente, ai poteri e ad altri argomenti (l'esportazione di armi, il petrolio e i media).
L'analisi di Jacob Goldberg sull'Arabia Saudita potrebbe essere considerata la disamina più interessante. Egli raccoglie le dichiarazioni rilasciate dai sauditi durante la crisi, tutte concordi sul fatto che il loro Paese non sarà mai più come prima. Non si può più fare affidamento su un manipolo di soldati; un contingente militare sarà imposto. Le forze egiziane e siriane aiuteranno a rendere sicuro il Golfo Persico. Il denaro sarà speso meglio. Sarà posta in essere una specie di rappresentanza militare. La società si aprirà in una miriade di modi, dalla libertà di stampa alla commistione dei sessi. Ma cessati i combattimenti, tutte queste risoluzioni sono state gettate alle ortiche. "Una volta che le condizioni torneranno alla normalità, le promesse saranno in gran parte dimenticate", arguisce Goldberg. "Fondamentalmente, tutto sarebbe tornato come prima". Naturalmente, le cose non torneranno più come una volta. La pentola a pressione saudita è ancora più calda di prima e noi tutti sappiamo quando il coperchio volerà via.