Il contributo degli accademici americani ed europei alla comprensione della guerra del Kuwait ha cercato di limitarsi alle analisi militari, alle argomentazioni polemiche e alle interpretazioni astratte; e man mano che l'interesse per la guerra è diminuito, queste si sono perlopiù esaurite. Di conseguenza, l'importante compito di interpretare quel conflitto è stato ampiamente lasciato agli israeliani, che hanno fatto un lavoro eccezionale nell'assolvimento di tale compito.
Nel presente studio, un gruppo di autori perlopiù israeliani esamina la decisione irachena di entrare in guerra e le conseguenze di quella decisione. Baram si basa sulla sua eccezionale conoscenza della politica irachena per assumersi il più difficile dei compiti: sondare l'animo di Saddam Hussein. Mark A. Heller spiega per quale motivo l'esercito iracheno abbia regolarmente ottenuto dei risultati mediocri. Ofra Bengio vaglia l'equilibrio dei poteri in seno alle comunità etniche dell'Iraq. Patrick Clawson fa rilevare il sottile impatto economico delle sanzioni contro l'Iraq, mentre Robrt J. Lieber sostiene che l'avventurismo di Saddam Hussein avrebbe potuto nuocere profondamente all'economia mondiale.
Una schiera di autori – tra cui Rubin, Shaul Bakhash, Joseph Nevo, David Kushner e il compianto Avner Yaniv – esamina poi le relazioni estere dell'Iraq negli anni della crisi e della guerra tra il 1990 e il 1991. Ma forse il più interessante è il capitolo scritto da Joseph Kostiner sul punto di vista kuwaitiano che è stato molto trascurato. Egli traccia i principi fondamentali della politica estera di questo Paese, che si fonda sostanzialmente sul neutralismo e sul civismo arabo, e poi dimostra come queste linee guida siano state mantenute durante la crisi che portò al 2 agosto 1990. Egli ritiene che la tesi secondo la quale i kuwaitiani hanno provocato l'Iraq a entrare in guerra non sia convincente.