Milani, docente di scienze sociali in un piccolo college della California, racconta una versione iraniana di una storia classica del XX secolo. Cresciuto in condizioni privilegiate, si è sentito insoddisfatto del suo ambiente, ha scoperto il marxismo-leninismo (come anche altre cose) mentre si trovava in Occidente per perfezionare i suoi studi, è in seguito rientrato nel suo Paese per fare la rivoluzione per ritrovarsi presto in prigione a causa del regime di destra. Poi, quando è arrivata la rivoluzione, essa ha portato un ordine ben peggiore di quello della destra, così Milani ha lasciato il Paese per andare a vivere in Occidente. Nonostante il titolo, il saggio si occupa principalmente di una città (Teheran) e poco dell'altra (San Francisco).
Oltre al candore con cui è stato scritto e all'interessante presentazione, il libro di Milani contiene un certo numero di punti interessanti. I suoi ricordi dell'infanzia rivelano una certa avversione per l'Islam, la cui espressione è molto insolita nell'era post-Rushdie. "La mia infanzia è stata contaminata dalla religione. (…) La religione era sinonimo di lutto e paura (…) [e] di rituali incomprensibili, talvolta violenti, spesso pregni dell'odore acre di sudore". Al di là della religione, la sua scontentezza era dovuta a un'attitudine degli adulti che "i bambini erano dei fastidi necessari". L'inatteso successo di Khomeini ha spinto Milani a riconoscere la propria ignoranza sull'Iran e l'ha indotto a dei seri ripensamenti. Di rilievo altresì è il miglioramento delle condizioni di vita dei detenuti nelle carceri dello Scià grazie agli sforzi compiuti da Jimmy Carter: "Anche se non so come la storia giudicherà la sua presidenza, so però che grazie alla sua politica dei diritti umani, io e molta gente come me, ci siamo risparmiati molte sofferenze".