Nei primi tre mesi del 1989 è scoppiata una singolare polemica riguardante lo scrittore Salman Rushdie, simbolo tormentato della nuova società multietnica della Gran Bretagna, e I versi satanici, la sua sfida audace alle verità dell'Islam impregnata di realismo magico. Il primo libro edito su quest'episodio è, di fatto, una raccolta di documenti, gran parte dei quali pubblicati dalla stampa britannica, soprattutto da The Independent e da The Guardian. Ma attingendo copiosamente da ciò che era più facilmente a portata di mano, le due curatrici hanno perso l'occasione per rendere accessibili le informazioni oscure; e cosa ben peggiore, esse hanno evitato il dibattito mondiale sulla libertà di espressione, la blasfemia e le relazioni fra religiosi e laici. Inoltre, l'impatto della polemica sulla politica internazionale e il commercio è pressoché trascurato come lo è il suo ruolo nella politica interna iraniana. Il riferimento agli Stati Uniti si limita a una ventina di misere pagine; non si parla affatto delle risposte tedesche e sovietiche. Per nulla irrilevante l'assenza delle dichiarazioni rese dai capi di Stato, dai funzionari iraniani e dai musulmani anti-Khomeini. Anzi, la versione data dai curatori dell'episodio lo fa sembrare poco più che un vivace dibattito letterario londinese.