Boutros-Ghali fa la cronaca dei suoi quattro anni di esperienza al servizio di Anwar as-Sadat, dal momento in cui egli fu nominato ministro degli Affari Esteri nel 1977 fino all'assassinio del presidente nel 1981. Anche se l'autore non è affatto un principiante della diplomazia all'inizio del suo resoconto (essendo già stato un alto funzionario del Partito socialista arabo), far parte del governo lo ha reso un attore di primo piano di avvenimenti storici come il viaggio di Sadat a Gerusalemme, i negoziati di Camp David e il trattato di pace israelo-egiziano.
Fedele alla sua promessa, Boutros-Ghali presenta le sue memorie inalterate dal tempo, non migliorate dalle informazioni successive ed esse esprimono con chiarezza i suoi errori e i suoi trionfi, le incoerenze, le digressioni e le sue idee. Queste memorie rivelano paradossalmente un uomo aristocratico, ben consapevole del suo rango e del suo aspetto, con una preoccupazione costante per l'Africa; e un politico minacciato di violenza dai palestinesi che tuttavia insistono perché lui si occupi dei loro interessi. Ma probabilmente la cosa più interessante è che Boutros-Ghali è arrivato ad apprezzare la visione di Sadat. Tutto preso dalle conferenze dei Paesi africani e non allineati, l'autore cominciò a essere un po'inorridito per le concessioni di Sadat a Israele. Ma col tempo apprezzò la straordinaria visione di Sadat. La sua grande rivelazione arrivò nell'aprile 1979, pochi giorni dopo la firma del trattato di pace tra l'Egitto e Israele, quando egli comprese che "l'Egitto aveva sacrificato abbastanza vite umane e denaro per gli arabi e i palestinesi. Ora è arrivato il momento per l'Egitto di pensare a se stesso". Nel settembre 1979, egli si fece "completamente convincere dalla tesi di Sadat" che riprendersi il Sinai era più importante dell'essere isolati alle conferenze politiche. Una simile ammissione pubblica dei propri fallimenti è rara e tanto più meritevole di lode arrivando da un personaggio famoso come l'ex-segretario generale delle Nazioni Unite.