Bullard è una delle figure leggendarie dell'imperialismo britannico in Medio Oriente. Ma contrariamente a molti suoi colleghi – come Gertrude Bell, D.H. Lawrence, St. John Philby, Ronald Storrs – Bullard è più un nome che una personalità. Con la pubblicazione delle sue lettere da Jeddah (come una precedente raccolta di missive dal titolo, Lettere da Teheran, pubblicata da I. B. Tauris nel 1991), quell'anonimato termina.
Le lettere da Jeddah appartengono a due epoche diverse: 1923-25, quando Bullard era console in quella città durante il regno di al-Husayn ibn 'Ali, il sovrano hashemita dell'Hijaz che aveva lanciato la rivolta araba nel 1916 e aveva perso il suo regno che passò ai Sauditi nel 1925; e al 1936-39, quando Bullard fece ritorno a Jeddah, stavolta come ministro del Regno dell'Arabia Saudita. La maggior parte delle sue lettere è indirizzata alla moglie di Reader, ma esse annoverano anche altri destinatari, come pure rapporti e telegrammi.
Il carteggio evoca in modo elegante un mondo passato ed è costellato di umorismo (si legga il racconto fatto da Lord Headley, presidente della Società musulmana britannica, del suo pellegrinaggio alla Mecca). Le missive offrono altresì delle importanti informazioni politiche; ecco, ad esempio, che cosa dice Bullard nel settembre 1924 in merito a cosa ne pensasse l'opinione pubblica di re Hussein: "I cittadini lo detestano e a causa della sua parsimonia sui sussidi [britannici] e dei pagamenti dei pellegrini egli si è inimicato le tribù. Si meriterebbe di essere cacciato. I wahhabiti sono dei musulmani molto rigidi (…) ma la popolazione dell'Hijaz è talmente stufa di re Hussein che accetterebbe qualsiasi cambiamento".