Mettendo insieme delle prove, tra cui il materiale di prima mano raccolto durante il suo soggiorno in Iraq, la Wiley svolge l'ammirevole lavoro di ripercorrere le tappe delle attività fondamentaliste della silente maggioranza sciita irachena. L'autrice mostra che il Partito della Chiamata islamica nacque nel 1957-58, circa vent'anni prima della rivoluzione iraniana, e si sviluppò come un'istituzione autoctona. Il partito fu in gran parte voluto da Muhammad Baqir as-Sadr (1931-80), un eminente studioso sciita e attivista iracheno, la cui carriera uguagliò in modo sorprendente quella di suo cugino Musa as-Sadr in Libano.
Nonostante l'intermittente violenza di stato contro di esso, il partito aderì ai metodi non-violenti fino a quando fu costretto ad abbandonarli nel 1979 a causa della brutalità di Saddam Hussein. Qualche anno dopo, il partito smise di organizzarsi in seno all'Iraq e preferì raggrupparsi di nuovo a Teheran, costituendo alla fine del 1982 la Suprema Assemblea della Rivoluzione islamica in Iraq. Quest'organizzazione pensava di aprire a Basra il suo quartier generale se le forze iraniane non avessero espugnato quella città durante la guerra tra Iran e Iraq. La vera violenza però è cominciata in seguito; una stima conservatrice citata dalla Wiley calcola che il numero degli attivisti sciiti uccisi da Baghdad a metà degli anni Ottanta si aggirava intorno ai 5-10.000.
Per quanto debole sia al presente, il Partito della Chiamata islamica ricopre una posizione stabile e importante fra gli sciiti iracheni. Gli analisti che vogliono saltare la competizione e che desiderano prepararsi a un Iraq post-Saddam devono leggere questo studio accurato della Wiley.