Barakat, docente di sociologia alla Georgetown University e romanziere in arabo, propone una diagnosi e una cura nel volume Il mondo arabo. "Esternamente, gli arabi soffrono dell'egemonia occidentale-sionista. Internamente, soffrono della mancanza di libertà e dignità. Queste condizioni umilianti costituiscono di per sé un grosso stimolo a un'intifada araba generale per riprendere il controllo sul proprio destino e rimodellare la società".
Purtroppo, la diagnosi e la cura sono obsolete da una trentina d'anni. Barakat afferma semplicemente – come se Gamal Abdel Nasser stesse ancora dominando – una visione del mondo arabo come di "un'unica società globale". (Egli scarta le visioni dissenzienti come "la cultura sionista"). Nel suo mondo anacronistico non c'è posto per l'Islam fondamentalista: il nome di Khomeini non appare nemmeno nell'indice. E non si leggono neppure i nomi di Muammar Gheddafi e di Saddam Hussein (ma quello di Nasser appare ripetutamente). Piuttosto Barakat torna a combattere le vecchie e trite battaglie della Sinistra contro il neo-imperialismo. L'unica cosa moderna di Il mondo arabo è l'egocentrismo dell'autore. Egli descrive in vario modo le sue opinioni, cita se stesso, fa riferimento alle sue opere precedenti e, in una notevole sequenza di due pagine, interpreta i suoi romanzi.
Barakat considera Il mondo arabo un invito all'azione per la sinistra araba. E allora perché ha scritto il libro in inglese e l'ha pubblicato a Berkeley? Forse si rende conto che gli accademici occidentali, e non i politici né le masse mediorientali, sono i suoi unici lettori.