Nel vivo del dibattito alle Nazioni Unite del 1948 che circondava la decisione di creare uno Stato ebraico, l'ambasciatore americano Warren Austin espresse la sua irritazione chiedendo agli arabi e agli ebrei di "risolvere questo problema in un vero spirito cristiano". Cinquant'anni dopo, il suo appello è ancora ricordato in modo risibile. Barkey e Fuller, due specialisti di Turchia, non scrivono nulla di così stupido nel tentativo di trovare il modo di rappacificare i turchi con i curdi, ma le loro raccomandazioni hanno la caratteristica di essere altrettanto provinciali: sostanzialmente, essi desiderano che questi due popoli risolvano i loro problemi in quello che potrebbe essere definito "un vero spirito americano". Vale a dire che, dopo uno studio vivace della questione curda, essi offrono una serie di raccomandazioni, ognuna delle quali è accettabile, auspicabile, sensata e ineffabilmente americana. Riconoscere la lingua curda, loro dicono, porre fine alla propaganda di governo, rinunciare ai tentativi di stabilire uno stato etnico unitario, riparare ai mali dell'economia, ridurre la presenza di sicurezza, legalizzare i partiti politici curdi, ritirare l'esercito dalla politica, permettere una maggiore libertà di espressione, decentralizzare il governo e sperimentare il federalismo.
In ogni caso, gli autori non garantiscono che queste misure impegnative funzioneranno, riconoscendo solamente che esse offriranno una possibilità per l'attuale Stato turco di rimanere intatto. Ma Burkey e Fuller probabilmente sopravvalutano le opportunità di americanizzare la politica turca, proprio come sottovalutano la resistenza della Repubblica turca. I Paesi della regione (come il Libano e l'Iraq) potrebbero essere tenuti in piedi con spago e ceralacca, ma gli sembrerà di sopravvivere, costi quel che costi. Anche senza adempiere le raccomandazioni dei nostri autori, è probabile che la Turchia di oggi rimanga intera.