In un breve periodo durante il biennio 1950-1951, oltre 120.000 ebrei sono fuggiti dall'Iraq e sono arrivati in Israele; quasi mezzo secolo più tardi, questo esodo continua a essere considerato come una delle più vaste operazioni di evacuazione mediante ponte aereo in tutta la storia dei trasferimenti di popolazione. Anche se gli ebrei sono diventati degli importanti sostenitori del nuovo Paese, sino ad oggi essi mantengono un sottofondo di risentimento riguardo alle circostanze della loro immigrazione. Abbondano le teorie secondo le quali gli agenti d'Israele avrebbero ribaltato la loro posizione confortevole in Iraq per incoraggiarli a partire con dei ponti aerei.
Attingendo agli archivi americani, britannici e israeliani resi accessibili di recente, Gat offre un resoconto convincente delle circostanze che stanno dietro "l'operazione Esdra e Neemia". È una storia piena di paradossi e l'autore li tratta uno a uno. L'Iraq, lo Stato antisionista per eccellenza, ha preteso che la sua popolazione ebraica se ne andasse immediatamente in Israele. A un certo punto, le autorità israeliane esercitarono una certa influenza sui loro omologhi iracheni per non accogliere il numero d'immigrati indicato da Baghdad. Altre volte, i due nemici hanno cooperato efficacemente, come quando gli israeliani si decisero a intensificare il ritmo di assorbimento e gli iracheni reagirono autorizzando poco tempo dei voli diretti da Baghdad a Tel Aviv.
L'autore pone fine all'idea che gli agenti israeliani hanno utilizzato il terrorismo per far sì che gli ebrei iracheni facessero la loro aliyah (l'immigrazione nella terra d'Israele, N.d.T.) asserendo che "non c'è alcun legame fra gli attentati dinamitardi e la partenza degli ebrei". La fretta improvvisa di lasciare l'Iraq ebbe la meglio sulle capacità di assorbimento d'Israele e questo non fu frutto di una malevolenza ma di una sensazione fondata da parte degli ebrei iracheni di una catastrofe imminente se essi non avessero approfittato di un'opportunità unica per scappare.