Scrivendo sotto lo pseudonimo di Samir al-Khalil, Makiya ha pubblicato la più importante analisi del regime di Saddam Hussein, Republic of Fear (recensita in ORBIS, autunno 1989), come pure The Monument (ORBIS, estate 1991), un attacco feroce alla cultura totalitaria dell'Iraq attuale. Makiya ha rivelato la sua identità nel marzo 1991 e da allora scrive utilizzando il proprio nome.
Pur occupandosi ancora principalmente dell'Iraq – è stata la conquista del Kuwait da parte di Saddam Hussein a indurre direttamente l'autore a scrivere Crudeltà e silenzio – questo studio rappresenta un tentativo di capire e porre rimedio a ciò che "è andato a rotoli nel mondo arabo" nel suo insieme. La "crudeltà" occupa i primi due terzi del libro e consta di cinque storie biografiche, una kuwaitiana e quattro irachene. Lo stesso Makiya ritiene che queste storie siano "di gran lunga" più importanti dell'ultimo terzo del volume dedicato al "silenzio", in cui l'autore espone le sue idee in merito a come le cose siano arrivate a questo punto, anche se un lettore occidentale potrebbe non essere d'accordo. Noi tutti abbiamo già sentito parlare tante volte delle storie raccapriccianti narrate nella prima parte di questo libro; ma la seconda parte è un attacco assai fondato, caustico e originale all'intellighenzia araba, compresi personaggi come Edward Said, Hisham Sharabi e Ibrahim Abu Lughod.
Makiya mette l'accento sul "lampante fallimento collettivo dell'intellighenzia (…) per evolvere verso un linguaggio di diritti e democrazia al fine di completare il linguaggio del nazionalismo". Nel tentativo di avviare questo processo, egli propone due misure: smetterla di accusare gli altri dei propri fallimenti e di adottare l'aforisma: "Mettere la crudeltà davanti a tutto" come primo slogan politico. È un consiglio sensato per chiunque, ma soprattutto per i mediorientali.