Barreau ha fatto sensazione in Francia con il suo saggio sull'Islam. Poliedrico (teologo, educatore, demografo, romanziere), l'autore se la prende con l'establishment orientalista, accusandolo di presentare un'immagine esotica dell'Islam del tutto in disaccordo con la sua realtà minacciosa. Perché mai? Perché dire la verità significherebbe l'esclusione dal mondo musulmano e quindi dalle fonti d'informazione (una vecchia accusa riguardo ai sovietologi americani). Per compensare questa autocensura, Barreau offre un'interpretazione caustica dell'Islam, nel corso della quale egli argomenta l'arretratezza del profeta Maometto, l'illegalità nel tenere i non-musulmani fuori dalla Mecca e dalla Medina, e le politiche rigorose verso gli immigrati musulmani in Francia.
Barreau ha ragione a denunciare una certa vena ossequiosa tra gli interpreti francesi dell'Islam (la stessa cosa dicasi per la maggior parte dei loro omologhi americani), ma i suoi tentativi di rimediare al problema falliscono in modo inglorioso. Il suo saggio è pungente quando tratta i lati spiacevoli dell'Islam, quali che siano, senza cercare di mostrare il fascino intenso della fede per centinaia di milioni di fedeli. Ma la cosa peggiore è che Barreau commette parecchi errori (ecco due strafalcioni fra i tanti: Gesù è vissuto otto secoli prima di Maometto e V.S. Naipaul è un musulmano). Per un americano ciò che è impressionante non sono i dettagli contenuti in questo volume, ma quel lato antiquato del libro di detestare l'Islam e i musulmani. L'opera ha scatenato un finimondo politico in Francia (che ha portato a un licenziamento dell'autore fra le altre cose), ma negli Stati Uniti sarebbe stata ignorata, considerandola poco più che una fatica editoriale bizzarra.