Mentre la democrazia si diffonde in luoghi improbabili come la Bulgaria e l'Angola, il Medio Oriente diventa sempre più una regione arretrata. Tutti i ventuno Stati membri della Lega araba, ad esempio, sono governati da individui che sono arrivati al potere senza avere il mandato dei loro cittadini.
Contro questo scenario, Kedourie pondera le prospettive della democrazia in Medio Oriente. Tanto per cominciare, egli osserva che la tradizionale cultura politica della regione non ha contenuto nulla di simile alla democrazia; e che per molti anni il sistema politico europeo con il maggiore impatto sulla regione non è stato rappresentato dalla democrazia anglo-americana, ma dall'illuminato dispotismo russo-tedesco. In secondo luogo, l'autore mostra che per gli arabofoni, la democrazia implica più che scegliere i loro leader attraverso il voto elettorale: la loro ricerca della democrazia "è, di fatto, una ricerca di un governo costituzionale e rappresentativo". La maggior parte del volume si occupa poi di quattro importanti esperimenti arabi con la democrazia: in Iraq, nel periodo che va dal 1921 al 1938; in Siria dal 1928 al 1949; in Libano dal 1926 al 1975 e in Egitto, dal 1923 al 1952. (C'è anche un rapido sguardo alla Libia dal 1951 al 1969 e al Sudan dopo il 1953.)
Arguendo che l'operato dei governi costituzionali e rappresentativi del mondo arabo sia stato "deludente per non dire triste", Kedourie mette in dubbio le prospettive future della democrazia: "Chi dice che la democrazia è il solo rimedio per il mondo arabo non tiene conto di una lunga esperienza che mostra chiaramente che la democrazia è stata sperimentata in molti Paesi ed è uniformemente fallita".