"Un tempo, invecchiata e cadente, la lontana civiltà degli arabi oggi è travolta dai venti vivificanti del cambiamento. Una sorta di disordine fecondo sta sostituendo i vecchi schemi di vita". Queste parole che suonano come attuali sono state pubblicate nel 1962, in un libro di 160 pagine, pieno di immagini, intitolato The Arab World (Il mondo arabo, Milano, Club degli editori, 1963, pp. 159, N.d.T.).
I redattori del magazine Life hanno prodotto Il mondo arabo. |
The Arab World rappresenta certamente un artefatto di un'altra epoca; se è vero che non edulcora interamente il suo argomento, Stewart offre però un approccio benevolo, trasparente, paternalistico che zittirebbe anche gli scrittori più eufemistici di oggi. Ad esempio, egli suggerisce a un visitatore occidentale nei paesi arabofoni di entrare nel "regno di Aladino e Ali Baba. La gente gli ricorda la sua Bibbia illustrata". S'incontra poco di questo sentimentalismo nell'era di al-Qaeda.
In modo più interessante, il libro dimostra come un analista eminente possa facilmente travisare il quadro generale.
Come suggerisce il titolo, uno degli argomenti riguarda l'esistenza di un unico popolo arabo dal Marocco all'Iraq, un popolo così legato alla tradizione che Stewart ricorre a un'analogia con il mondo animale: "Gli arabi hanno una peculiare cultura comune di cui non possono sbarazzarsi come un colibrì non può cambiare le sue abitudini di nidificazione con quelle di un tordo". Ignorando i falliti tentativi arabi di unificare i loro paesi, Stewart ha predetto che "qualunque cosa accada, le forze per l'unione [araba] perdureranno". Niente affatto: questa spinta è venuta meno poco dopo il 1962 ed è scomparsa a causa della sua futile premessa che solo la lingua araba definisce un popolo, ignorando la storia e la geografia.
Il suo secondo tema riguarda l'Islam. Stewart scrive che questa fede "semplice" ha sollevato l'umanità "a una nuova altezza" e che "non è pacifista, ma la sua parola chiave era salaam o pace". Egli definisce l'Islam una "fede tollerante" e descrive storicamente gli arabi come dei "conquistatori tolleranti" e "sovrani tolleranti". I musulmani trattano gli ebrei e i cristiani in modo "tollerante". Anzi, "la tolleranza araba si è estesa alla cultura". Tutta questa tolleranza spinge Stewart con nonchalance ma in modo incauto a respingere le manifestazioni dell'islamismo, che a suo avviso, "hanno un'aria antiquata ed esercitano poco fascino tra i giovani". In breve, Stewart non sa niente di supremazia islamica dalle sue origini ai tempi moderni.
La didascalia del libro: "In occasione di una festa in stile mediorientale organizzata da un milionario uomo di affari arabo, una ballerina libanese, che rispondeva al nome di Kawakib, esegue la danza del ventre tradizionale. Mentre Kawakib danzava, la gente ballava e cantava". |
Un terzo tema riguarda la determinazione araba a modernizzarsi: "Una delle sorprese del XX secolo è stata il modo in cui i musulmani arabi hanno accettato il cambiamento e il mondo moderno". Ad eccezione dell'Arabia Saudita e dello Yemen, Stewart ritiene che ovunque "il modernismo arabo è una forza tangibile, visibile e udibile". (Così, [si spiegano] "i venti vivificanti del cambiamento" della mia frase iniziale dell'articolo.) La sua miopia riguardo le donne rende la lettura sbalorditiva: "L'harem e i suoi pilastri psicologici sono stati totalmente distrutti nel XX secolo". "Nelle questioni economiche (…) le donne sono quasi uguali agli uomini". Egli vede ciò che vuole [vedere], indisturbato dalla realtà.
La didascalia del libro: "I sapienti amici della setta musulmana sciita passeggiano nel cortile del loro santuario a Najaf, mentre altri pregano, meditano o addirittura dormono". |
Continuando con questo insensato ottimismo, Stewart discerne che gli arabofoni si liberano di un vecchio schema, fermamente decisi a "distruggere i vecchi stereotipi". Egli scrive del VII secolo come nessuno oggi oserebbe fare, soprattutto, non dopo il fallimento delle ambizioni irachene di George W. Bush e l'avventura libica di Barack Obama: "I primi quattro califfi erano democratici come lo statista britannico William Gladstone, se non come l'americano Thomas Jefferson". Stewart sostiene addirittura che "la civiltà araba è parte della cultura occidentale e non orientale", qualunque cosa ciò possa significare.
La didascalia del libro: "È attraverso un tappeto di benvenuto formato da preziosi tappeti persiani, che Re Saud dell'Arabia Saudita arriva a bordo di una Cadillac sulla terrazza di un palazzo reale". |
Per inciso, cinquant'anni fa l'Islam era talmente arcano che le due dozzine di esosi redattori di Life che facevano parte dello staff editoriale del volume hanno erroneamente scritto nella didascalia di una foto che ritraeva il pellegrinaggio islamico alla Mecca che esso: "ha luogo ogni anno in primavera". (Nel calendario islamico [che è lunare, ossia più corto del calendario gregoriano N.d.T.] l'hajj cade dieci-undici giorni prima ogni anno).
Gli errori dei predecessori hanno un effetto umiliante. Un analista come me spera di non essere così ottuso come Desmond Stewart e Life, e di non fare figuracce col passare del tempo. Anzi, io studio la storia con la speranza di avere una visione più ampia delle cose e in tal modo di non essere limitato dalle ipotesi correnti. Nel 2062, mi direte come mi sto comportando.