Nel febbraio scorso, ho scritto un articolo titolato "I palestinesi che elogiano Israele" che ha rivelato un fatto veramente sorprendente: i palestinesi – inclusi leader come Yasser Arafat e Salah Khalaf – spesso tessono in pubblico le lodi di Israele. Riconoscono che in termini di stato di diritto, di sicurezza personale e di libertà religiosa, esso sia meglio dei Paesi arabi o della stessa società palestinese.
Ma questo non è tutto. I palestinesi hanno delle opinioni molto interessanti in merito al ruolo dei Paesi arabi nel conflitto arabo-israeliano. Fondamentalmente, i palestinesi ritengono che i leader arabi non vogliano prevalere nel conflitto con Israele. La sensazione d'isolamento che ne consegue conduce al sospetto, all'amarezza e all'intransigenza. Questi sentimenti hanno spesso impedito ai palestinesi di trarre vantaggio dalle opportunità di cui beneficiano.
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Cominciamo con le paure palestinesi. Queste si concentrano sulla convinzione che ogniqualvolta la causa contro Israele sia sul punto di avere successo, i governanti arabi intercedono per bloccarla. Nelle incisive parole di Salah Khalaf (meglio conosciuto come Abu Iyad), il defunto numero due dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina, "Tutte le rivoluzioni concepite in Palestina sono abortite nelle capitali arabe". Emile Habibi, lo scrittore israeliano vincitore di un premio, ha un'espressione ironica per questo schema: al-faraj al-Arabi, o "la salvezza araba".
I media palestinesi raccontano la stessa storia. Una emittente radiofonica ha notato che "ogni volta che i palestinesi fanno dei progressi per raggiungere gli obiettivi dell'intifada – il sacrificio, la libertà, lo stato indipendente e la liberazione di Gerusalemme dalla sozzura dell'occupazione – alcuni arabi dei regimi che indossano vesti lunghe e ampie [vale a dire gli arabi del Golfo Persico] commettono numerosi crimini contro il popolo palestinese e la loro leadership unificata, che è l'Olp". L'emittente arguisce usando un tono caustico: "Essi chinano il capo davanti al detto sionista che un bravo arabo è un arabo morto".
E gli arabi del Golfo Persico non sono gli unici a essere criticati. Prestate ascolto a ciò che si dice nei caffè di Nablus e Gaza e sentirete che tutti i leader arabi – Re Fahd, Emir Sabah, Re Hussein, Hosni Mubarak, Hafez al-Assad, Saddam Hussein – sono accusati di aver commesso dei peccati reali e immaginari.
Da ciò, i palestinesi a volte desumono che gli arabi sono la loro rovina più di quanto lo siano gli israeliani. Già nel 1969, Yasser Arafat era di questo parere quando disse: "Onestamente, i problemi che affrontiamo nelle nostre relazioni con qualcuno dei nostri fratelli arabi sono ben peggiori di quelli che dobbiamo affrontare con Israele". Facendo eco alle sue parole, l'intellettuale palestinese Fouad Moughrabi ha di recente osservato che i governi arabi hanno dimostrato di "essere molto più pericolosi dello Stato d'Israele per il nazionalismo palestinese".
Ma perché i governanti arabi dovrebbero indebolire la causa palestinese? Le interpretazioni sono differenti. Alcuni palestinesi pensano che uno stato dell'Olp destabilizzerebbe – per le sue eccezionali virtù – i loro regimi meschini e corrotti. Altri, come Habibi, reputano che gli stati desiderano solo usare la causa palestinese come una leva nella politica interaraba, come un mezzo "per muovere guerre interarabe".
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C'è una certa verità nel sospetto palestinese. I Paesi arabi attaccarono Israele nel 1948, nel 1967 e nel 1973 per guadagnare territori e non per creare uno Stato palestinese. Quegli stati impedirono ai palestinesi di calmarsi per tenere viva la causa antisionista. E (secondo la stima di uno dei capi dell'intelligence dell'Olp) uccisero tre quarti dei palestinesi che hanno perso la vita nel conflitto arabo-israeliano.
Ma è assurdo insinuare che esista una cospirazione araba per danneggiare le aspirazioni politiche palestinesi. Sovrani, presidenti ed emiri arabi non fanno nulla di più dannoso che perseguire i loro stessi interessi. Parlando a favore dei diritti dei palestinesi, essi agiscono – com'è prevedibile – in accordo alla ragione di stato. Questo spiega perché, secondo Fouad Ajami, "gli arabi hanno abbandonato la causa palestinese pur giurando eterna fedeltà ai palestinesi".
La percezione della perfidia araba lascia alcuni palestinesi, specie quelli più giovani, fortemente amareggiati e desiderosi di annientare quegli Stati. Nel 1990, un abitante di un villaggio in Cisgiordania asserì che "il mondo arabo deve essere distrutto e noi dobbiamo ricominciare; non ci sono molte opportunità di riformare le cose dall'interno di ciò che esiste". Un agente di viaggio ha pressoché espresso le stesse idee: "Non c'è un solo partito o gruppo onesto in tutto il mondo arabo (…) Gli arabi sono bugiardi dentro e fuori della politica". Il che significa che non c'è nessuna speranza? "Sì, c'è", è la sua risposta, "se distruggiamo tutto e cominciamo da zero".
Un sondaggio rivela che questa rabbia antiaraba supera, di fatto, i sentimenti che i palestinesi provano contro l'Occidente e Israele. Hilal Khashan, un docente dell'Università americana di Beirut, ha rilevato che nella primavera del 1991 il 92 per cento dei palestinesi residenti nel campo libanese di 'Ayn al-Hilwa si è identificato con il separatismo palestinese, e solo il 5 per cento con il nazionalismo panarabo. Quando lui ha posto una domanda sul terrorismo, il 54 per cento si è detto favorevole all'uso del terrore contro l'Occidente, l'88 per cento ha sostenuto il suo impiego contro Israele, e uno sbalorditivo 96 per cento [si è detto d'accordo a utilizzarlo] contro i regimi arabi.
Riflettendo sul prevalente nichilismo, Said K. Aburish, uno scrittore palestinese, fatte una serie di interviste agli abitanti della Cisgiordania arguisce che questi ultimi ravvisano
Corruzione, ignoranza, abuso di potere e di ricchezza, disintegrazione sociale e politica, complotti orditi dalla classe dirigente e dai sostenitori dell'Occidente contro il popolo. Nessuno ha riconosciuto che qualcosa di buono sia accaduto agli arabi di recente, nessuno ha ammesso che il denaro ricavato dalla vendita del petrolio sia arrivato anche in minima parte alla popolazione. Erano preoccupati di cosa la ricchezza petrolifera avesse fatto al carattere arabo. Tutti i governi esistenti, i movimenti politici e le organizzazioni non erano tenuti in considerazione: non uno solo era degno di rispetto.
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La forte sfiducia palestinese nei confronti dei governanti arabi ha due implicazioni pratiche. Innanzitutto, riesce quasi a spiegare l'estremismo della politica palestinese. Vedendo il tradimento ovunque, temendo abbandoni futuri, i palestinesi rispondono tenendo fede ad ogni costo ai loro principi, siano essi nazionalisti, fondamentalisti musulmani o comunisti. Come reazione al fatto di sentirsi traditi, si attengono all'ideologia pura. Questo almeno spiega in parte la diffusa collera palestinese per l'accordo siglato dall'Olp il 13 settembre con Israele.
In secondo luogo, la collera dei palestinesi verso i Paesi arabi potrebbe avere delle implicazioni dai toni violenti. Alcuni gruppi (soprattutto il Fronte popolare per la liberazione della Palestina di George Habash) propugnano la rivoluzione nel mondo arabo prima di sfidare Israele; e molti altri palestinesi credono che la strada per Gerusalemme passi da Amman, in Giordania. Questo evidenzia un problema: noncuranti di come andranno i negoziati in corso con Israele, i palestinesi potrebbero sempre più dirigere la violenza contro i Paesi arabi. E l'avete letto prima.