L'esito dei progressi compiuti nell'ambito del processo di pace arabo-israeliano è il seguente: due Paesi firmatari, una parte che sta per decidersi e una ancora ostinata.
In altre parole, quindici anni fa gli egiziani hanno firmato un trattato di pace con Israele e i giordani hanno seguito il loro esempio la settimana scorsa. Qualcuno dei palestinesi ha accettato di muovere i primi passi verso la pace con Israele. Restano solo i siriani – cosa che non sorprende affatto, poiché il loro leader, Hafez Assad, è un negoziatore astuto e tenace.
Giovedì scorso, il presidente Clinton si è recato a Damasco per una visita di cinque ore, nella speranza di convincere i siriani a impegnarsi a porre fine al conflitto con Israele. Prima di valutare i risultati della sua visita, è importante comprendere come ciò s'inserisca in un contesto più ampio.
Assad domina la vita pubblica della Siria da venticinque anni, e non è certo un'esagerazione affermare che il dibattito politico in quel Paese sia costituito dalle idee contrastanti che frullano nella sua testa. Consulta altre persone, è vero, ma alla fine prende da solo le decisioni chiave. Controlla la Siria in modo così rigido, che si dice che due cammelli non possono incontrarsi nel deserto senza che il presidente non lo venga a sapere nel giro di un'ora.
Assad governa la Siria da molti anni in stile sovietico. L'intera società è militarizzata; gli alunni degli ultimi due anni di scuola superiore indossano uniformi militari in classe e imparano a smontare le armi automatiche. Egli presiede un onnipotente culto della personalità. Gli slogan del regime si ripetono incessantemente nei libri di testo, nei programmi radiofonici e televisivi, nei film e praticamente in ogni altra fonte pubblica d'informazione.
A livello internazionale, la Siria è solita avere un ruolo assegnatole nella "divisione socialista del lavoro". In cambio, la leadership di Damasco ha guadagnato molto dall'Unione Sovietica, tra cui armi, addestramento militare, intelligence, aiuti finanziari, appoggio politico e protezione diplomatica. Inoltre, la leadership damescena ha ottenuto una certa sicurezza psicologica partecipando a una rete globale.
Nell'aprile 1987, per Assad ha avuto inizio una nuova era, quando Mikhail Gorbaciov manifestò pubblicamente la sua intenzione di ridurre l'appoggio sovietico. Il fallimento del modello sovietico e il suo crollo totale nei successivi quattro anni hanno trasformato i benefici psicologici di appartenere a una forte alleanza internazionale nell'inconveniente di far parte di una squadra perdente. Sono stati tagliati i vantaggiosi rapporti commerciali della Siria con il blocco sovietico. Questo ha privato Assad del suo ombrello di sicurezza, assestando un colpo quasi mortale al suo sogno di ottenere "una parte strategica" con Israele.
Da politico estremamente capace, il dittatore siriano ha reagito alle terribili circostanze non soccombendo passivamente, ma apportando attivamente dei cambiamenti nella sua politica interna ed estera. Ha allentato un po' il morso sulla sua popolazione, iniziando nel 1989 col rilasciare il primo degli innumerevoli prigionieri politici nelle sue mani. Ha mitigato pure le restrizioni politiche al resto della cittadinanza.
Nonostante questi miglioramenti reversibili e superficiali, il governo di Assad è rimasto profondamente repressivo con gli individui che godono di pochi diritti preziosi e continuano a temere lo Stato. L'invasione del Kuwait da parte del presidente iracheno Saddam Hussein indusse nel 1990 Assad a mettere da parte una vita di anti-americanismo e ad unirsi alla coalizione guidata dagli Usa. Nel 1991, lui si rimangiò decenni di retorica antisionista e dette ordine ai diplomatici siriani di incontrare i negoziatori israeliani intorno un tavolo del dipartimento di Stato Usa.
Allo stesso tempo, Assad ha reiterato molte delle sue orribili e bellicose politiche. La Siria è rimasta il Terrore centrale, la sede di molti dei gruppi terroristici più pericolosi al mondo. La repubblica siriana fa parte di una lista scelta di stati presi di mira dal governo americano perché coinvolti nel traffico di droga. Spesso la Siria offre rifugio ai criminali occidentali, soprattutto ai fanatici tedeschi (nazisti e appartenenti all'estrema sinistra).
Damasco rimane un vicino ostile e le sue truppe occupano l'intero territorio libanese. Appoggia il Pkk, un gruppo curdo che semina morte e distruzione in gran parte della Turchia sudorientale. Per quanto concerne Israele, Assad continua ad adottare le sue aggressive politiche anche quando i suoi diplomatici siedono a un tavolo negoziale di fronte agli israeliani. Più della metà del bilancio siriano continua a contenere voci di spesa per scopi militari. Molte volte prima del 1991, le forze siriane hanno effettuato massicce concentrazioni di truppe, ma dopo questa data, lo sforzo è stato senza precedenti per dimensioni, qualità e portata: per la prima volta, gli armamenti siriani sfidano non solo le Forze di difesa israeliane ma anche la popolazione civile israeliana.
In breve, il quadro che ne è emerge è fatto di riluttanza e di mezze misure. In risposta ai gravi problemi, Assad ha cambiato le sue linee politiche tanto quanto basta per ottenere il favore occidentale. Egli dà all'Occidente solamente quel tanto che basta per evitare non solo le sanzioni, ma per ottenere perfino una visita da parte del presidente americano: motivo di grande prestigio.
Le politiche di Assad assomigliano a quelle di Saddam Hussein e del leader libico, il colonnello Muammar Gheddafi, ma grazie al suo superiore talento lui non va punito come loro. Ad esempio, Washington ritiene totalmente inaccettabile l'acquisto di missili da quegli Stati, ma lo considera un acquisto a scopo "difensivo" della Siria. Il dipartimento di Stato punta il dito contro Baghdad e Tripoli per l'appoggio da loro dato al terrorismo, ma trova il modo per scusare Damasco.
In breve, Assad ha il genio politico per indurre i funzionari americani non solo a minimizzare le sue trasgressioni ma anche a lavorare per redimerlo e attirare la Siria nella famiglia delle nazioni. Se Saddam è trattato come il delinquente da mandare in riformatorio, Assad è il bambino cattivo da mandare in classe senza dessert. E non c'è da meravigliarsi che gli altri Paesi poi gli diano il dessert.
Ma questo non può funzionare. Per compiere un reale progresso in direzione di un trattato di pace tra la Siria e Israele, il governo Usa deve usare le maniere forti. Non possiamo più accettare gli impercettibili miglioramenti di Assad. Per ottenere dei risultati, dobbiamo rompere con la vecchia politica del "più con dolore che con rabbia" e rimpiazzarla con qualcosa di molto più impegnativo che gli renda chiaro di porre fine alla sua repressione in patria e alla sua aggressività all'estero.
Probabilmente Assad acconsentirà a simili richieste, perché un'alleanza con gli Usa gli darebbe più di quello che lui cerca, compresi il commercio e gli aiuti, la legittimità politica e una posizione migliore nei confronti dei suoi oppositori in patria e all'estero. Inoltre, la leadership di Damasco sembra nutrire delle strane paure riguardo ai tentativi americani di governare il mondo, il che la rende incline a mettersi dalla parte giusta della storia.
In breve, è arrivato il momento di usare le maniere forti con Assad. Il governo Usa dovrebbe esigere dei cambiamenti decisivi e fondamentali nel comportamento siriano: nessun compromesso e niente scuse.
Purtroppo, questo sembra essere esattamente ciò che Clinton non ha fatto durante la sua visita a Damasco. Non ha incalzato Assad a porre fine al suo appoggio ai gruppi terroristici né a ritirare le sue truppe dal Libano, e nemmeno a ridurre la concentrazione di truppe. Clinton si è, invece, concentrato sui dettagli del processo di pace con Israele – e anche lì non ha ottenuto niente più che una vaga promessa che Assad vuole delle "pacifiche e normali relazioni" con Israele.
Sembra che la visita sia una battuta d'arresto per i tentativi di convincere Damasco ad apportare dei cambiamenti fondamentali. Piuttosto che dimostrare al dittatore siriano di ravvedersi, ciò gli ha indicato di poter continuare con le sue vecchie cattive abitudini.