Lo scopo del dirottamento di un aereo della Kuwait Airlines, avvenuto il 4 dicembre scorso, per mano di fondamentalisti musulmani è stato abbastanza chiaro. I dirottatori speravano di ottenere il rilascio di 17 fondamentalisti condannati per gli attentati alle ambasciate francese e americana nel 1983 e successivamente incarcerati in Kuwait. Ma per quale motivo, se i dirottatori cercavano di ottenere esclusivamente delle concessioni da parte del Kuwait, hanno ucciso solo passeggeri americani e non kuwaitiani? Il Kuwait ha dovuto fare una scelta difficile, se rilasciare o meno i prigionieri, ma Washington non si è affatto trovato di fronte a nessun ultimatum, a nessuna scadenza e a nessuna scelta. E allora, perché i dirottatori si sono presi il disturbo di inscenare dei finti processi di passeggeri americani e di condannarli, torturarli e ucciderli?
Lo scopo dei dirottatori era più ampio e più basilare del costringere a modificare la politica Usa. Esso consisteva nell'eliminare la reale presenza degli Stati Uniti in Medio Oriente. I dirottatori fanno parte della frangia radicale islamica, in gran parte orchestrata dall'Iran, che ha come massima priorità l'estirpazione della civiltà occidentale dalla loro regione. Sono disposti a utilizzare quasi ogni mezzo per raggiungere questo fine.
Più di chiunque altro, i fondamentalisti musulmani perseguono obiettivi politici contrari agli occidentali. La loro idea di vita pubblica emerge da due concetti principali. Il primo è la dicotomia tra islamico e non-islamico: e questo si applica al cibo, alla cultura, alla gente e ai governi. Il secondo è il peso del declino musulmano dai secoli passati a oggi. Le glorie del periodo medievale sono ricordate in modo vivido e comparate alla difficile situazione odierna. Ossessionati dall'arretratezza, dalla povertà e dalla debolezza dei fedeli in antitesi con il successo degli occidentali, i fondamentalisti sono ben decisi a rendere importanti ancora una volta i musulmani.
I fondamentalisti che attribuiscono le tribolazioni musulmane odierne ai tentativi maldestri di emulare l'Occidente, vedono i costumi occidentali allettanti e dannosi. Il loro obiettivo, di conseguenza, è di rimuovere le tentazioni della civiltà occidentale – la qualunque cosa, dalla musica e i costumi sessuali alle imprese – dall'ambito dei musulmani. Gli Stati Uniti spiccano tra i Paesi occidentali. Questo è in parte dovuto al loro dinamismo, ai toni morali della politica estera e al loro ineguagliabile potere politico, militare ed economico. Ciò è dovuto altresì alla loro preminenza culturale: l'America esporta mode, progressi tecnologici, costumi popolari e idee influenti.
Sebbene l'ampio richiamo della cultura americana disturbi tutti i fondamentalisti, pochi di loro sono in grado di combatterlo. Solo in Iran, dove un'esperta leadership fondamentalista ha ottenuto il potere, i fondamentalisti possono affrontare sistematicamente la questione della minaccia culturale americana. In effetti, Ashgar Musavi Khoeiny, leader dell'attacco del 1979 contro l'ambasciata Usa a Tehran, ha di recente definito l'obiettivo principale della rivoluzione iraniano come "l'estirpazione" della cultura americana nei Paesi musulmani.
Ma come farlo? I metodi diplomatici, economici, morali di una persuasione pacifica non possono funzionare, perché gli americani ovviamente non sono disposti a fare le valige e a lasciare il Medio Oriente. Pertanto, i sostenitori di Khomeini fanno ricorso alla coercizione; e il mezzo coercitivo per loro più adeguato è il terrorismo. Il terrorismo estirpa le differenze esistenti nel potere tra l'Iran e gli Usa, e consente a Teheran di prendere dei provvedimenti che non sono alla portata di Washington.
Anche se il fatto che ogni terrorista agisce contro gli americani non può essere collegato direttamente o in modo inequivocabile al governo iraniano, prove indiziarie indicano in modo irrefutabile che esistono dei forti legami fra Teheran e i gruppi fondamentalisti radicali in tutto il Medio Oriente. Il regime di Khomeini ha cominciato ad aiutare queste organizzazioni subito dopo che è arrivato al potere. Tra esse spiccano Ad-Da'wa in Iraq; il Fronte islamico per la liberazione del Bahrein; e tre partiti in Libano: Hezbollah (il Partito di Dio) e organizzazioni misteriose come la Jihad islamica e Islamic Amal. Nelle parole di un leader di Hezbollah in Libano: "Khomeini è il nostro grande capo. Dà ordini ai nostri capi, che a loro volta li danno a noi. Non abbiamo un capo preciso, ma un comitato".
I movimenti regionali non nascondono l'ispirazione che fornisce Khomeini. Un membro di Hezbollah ha di recente asserito: "Il nostro slogan è 'Morte all'America nel mondo islamico'". Più laconici sono i graffiti apparsi su molti muri di Beirut: "Siamo tutti Khomeini".
I fondamentalisti iraniani e libanesi concordano sull'importanza del terrorismo contro gli Usa. Husayn Musavi, leader di Islamic Amal, ha definito l'attacco del 1983 contro le caserme dei marines "un ottimo gesto". Da parte loro, i media di Teheran hanno dipinto quest'attacco come un atto "di resistenza popolare" e il governo iraniano ha evitato di condannare non solo questo ma anche altri attacchi suicidi. Nel dirottamento del volo della Kuwait Airlines, la collusione tra il governo iraniano e i terroristi sembra un dato di fatto.
Man mano che gli episodi si ripetono, emerge uno schema. Non sorprende affatto che il governo americano si profili come acerrimo nemico dei fondamentalisti. Le ambasciate americane sono state quindi le vittime designate per gli attacchi dei fondamentalisti – una a Teheran occupata due volte, una in Kuwait che ha subito un attentato dinamitardo e l'altra a Beirut, fatta saltare in aria due volte. Le caserme dei marines a Beirut sono state distrutte. Un tentativo di far saltar in aria l'ambasciata americana a Roma è stato sventato all'inizio di novembre dalla polizia italiana.
Anche altre importanti istituzioni Usa sono dei bersagli rilevanti. Si noti l'affiliazione di quattro americani fermati in strada a Beirut lo scorso anno e presi in ostaggio: un funzionario dell'ambasciata americana, un corrispondente di Cable News Network, un pastore presbiteriano, e un bibliotecario di un'università. Il governo americano, i media, le chiese e le università sono considerati minacciosi dall'Iran e dai suoi agenti. "Non abbiamo paura delle sanzioni economiche né dell'intervento militare", spiega Khomeini. "Ciò di cui abbiamo paura sono le università occidentali". Nel luglio 1982, i fondamentalisti rapirono David Dodge, rettore dell'Università americana di Beirut, e lo tennero in ostaggio per un anno; il successore di Dodge, Malcolm Kerr, fu assassinato nel gennaio 1984.
C'è motivo di pensare che simili aggressioni continueranno e che addirittura s'intensificheranno. Nel novembre 1984, un membro della Jihad islamica minacciò di "far saltare in aria tutti gli interessi americani in Libano. (…) Rivolgiamo questo monito a tutti gli americani che risiedono in Libano". Tra le probabili vittime, chi è già stato attaccato e anche le società multinazionali. La loro diffusa presenza in Medio Oriente, la posizione esposta e le loro attività controverse li potrebbero rendere un appetibile bersaglio per i fondamentalisti radicali.
Gli effetti di più attacchi saranno profondamente avvertiti. Le organizzazioni commerciali se ne andranno non appena i costi e i tentativi di tenere testa al terrorismo supereranno i benefici che potrebbero derivare dal rimanere. Ambasciate, chiese, scuole e nuovi uffici non hanno chiara questa misura; questi presumibilmente rimarranno più a lungo in Medio Oriente, ma solo diventando più discreti e aumentando i livelli di protezione intorno a loro. Tale protezione funziona, ma diminuisce altresì l'efficacia di queste istituzioni – esattamente ciò cui ambiscono i fondamentalisti.
Il terrorismo fondamentalista rappresenta una nuova sfida per gli americani. Proprio perché gli obiettivi dei musulmani fondamentalisti sono di così vasta portata, le strategie contro la campagna iraniana del terrore sono difficili da formulare. L'appeasement, che in genere è la risposta sbagliata in ogni caso, è fuori questione. Il governo Usa non può abbandonare il Medio Oriente, tanto meno può costringere i cittadini americani a farlo. E la stragrande maggioranza dei musulmani in Medio Oriente non vuole che gli americani se ne vadano.
Quali misure possono prendere gli Usa per evitare altri incidenti? Per cominciare, tre considerazioni escludono un attacco diretto contro l'Iran. In primo luogo, gli Stati Uniti non possono intraprendere delle azioni che rischiano di condurre l'Unione Sovietica in Iran, perché questo faciliterebbe il controllo sovietico del Golfo Persico e renderebbe il flusso petrolifero di quella regione ancor più vulnerabile di quanto lo sia già. Washington non può correre il rischio di appoggiare i ribelli provinciali o esiliare i gruppi di opposizione le cui attività potrebbero portare alla disintegrazione territoriale dell'Iran. Per quanto siano riprovevoli le politiche dell'Ayatollah, l'interesse americano di mantenere fuori i sovietici richiede che il governo di Teheran mantenga un fermo controllo sull'intero Paese.
In secondo luogo, è proibito colpire gli obiettivi militari iraniani. Attaccarli significherebbe, in effetti, unirsi agli sforzi bellici dell'Iraq contro l'Iran, il che allineerebbe Washington con l'aggressore nella guerra Iran e Iraq e spingerebbe inoltre Teheran nel campo sovietico; e, lungi dal ridurre gli atti di terrorismo contro i cittadini americani, la cooperazione con Saddam Hussein, nemico acerrimo di Khomeini, li incrementerebbe. Per questi motivi, tutti gli obiettivi iraniani con valore militare, indipendentemente da quanto siano irrilevanti o remoti, e tutti gli importanti impianti economici, come l'isola di Kharg, il cui porto è un centro di esportazione del petrolio, devono essere inviolati.
In terzo luogo, gli Usa sono limitati dai loro stessi standard di moralità; non possono imitare gli iraniani e colpire alla cieca i civili.
Queste tre motivazioni proibiscono efficacemente ogni azione militare contro l'Iran. Tuttavia, se l'Iran stesso sfugge alle ritorsioni, i suoi agenti all'estero – specie quelli in Libano – non ne hanno bisogno. I fondamentalisti musulmani sotto il controllo iraniano sono presenti nella regione libanese di Baalbek dal dicembre 1979. Essi ora dedicano la maggior parte dei loro sforzi a creare una repubblica islamica sulla falsariga iraniana nell'area di Baalbek. Secondo il quotidiano libanese An-Nahar, nel settembre 1983, Hezbollah aveva a sua disposizione circa 3.000 combattenti nella valle della Bekaa, che include Baalbek; recenti stime parlano di circa 5.000 combattenti.
Le condizioni caotiche del Libano fanno di Balbeek una base ideale per il terrorismo iraniano. Hezbollah è collegato all'attentato del settembre 1984 all'ambasciata di Beirut, all'attentato in Kuwait e al dirottamento del volo della Kuwait Airlines. La Jihad islamica ha rivendicato la responsabilità di entrambe le esplosioni all'ambasciata a Beirut, dell'attentato contro le caserme dei marines e del fallito tentativo in Italia.
Colpire i fondamentalisti radicali a Baalbek evita i rischi associati al fatto di colpire lo stesso Iran. Così facendo non si destabilizzerebbe il governo di Teheran e gli iraniani in Libano non sarebbero coinvolti nella guerra con l'Iraq. Ma loro sono attivamente impegnati nel terrorismo. Sebbene non rappresenti la fonte principale dell'attività anti-americana, la base di Baalbek costituisce il suo rappresentante più diretto.
Gli Stati Uniti hanno spesso minacciato delle ritorsioni contro i fondamentalisti radicali, ma non le hanno ancora portate a termine. Come ha spiegato il corrispondente del New York Times Philip Taubman il 5 ottobre, "ragioni pratiche e politiche" hanno evitato un attacco di rappresaglia contro Hezbollah a causa del ruolo avuto da quest'ultimo nell'attentato di Beirut del settembre 1984. Taubman ha riportato che aiuti d'intelligence avevano sconsigliato un attacco aereo perché i leader di Hezbollah e i sostenitori non si riuniscono mai nello stesso luogo e ogni attacco rischierebbe di uccidere civili innocenti. Un attacco di terra è stato escluso a causa della difficoltà di introdurre commandos a Baalbek. In ogni caso, c'era "una convinzione diffusa tra i collaboratori di Reagan che un attacco di ritorsione contro il Partito di Dio [Hezbollah] o contro l'Iran non farebbe altro che produrre un'escalation negli attacchi terroristici contro gli Usa".
Questi motivi per non agire, non sono più sufficienti. Se gli Usa non hanno le capacità per lanciare degli attacchi aerei o delle incursioni a sorpresa, queste abilità devono essere subito sviluppate. La prassi del nemico di circondarsi d'innocenti non può essere consentita per inibire ogni uso della forza americana.
Solo se si stabilisce che sarà preteso un prezzo alto per ogni danno causato agli americani, i terroristi verranno scoraggiati dal commettere ulteriori atrocità. Il segretario di Stato George P. Shultz si affanna a preparare il modo politicamente giusto per questa sorta di azione. Punire coloro che sono maggiormente implicati e sono più vulnerabili – quelli della regione di Baalbek – presenta la migliore opportunità per tutelare gli americani e i loro interessi in Medio Oriente.