Karsh rileva la diffidenza che caratterizzò le relazioni sovietico-siriane quando Hafez al-Assad andò per la prima volta al poter nel novembre 1970, e poi si chiede come i due Paesi siano riusciti a sviluppare quello che è stato "il legame più duraturo e continuo" dell'Urss in Medio Oriente. La risposta non molto sorprendente risiede in un sistema "d'interdipendenza strategica reciprocamente benefica" fra i due Stati.
La forza di questo volume di Karsh sta nella spiegazione circostanziata ed eccellente di quell'interdipendenza e di come essa sia cambiata in un periodo di quasi due decadi. Egli ritiene che il viaggio di Sadat a Gerusalemme sia stato un evento decisivo: prima del novembre 1977, era Assad a esercitare un ascendente più forte dopo lo esercitarono i sovietici. La debolezza del suo libro consiste in un travisamento gravissimo e sorprendente degli interessi sovietici in Medio Oriente. Contro ogni evidenza, Karsh presume che Mosca cerchi "di raggiungere e preservare la stabilità" in quella regione. Egli giunge a questa conclusione supponendo che i sovietici desiderino ottenere in Medio Oriente ciò che hanno realizzato nell'Europa orientale, "una frontiera stabile e sicura per ridurre al minimo le potenziali minacce". Ma questa premessa è doppiamente erronea: né la Siria, né nessun altro Paese arabo ha mai rappresentato una minaccia per la Russia, come la Francia e la Germania, né essi hanno buone probabilità di farlo. E, in secondo luogo, essendo la Siria e gli altri Paesi arabi separati dal territorio sovietico grazie alla Turchia e all'Iran, essi sono ben lungi dall'essere contigui. Se Karsh avesse congetturato delle intenzioni sovietiche più aggressive, sarebbe stato su un terreno molto più sicuro dal punto di vista analitico e il suo interessante studio avrebbe messo a frutto il proprio potenziale.