Perché il conflitto arabo-israeliano è sparito? Il conflitto non è più il problema numero uno nel Medio Oriente. È questo il messaggio che arriva da Amman, in Giordania, dove sovrani, presidenti ed emiri di tutto il mondo arabo si sono incontrati ai primi di questo mese.
Non solo questo riallineamento giova ai mediorientali, ma migliora altresì l'opportunità degli Usa di estendere la loro influenza nella regione.
Consideriamo ciò che è stato fatto ad Amman. Per la prima volta da quando la Lega araba venne fondata nel 1945, i leader arabi sono d'accordo sul fatto che il conflitto con Israele riveste meno importanza di qualcos'altro: la guerra tra Iraq e Iran. Fatta eccezione per una decisione che permette di avere dei rapporti formali con l'Egitto, tutte le risoluzioni dell'incontro al vertice esprimono dei timori in merito a un'aggressione iraniana contro l'Iraq, il Kuwait e i pellegrini iraniani alla Mecca.
È indicativo il fatto che la versione in lingua inglese della dichiarazione finale non abbia neppure fatto il consueto riferimento all'Organizzazione per la liberazione della Palestina come "unica legittima rappresentante" dei palestinesi.
Questo cambiamento di obiettivi era atteso da molto tempo e per due motivi. Innanzitutto, orgoglio e passione a parte, il conflitto degli arabi con Israele è sostanzialmente marginale per la maggior parte di loro. I palestinesi sono numericamente pochi e da nessuna parte muoiono di fame. La lunga storia di fallimenti militari contro lo Stato ebraico e gli esosi costi del conflitto rendono chiaro che l'ossessione per Israele non può durare per sempre.
L'Olp cerca la sovranità politica, ma per quanto questo obiettivo sia di vitale importanza per Yasser Arafat, esso non è impellente per gli altri arabi, specie se paragonato alla minaccia iraniana.
Inoltre, i leader arabi non sanno evidentemente cosa fare per uscire dall'attuale impasse con Israele. A nessuno di loro piace il modo in cui sono le cose, ma hanno poche alternative. La cooperazione con Israele permette al governo giordano di ottenere lentamente l'accesso alla Cisgiordania. Il presidente egiziano Hosni Mubarak dedica il grosso delle attenzioni ai problemi interni al Paese. Il presidente siriano Hafez al-Assad non ha ottenuto quella "parità strategica" con Israele che riteneva necessaria prima di prendere dei provvedimenti unilaterali. E ovviamente nessuno in Libano si trova nella posizione di fare molto riguardo allo Stato ebraico.
In secondo luogo, diversamente dal simbolico conflitto con Israele, la guerra tra Iraq e Iran necessita di un'azione concreta e immediata. Questo conflitto brutale – il quarto più cruento del XX secolo per l'alto tributo di vittime – potrebbe sovvertire l'ordine mediorientale.
L'ayatollah Ruhollah Khoneini ha spostato Teheran dalla periferia al cuore del Medio Oriente; la sua ideologia radicale e le forze armate sfidano l'esistenza dei regimi arabi. Uno sfondamento iraniano rivitalizzerebbe la rivoluzione islamica e minaccerebbe i cinque Paesi vicini dell'Iraq. Ciò indurrebbe ad attaccare la presenza occidentale in Medio Oriente e quasi certamente a distruggere le riserve petrolifere.
La guerra tra Iran e Iraq motiva le principali alleanze nella regione. Oggi, Damasco è esclusa dalla politica araba, ma non il Cairo, poiché tutti sanno che l'alleanza con l'Iran mette a repentaglio la regione assai più del trattato di pace con Israele. I Paesi arabi sono coalizzati per fermare l'espansione iraniana più di quanto abbiano mai fatto contro lo Stato ebraico.
Le conseguenze di questi cambiamenti vanno oltre un fattore meramente politico; esse incoraggiano un crescente spirito di sobrietà politica nei Paesi arabi. Le ideologie esaltate e le eccessive speranze delle decadi passate sono cresciute rapidamente e si sono affievolite. Dopo che una moltitudine di piani – l'antisionismo, l'unità araba, il socialismo arabo – ha perso attrattiva, una sensibilità pratica ha acquistato forza. Un nuovo apprezzamento del plausibile dà importanza all'economia, alla democrazia e ai problemi della vita quotidiana.
Questa sobrietà riveste grande importanza per gli Usa. Un miglioramento nei rapporti tra gli Usa e i Paesi arabi può essere ravvisato in molti luoghi ed essere esteso perfino allo Stato iracheno da tempo ostile. I governi arabi stanno collaborando con Washington in un modo che nessuno avrebbe mai immaginato alcuni anni fa (ad esempio cominciano ad offrire una vera cooperazione nel Golfo Persico). Il vecchio ostacolo rappresentato dal sostegno americano ad Israele adesso sembra a stento avere importanza dal momento che, in realtà, sta prendendo forma un'alleanza tra gli Stati Uniti e i Paesi arabi contro l'Iran.
Anche in seno agli Usa il dibattito sul Medio Oriente ha assunto un nuovo tono. L'estrema faziosità che caratterizza il dibattito sul conflitto arabo-israeliano dà la precedenza a un esame tattico del Golfo Persico. Palestinesi e israeliani suscitano delle intense passioni; le forze aeree irachene e l'esercito iraniano esigono una fosca analisi. Ne consegue una discussione molto più sensata sugli interessi americani.
In breve, sta avendo luogo un fondamentale cambiamento nella politica mediorientale, forse il più profondo da quando i Paesi arabi hanno acquistato l'indipendenza dopo la Seconda guerra mondiale. Malgrado la recente ripresa dell'attività diplomatica sovietica nella regione, questi cambiamenti stanno a indicare che questo è il momento di una reale opportunità per gli Usa in Medio Oriente.