Stranamente, c'è un modo giusto e uno sbagliato di chiedere l'eliminazione di Israele.
Kofi Annan, segretario generale delle Nazioni Unite, ha fornito un esempio di entrambi i modi nelle scorse settimane. Quando il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad il 26 ottobre scorso asserì che "il regime che occupa Gerusalemme andrebbe eliminato dalle pagine della storia", Annan replicò manifestando la sua "costernazione". E ancora, il 7 dicembre, quando Ahmadinejad ha chiesto che lo Stato ebraico venga trasferito in Europa Annan si è detto "indignato".
Ma la costernazione e l'indignazione causate da quanto asserito dal presidente iraniano non hanno impedito ad Annan di partecipare il 29 novembre ad una "Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese" organizzata dalle Nazioni Unite, nel bel mezzo degli impeti iraniani. Anne Bayefsky, di Eye on the UN, riferisce che il Segretario delle Nazioni Unite stava seduto sul palco e lì vicino vi era una "Carta geografica della Palestina", con scritte in arabo, che mostrava una Palestina senza Israele. A livello cartografico ciò equivale esattamente a quanto chiesto da Ahmadinejad circa l'eliminazione dello Stato ebraico.
Il fare contraddittorio di Kofi Annan deriva dal fatto che a partire dal 1993 le esplicite richieste per la distruzione di Israele sono diventate offensive, mentre quelle implicite sono diventate più accettabili. Tra queste ultime si annoverano:
- Le richieste per il riconoscimento di "un diritto al ritorno" dei palestinesi (che si tradurrebbe in un annichilimento dello Stato ebraico conferendo la cittadinanza a qualunque arabo si proclami palestinese).
- Dichiarare un "jihad per liberare Gerusalemme".
- Commemorare la creazione di Israele come Al-Nakba ("il disastro").
- Proporre la "soluzione di un unico Stato" (vale a dire non più Israele).
- Tributi a "tutti coloro che sono morti per la causa del popolo palestinese" (inclusi gli attentatori suicidi) e
- Carte geografiche nelle quali non figuri Israele.
Fatah e Hamas insieme ostentano questa dicotomia. Entrambe aspirano ad eliminare Israele, ma esse scelgono diversi percorsi per farlo.
A partire dal 1988, le tattiche di Fatah sono state opportunistiche, doppie e inconsistenti, sin da quando Yasser Arafat condannò a parole il terrorismo e avviò "il processo di pace" con Israele – e per l'esattezza egli patrocinò al contempo il terrorismo suicida e promosse un'ideologia che abiurava in toto la legittimità israeliana. Questo raggiro lapalissiano permise a Fatah di ottenere grossi benefici da Israele, inclusa un'autorità autonoma, una forza semi-militare, ingenti sovvenzioni da parte dei paesi occidentali e il quasi controllo di un confine.
Hamas, al contrario, ha rifiutato coerentemente l'esistenza dello Stato di Israele e ha conquistato sempre più vasti segmenti dell'opinione pubblica palestinese (i più recenti sondaggi la vedono dietro Fatah [45%] nelle prossime elezioni, con il 35% delle preferenze). Ma questo palese rifiuto ha rappresentato un anatema per Israele e gli altri, limitando così la sua efficacia. Di conseguenza, negli ultimi mesi Hamas ha iniziato a mostrarsi più flessibile; ad esempio, questa organizzazione ha rispettato in genere il cessate il fuoco con Israele ed è orientata a prendere parte al processo diplomatico. Ciò offre dei vantaggi; Conflicts Forum e altre organizzazioni stanno presentando con qualche successo Hamas come un interlocutore di nuovo legittimo.
La Jihad Islamica palestinese potrebbe considerarsi come l'unica organizzazione che rifiuta a oltranza l'esistenza dello Stato ebraico.
Perché questa duplicità di condotta? Perché l'approccio utilizzato da Fatah seduce gli israeliani fino al punto di arrivare a collaborare con questi ultimi, gli eufemismi come quelli adoperati da Arafat, le contraddizioni, i sotterfugi e le bugie li incoraggiano a fare "delle dolorose concessioni". Al contrario, l'approccio adottato dalla Jihad Islamica palestinese e dal presidente iraniano Ahmadinejad mette senza riguardi Israele di fronte a delle minacce palesi e brutali che non possono trovare giustificazione alcuna. Le sfacciate richieste di far sparire Israele fanno adirare gli israeliani, inducono a procurarsi nuovi armamenti e a sbarrare la strada alla diplomazia.
Questi espedienti potrebbero mettere a dura prova la credulità – non è che gli israeliani capiranno che la prima non è meno letale del secondo?
A dire il vero non è così. Come asserisce il filosofo Yoram Hazony, è dal 1993 che gli israeliani si mostrano come "un popolo sfiancato, confuso e privo di direzione", disposto e perfino impaziente di farsi abbindolare dai nemici. Tutto ciò di cui hanno bisogno gli israeliani consiste in alcune profferte, per quanto poco convincenti, vale a dire che riusciranno a liberarsi della guerra e che non si limiteranno a fare delle concessioni ai nemici mortali.
Pertanto ciò ha illuminato l'opinione pubblica mondiale a condannare Ahmadinejad, accorgendosi che egli si è spinto troppo oltre e che indurrà gli israeliani a tornare sui propri passi. Se egli avesse smorzato i toni e se, ad esempio, avesse chiesto in modo elegante l'eliminazione dello Stato di Israele appoggiando la soluzione di un unico Stato, tutto sarebbe andato bene.
Questo lascia agli israeliani la libertà di definire quale atteggiamento antisionista sia lecito oppure no. Il fatto che Kofi Annan abbia al contempo condannato e appoggiato l'eliminazione di Israele si limita a rispecchiare l'etichetta di distruzione creata dagli stessi israeliani.
"Carta geografica della Palestina" come mostrata alle Nazioni Unite il 29 novembre 2005. |
Kofi Annan, secondo da destra, seduto sul palco con la "Carta geografica della Palestina" che elimina l'esistenza di Israele sullo sfondo. |