In questi giorni, i discorsi palestinesi riguardo Gerusalemme assomigliano molto a quelli che fanno i sionisti.
Innanzitutto, c'è una dichiarazione rilasciata da uno degli alti funzionari religiosi di Yasser Arafat, in base alla quale i palestinesi "non accetteranno mai un pezzo di terra come alternativa a Gerusalemme". Poi vi è "l'Impegno di Gerusalemme", siglato da parecchie personalità palestinesi, con il quale si promette "a Dio e agli Stati arabi e musulmani che Gerusalemme rimarrà nei nostri cuori, nei nostri sentimenti e nelle nostre menti, e non cederemo la sua sabbia (…) Promettiamo a Dio che rimarremo i detentori della bandiera di Gerusalemme fino a consegnarla ai nostri figli e ai nostri nipoti".
Talvolta, le parole dei palestinesi echeggiano quelle degli israeliani. Difatti, quando i leader ebraici e musulmani incontrarono nel marzo scorso Papa Giovanni Paolo II, da ambo le parti si parlò di Gerusalemme come della loro "capitale eterna". E così pure il Presidente israeliano e Arafat.
L'amore dei palestinesi nei confronti di Sion non è fatto solo di chiacchiere: le pretese di Arafat di esplicare il diritto di sovranità sulla parte orientale di Gerusalemme hanno portato al fallimento del summit di Camp David II svoltosi a luglio.
Per quale motivo i sentimenti dei palestinesi non sono poi così diversi da quelli ebraici? Perché il nazionalismo palestinese risale soltanto al 1920, e mancando di precedenti radici esso imita la sua controparte ebraica.
Ad esempio, i sionisti fondano le loro rivendicazioni sulla Bibbia, e così anche i palestinesi.
Arafat ha detto a un giornalista: "Devi leggere la Bibbia poiché in essa sono contenuti numerosi riferimenti storici a dimostrazione dell'esistenza di un'identità culturale e geopolitica palestinese, risalente a parecchie migliaia di anni fa".
Se i sionisti ebrei crearono uno "Stato in fieri" nel corso del periodo mandatario (1917-48), i palestinesi lo stanno facendo adesso. Ciò che l'Agenzia Ebraica era, l'Autorità palestinese è diventata. Ecco cosa contraddistingue questi due movimenti da tutti gli altri sforzi anticoloniali: entrambi hanno semplicemente ereditato lo Stato coloniale.
Per di più, il Jewish National Fund (JNF) acquista la terra dagli arabi per l'insediamento sionista. E a partire dal 1995, l'OLP acquistò terreni dagli ebrei.
Dal 1994 i palestinesi hanno fatto propria anche la pratica sionista di piantare alberi. Il JNF e i palestinesi condividono lo stesso obiettivo: rafforzare una rivendicazione morale alla terra. Inoltre, la cerimonia palestinese del piantare alberi, ha luogo il giorno prima del Tu Bishvat, l'antica festa ebraica degli alberi.
La dichiarazione dell'OLP, del novembre 1988, in merito alla creazione di uno Stato palestinese ha fatto eco alla Proclamazione di Indipendenza di Israele del 1948 nel contenuto, nell'organizzazione e anche nella specifica enunciazione. David Ben-Gurion fece appello agli "ebrei di tutto il mondo per uno schieramento dalla nostra parte". Arafat si rivolse ai "compatrioti arabi per consolidare e rafforzare l'emergenza e la realtà del nostro Stato".
La Legge del Ritorno dice che ogni ebreo gode di un inalienabile diritto a vivere in Israele e a puntellare l'intera rischiosa impresa sionista. I palestinesi proclamano un "Diritto al Ritorno", asserendo che ogni palestinese soppiantato ha la prerogativa di rientrare in possesso delle terre abbandonate nel 1948-49.
Al pari dei sionisti, i palestinesi fanno molto affidamento sulle sovvenzioni estere. Dapprincipio, i sionisti contarono sull'appoggio degli altri ebrei, e poi su quello dei Paesi occidentali. Anche i palestinesi hanno cominciato con il fare affidamento sui correligionari per poi espandersi ai governi stranieri.
La terminologia sionista svolge una duplice funzione per i palestinesi. Questi ultimi adesso chiamano la terra che anelano "la terra promessa" e addirittura talvolta utilizzano il termine "Eretz Palestina". I pensatori musulmani sono perfettamente consapevoli di questa emulazione. Sadik J. Azm, un analista siriano, definisce le agenzie palestinesi come delle "copie carbone" delle copie originali sioniste. Khalid Durán, uno storico di origine marocchina, ritiene che "l'importanza che Gerusalemme riveste per gli ebrei e l'attaccamento di questi ultimi verso di essa sono stati adesso usurpati dai musulmani palestinesi". Kanan Makiya, uno scrittore iracheno, osserva che "lo status consacrato di espropriazione palestinese del 1948 (…) per la politica araba è diventato ciò che l'Olocausto rappresenta per la politica israeliana: immagini allo specchio di altre".
Il gioco di Simon Says (gioco per bambini in cui i giocatori devono eseguire i comandi preceduti da "Simon Says" NdT) ha due importanti implicazioni. Innanzitutto, assicurerebbe un conflitto estremo, poiché se qualcosa – come ad esempio Gerusalemme – viene considerata come estremamente preziosa dagli ebrei, sarà altrettanto preziosa per i palestinesi. Sarebbe molto più facile giungere a un compromesso se Ramle divenisse oggetto delle ambizioni palestinesi.
In secondo luogo, l'emulazione trasforma ogni disaccordo in una battaglia di intenti. Chi è in grado di piantare il maggior numero di alberi o di raccogliere più fondi all'estero? Quale parte è in grado di addurre convincenti argomenti a favore del suo "diritto al ritorno"? Chi ama di più Sion?
Una sintesi di vigore palestinese e fiacchezza israeliana rende le risposte tutt'altro che prevedibili. A questo punto, fuori da ogni immaginazione, può darsi che il sionismo palestinese sia più vigoroso del suo prototipo israeliano.