Per molti secoli, gli Alawiti sono stati la parte della popolazione siriana più debole, più povera, più rurale, più disprezzata e più retrograda. Ma negli ultimi anni, si sono trasformati nell'élite dirigente di Damasco. Ora, gli Alawiti dominano il governo, ricoprono importanti posizioni militari, dispongono di una quota sproporzionata di risorse educative e stanno diventando ricchi. Come è avvenuto questo drastico cambiamento? Quando gli Alawiti sono riusciti a sfuggire ai loro confini tradizionali e come si spiega la loro ascesa?
I sunniti e altri non simpatizzanti del regime di Assad rispondono a questa domanda accusando gli Alawiti di una elaborata cospirazione a lungo termine per assumere il potere in Siria. Annie Laurent ipotizza che essendo "gli Alawiti determinati a ottenere la loro vendetta" dopo il fallimento di Sulayman Murshid, un leader ribelle, "attuarono una strategia finalizzata alla creazione di cellule nell'esercito e nel partito Baath (o Ba'th) e questo gli permise di conquistare il potere a Damasco". I sostenitori di questa visione datano l'ascesa degli Alawiti al 1959, anno in cui fu istituito il Comitato militare del Partito Ba'th. Per quale motivo, essi si chiedono, i leader di questo gruppo tennero segreta la sua esistenza alle autorità del partito? Questa segretezza fa pensare che il Comitato militare avesse fin dall'inizio un'agenda settaria. Matti Moosa sostiene che "è quasi certo che gli ufficiali non agissero come baathisti, ma come Nusayri [Alawiti], con l'intento di usare il Ba'th e le forze armate per salire al potere in Siria. La formazione del Comitato militare fu l'inizio del loro piano per una futura acquisizione del governo".
Questa ipotesi fu confermata dall'incontro clandestino del 1960 di capi e ufficiali religiosi alawiti (incluso Hafiz al-Assad) che si sarebbe svolto a Qardaha, la città natale di Assad. "L'obiettivo principale di questo incontro era pianificare come introdurre gli ufficiali Nusayri nei ranghi del Partito Ba'th. Lo avrebbero poi sfruttato come un mezzo per arrivare al governo in Siria". Tre anni dopo, un altro incontro alawita avvenuto a Homs sembrò dare seguito alle precedenti iniziative. Tra le altre misure, fu auspicato l'inserimento di più Alawiti nel Partito Ba'th e nell'esercito. Ulteriori incontri segreti di leader alawiti sembrano aver avuto luogo più tardi negli anni Sessanta.
Gli analisti più favorevoli ad Assad tendono a sottovalutare non soltanto questi incontri e una premeditata corsa al potere, ma più in generale il fattore settario. John F. Devlin, ad esempio, nega che la sproporzione di Alawiti nell'esercito implichi il dominio alawita della Siria. Avrebbe fatto a meno di vedere "ogni disaccordo interno in termini di scontro alawita-sunnita". Per lui, il fatto che gli Alawiti fossero al potere è tendenzialmente casuale: "Il Ba'th è un partito laico, ed è pieno di minoranze". Alasdair Drysdale definisce "riduzionista" focalizzarsi sull'etnicità, sostenendo che questo è uno dei numerosi fattori – geografici, relativi alla classe, all'età, all'istruzione e alla professione – che delineano la classe dirigente. Secondo Yahya M. Sadowski, "la fedeltà all'appartenenza religiosa gioca un ruolo insignificante nel Baˈth e perfino i legami confessionali sono soltanto una delle tante strade attraverso le quali si estende il sostegno.
La verità sta in mezzo tra complotto e casualità. Gli Alawiti non avevano "pianificato di prendere il potere in futuro" anni prima, né è un caso che nel Partito Ba'th "le minoranze avessero un certo peso". Il potere alawita fu la conseguenza di una trasformazione non pianificata, ma confessionale, della vita pubblica in Siria. Michael van Dusen spiega: "Dal 1946 al 1963, la Siria ha assistito alla graduale erosione del potere politico nazionale e infine subnazionale dell'élite tradizionale, non tanto attraverso la comparsa di nuove élites particolarmente dinamiche, ma piuttosto a causa di conflitti interni". Tradotto dal gergo della politologia, quello che dice van Dusen è che le divisioni interne hanno fatto perdere il potere ai civili sunniti non baathisti. Questo ha offerto un'occasione che i funzionari baathisti di origine alawita hanno sfruttato.
Come è avvenuto questo processo è l'argomento che tratterò in questo scritto. Innanzitutto, però, mi sofffermerò sull'identità degli Alawiti e sul loro ruolo nella società siriana tradizionale, per poi tracciare la loro ascesa.
L'eresia alawita fino al 1920
Popolazione e religione
"Alawi" è l'appellativo con cui gli Alawiti in genere si definiscono, ma fino al 1920 erano conosciuti nel mondo esterno come Nusayri o Ansari. Il cambio del nome, che fu imposto dai francesi al momento della presa del controllo in Siria, ha rilevanza. Mentre "Nusayri" sottolinea le differenze del gruppo dall'Islam, il termine "alawi" sta a indicare un seguace o un partigiano di 'Ali (il genero del profeta Maometto) e accentua le somiglianze della religione con l'Islam sciita. Di conseguenza, gli oppositori del regime di Assad usano abitualmente il primo termine, mentre i suoi sostenitori utilizzano il secondo.
Oggi, gli Alawiti sono circa 1,3 milioni, di cui circa un milione vive in Siria. Costituiscono circa il 12 percento della popolazione siriana. Tre quarti degli Alawiti siriani vivono a Latakia, una provincia nel nord-ovest della Siria, dove costituiscono quasi i due terzi della popolazione.
Le dottrine alawite risalgono al IX secolo e derivano dal filone dell'Islam sciita (la setta che predomina in Iran) dei Duodecimani o degli Imamiti. Intorno all'859, un certo Ibn Nusayr si dichiarò bab ("porta [di accesso] alla verità"), una figura chiave nella teologia sciita. Sulla base di questa autorità, Ibn Nusayr proclamò una serie di nuove dottrine che, per farla breve, fanno dell'Alawismo una religione separata. Secondo Ibn Kathir (morto nel 1372), là dove i musulmani proclamano la loro fede con la frase "Non c'è divinità se non Iddio, e Maometto è il suo profeta", gli Alawiti affermano: "Non c'è divinità se non 'Ali, nessun velo se non Maometto, e nessun bab se non Salman". Gli Alawiti respingono i principi fondamentali dell'Islam: secondo quasi tutti gli standard, non devono essere considerati musulmani.
Alcune dottrine alawite sembrano derivare dal paganesimo fenicio, dal mazkadismo e dal manicheismo. Ma l'affinità di gran lunga maggiore è con il Cristianesimo. Nelle cerimonie religiose alawite si prevede l'uso del pane e del vino, infatti, bere vino ha un ruolo sacro nella fede alawita, poiché esso rappresenta Dio. La religione ritiene che 'Ali, il quarto califfo, sia l'incarnazione (come Gesù) della divinità. Nella religione alawita c'è una santa trinità costiuita da Maometto, 'Ali e Salman al-Farisi, uno schiavo liberato da Maometto. Gli Alawiti celebrano molte festività cristiane, tra cui il Natale, il Capodanno, l'Epifania, la Pasqua, la Pentecoste e la Domenica delle Palme. Onorano molti santi cristiani: Santa Caterina, Santa Barbara, San Giorgio, San Giovanni Battista, San Giovanni Crisostomo e Santa Maria Maddalena. I corrispondenti nomi in arabo di Gabriele, Giovanni, Matteo, Caterina ed Elena vengono comunemente utilizzati. E gli Alawiti tendono a mostrare una maggiore benevolenza nei confronti dei cristiani che verso i musulmani.
Per queste ragioni, molti osservatori, in particolare i missionari, hanno accusato gli Alawiti di nutrire una segreta propensione per i cristiani. Anche T.E. Lawrence li ha descritti come "quei discepoli di un culto della fertilità, puri pagani, contrari agli stranieri, diffidenti nei confronti dell'Islam, attratti a volte dal Cristianesimo a causa della comune persecuzione". Lo studioso gesuita Henri Lammens ha concluso in modo inequivocabile ma ingenuo dalla sua ricerca che "i Nusayri erano cristiani" e le loro pratiche combinano elementi cristiani con elementi sciiti.
I dettagli della fede alawita vengono nascosti non soltanto ai non appartenenti alla setta, ma anche alla maggioranza degli Alawiti. Al contrario dell'Islam, che si fonda sulle relazioni dirette tra Dio e il singolo credente, l'Alawismo consente esclusivamente ai maschi nati da due genitori alawiti di apprendere le dottrine religiose. Se riconosciuti idonei, tra i sedici e i venti anni di età, essi vengono iniziati ai riti e altri misteri vengono loro rivelati in seguito, ma solo gradualmente. Il segreto religioso è rigorosamente mantenuto, pena la morte e l'incarnazione in un animale vile. I mortali non possono valutare se quest'ultima minaccia si concretizzi o meno, ma la prima minaccia, di certo, si materializza. Così, il più famoso apostata dell'Alawismo, Sulayman Efendi al-Adhani, fu assassinato per aver divulgato i misteri della setta. È ancor più sorprendente il fatto che, a metà degli anni Settanta, quando scoppiarono in Siria una serie di tensioni settarie, la proposta che gli ufficiali alawiti al governo del Paese pubblicassero i libri segreti della loro religione indusse Salah Jahid a rispondere con orrore, affermando che in tal modo i leader religiosi "ci schiaccerebbero".
Le donne svolgono la maggior parte dei lavori pesanti; sono apprezzate "proprio perché il lavoro che loro svolgono gli uomini lo farebbero a malincuore, trovandolo incompatibile con la loro dignità". Le donne non vengono mai iniziate ai misteri ("Vorreste che insegniamo loro chi usiamo, la nostra santa fede?"): in realtà, il fatto che le donne siano impure comporta la loro esclusione da tutti i riti religiosi. Si crede che le donne mantengano il culto pagano di adorare gli alberi, i prati e le colline, e che non abbiano un'anima. In generale, le donne sono trattate in modo abominevole; ma una conseguenza di questa mancanza di rispetto è che non hanno bisogno di indossare il velo e godono di una maggiore libertà di movimento rispetto alle donne musulmane.
Le donne che non indossano il velo e molte altre pratiche alawite – in particolare, che è consentito bere e che alcune cerimonie si svolgono di notte – hanno a lungo suscitato sospetti da parte dei musulmani in merito al comportamento degli Alawiti. Inoltre, l'ossessiva segretezza insita nella religione ha fatto pensare ai sunniti che gli Alawiti avevano qualcosa da nascondere. Ma perché? Nel corso dei secoli, le fantasie dei sunniti hanno fornito una risposta molto suggestiva: i piaceri e le perversioni sessuali.
Così, il teologo al-Ash'ari (874-936) riteneva che l'Alawismo incoraggiasse la sodomia maschile e i matrimoni incestuosi e il fondatore della dottrina religiosa drusa, Hamza ibn 'Ali († 1021), scrisse che gli Alawiti consideravano "il membro maschile che entra nella natura femminile l'emblema della loro dottrina spirituale". Di conseguenza, gli uomini alawiti condividono liberamente le loro mogli con i correligionari. Queste e altre accuse sono sopravvissute inalterate attraverso i secoli e sono circolate anche tra gli europei. Un viaggiatore britannico che visse intorno al 1840 e che probabilmente faceva eco a voci locali scrisse che "l'istituzione del matrimonio è sconosciuta. Quando un giovane cresce si compra la moglie". Anche gli Alawiti credevano nel "comunismo coniugale" dei loro leader religiosi. Tali calunnie continuano ad essere un pilastro della propaganda anti-alawita che circola oggi in Siria.
Sebbene le accuse siano false, gli Alawiti non accettano la legge sacra dell'Islam, la Shari'a, e quindi si dedicano a ogni sorta di attività che la dottrina islamica proibisce. Gli Alawiti ignorano le pratiche sanitarie islamiche, le restrizioni alimentari, i costumi sessuali e i rituali religiosi. Allo stesso modo, prestano poca attenzione alle cerimonie di digiuno, all'elemosina e al pellegrinaggio dell'Islam; anzi, considerano il pellegrinaggio alla Mecca una forma di idolatria. I "matrimoni spirituali" fra giovani iniziati (maschi) e i loro mentori religiosi sono probabilmente all'origine delle accuse di omosessualità.
La cosa più sorprendente di tutte è che gli Alawiti non hanno preghiere o luoghi di culto: infatti, mancano di strutture religiose a parte le tombe. Le preghiere si svolgono in case private, solitamente quelle dei capi religiosi. Il viaggiatore del XIV secolo Ibn Battuta descrive come essi hanno risposto a un decreto governativo che ordinava la costruzione di moschee: "Ogni villaggio ha costruito una moschea lontano dalle abitazioni, a cui gli abitanti non accedono e non provvedono alla sua gestione. Spesso sopraggiunge uno sconosciuto che si reca alla moschea per recitare la chiamata [islamica] alla preghiera e loro gli urlano contro: 'Smettila di ragliare, il tuo foraggio sta arrivando'". Cinque secoli dopo fu fatto un altro tentativo di costruire moschee per gli Alawiti, questa volta da parte delle autorità ottomane; nonostante le pressioni ufficiali, tali tentativi furono abbandonati anche da parte dei funzionari religiosi, e ancora una volta le moschee furono adibite a stalle.
Al di là di specifiche divergenze, la non conformità alla Shari'a significa che la vita alawita segue ritmi propri, fondamentalmente diversi da quelli dei musulmani. Gli Alawiti non si comportano come i musulmani sunniti, con i quali ci sono soltanto lievi differenze, ma piuttosto assomigliano ai cristiani e agli ebrei nel loro modo di vivere totalmente distinto. Matti Moosa osserva che, "come gli altri estremisti sciiti (...) i Nusayri avevano un totale disprezzo per i doveri religiosi musulmani". Ignaz Goldziher lo dice sinteticamente: "Questa religione è l'Islam solo in apparenza". È importante chiarire questo punto: gli Aalawiti non sono mai stati musulmani e non lo sono ora.
Eppure, come sta a indicare il racconto di Battuta, c'è una costante incoerenza nel desiderio degli Alawiti di essere considerati musulmani. Nel suo caso, si trattava di moschee costruite e poi trascurate; altre volte, si tratta di un'adozione poco convinta delle usanze islamiche. Gli Alawiti hanno una lunga storia di accettazione dell'Islam quando questo soddisfa i loro bisogni e di disinteresse in altri casi. In altre parole, come altre sette di origine sciita, gli Alawiti praticano la taqiya (dissimulazione religiosa). Ciò potrebbe significare, ad esempio, pregare fianco a fianco con i musulmani sunniti, ma maledicendo silenziosamente i califfi sunniti. L'apostata alawita Sulayman Efendi al-Adhani ha raccontato di aver giurato di dissimulare i misteri della sua religione. Un detto alawita spiega il sentimento che si cela dietro la taqiya: "Noi siamo il corpo e le altre sette non sono che vestiti. Tuttavia, un abito non cambia un uomo. Quindi rimaniamo sempre Nusayri, anche se adottiamo esternamente le pratiche dei nostri vicini. Chi non dissimula è uno sciocco, perché nessuna persona intelligente si reca nuda al mercato". Un altro proverbio alawita esprime laconicamente questo pensiero: "La dissimulazione è la nostra guerra giusta!" (al-Kitman jihadna).
Nel 1697, un viaggiatore britannico rilevò che gli Alawiti hanno
un carattere strano e singolare. Poiché è loro principio non aderire a nessuna religione definita, ma come i camaleonti assumono il colore di qualunque religione si riverbera su di loro dalle persone con cui conversano. (...) Nessuno è mai stato in grado di scoprire che cosa sono davvero nel profondo. Tutto ciò che è certo di loro è che producono parecchio vino e di qualità buona, e che sono dei grandi bevitori.
Centocinquant'anni dopo, Benjamin Disraeli descrisse gli Alawiti in una conversazione contenuta nel romanzo Tancredi:
"Sono musulmani?"
"È molto facile dire ciò che non sono e questo è dovuto alla conoscenza che abbiamo di loro; non sono musulmani, non sono cristiani, non sono drusi e non sono ebrei, e di certo non sono guebri [zoroastriani]".
Sulayman Efendi al-Adhani ha spiegato questa flessibilità dall'interno:
Assumono le pratiche esteriori di tutte le sette. Se incontrano musulmani [sunniti] dicono loro giurando: "Siamo come voi, digiuniamo e preghiamo". Ma digiunano in modo improprio. Se entrano in una moschea con i musulmani non recitano alcuna preghiera, ma invece s'inchinano e si alzano come i musulmani, mentre maledicono Abu Bakr, 'Umar, 'Uthman e altri [importanti personaggi della tradizione sunnita].
La Taqiya ha permesso agli Alawiti di seguire la corrente. Quando la Francia governava, si dipingevano come spaesati cristiani. Quando il panarabismo era popolare, divennero ferventi arabi. Più di diecimila Alawiti di Damasco si finsero sunniti negli anni prima che Assad salisse al potere, per poi rivelare la loro vera identità quando ciò divenne politicamente utile. Durante la presidenza di Assad, furono compiuti sforzi concertati per ritrarre gli Alawiti come sciiti duodecimani.
Rapporti con i sunniti
La maggioranza dei musulmani, sia sunniti che sciiti, tradizionalmente ignorava gli sforzi compiuti dagli Alawiti per dissimularsi; vedeva gli Alawiti al di fuori dell'Islam, come non musulmani. Hamza ibn 'Ali, il quale riteneva che la religione risiedesse nella sua perversità, espresse chiaramente questo punto di vista: "La prima cosa che promuove il malvagio Nusayri è il fatto che tutte le cose normalmente proibite agli esseri umani – uccidere, rubare, mentire, calunniare, fornicare, essere omosessuali – sono consentite a colui o a colei che accetta [le dottrine alawite]". Abu Hamid al-Ghazali (1058-1111), il Tommaso d'Aquino dell'Islam, scriveva che gli Alawiti "sono apostati in materia di sangue, denaro, matrimonio e macellazione, pertanto, è un dovere ucciderli".
Ahmad ibn Taymiya (1268-1328), un teologo sunnita di origine siriana ancora molto influente, scrisse in una fatwa (una sentenza emessa da un'autorità religiosa) che "i Nusayri sono più infedeli degli ebrei o dei cristiani, anche più infedeli di molti politeisti. Hanno fatto un danno maggiore alla comunità di Maometto rispetto agli infedeli scesi in guerra, come i Franchi, i Turchi e altri. Agli inconsapevoli musulmani fanno credere di essere sciiti, anche se in realtà non credono in Dio né nel suo Profeta e nemmeno nel Suo libro". Ibn Taymiya mise in guardia dalle conseguenze della loro inimicizia: "Quando possibile, versano il sangue dei musulmani. Sono sempre i peggiori nemici dei musulmani". E per finire, Ibn Taymiya affermò che "la guerra e le punizioni contro di loro in conformità con la legge islamica sono tra le più grandi opere pie e gli obblighi più importanti" per un musulmano. Dal XIV secolo in poi, i sunniti hanno utilizzato il termine "Nusayri" con l'accezione di paria.
Gli Alawiti non rivestivano una posizione riconosciuta nel sistema del millet (in cui le comunità religiose avevano una considerevole autonomia amministrativa, N.d.T.) dell'Impero ottomano. Un decreto ottomano del 1571 rilevava che "l'antica usanza" richiedeva agli Alawiti di pagare imposte supplementari alle autorità e lo giustificava con il fatto che gli Alawiti "non praticano né il digiuno [del Ramadan] né le preghiere rituali, e nemmeno osservano alcun precetto della religione islamica". I sunniti spesso consideravano il cibo confezionato dagli Alawiti come impuro, e non lo mangiavano. Secondo Jacques Weulerrse, "nessun Alawita oserebbe entrate in una moschea musulmana. In passato, nessuno dei loro leader religiosi poteva recarsi in città il giorno della preghiera pubblica [il venerdì] senza correre il rischio di essere lapidato. Qualsiasi manifestazione pubblica dell'identità separata della comunità è stata presa [dai sunniti] come una sfida".
I sunniti non sono stati gli unici a considerare gli Alawiti al di fuori dell'Islam, anche la maggioranza sciita ha fatto lo stesso. E gli Alawiti, a loro volta, consideravano entrambi i gruppi inadeguati.
Gli eresiografi hanno condannato le convinzioni alawite e hanno visto gli Alawiti come miscredenti (kuffar) e idolatri (mushrikun). Gli eresiografi sciiti duodecimani erano solo leggermente meno virulenti e consideravano gli Alawiti ghulat, ossia "coloro che superano" tutti i limiti nella loro divinizzazione di Ali. Gli Alawiti, a loro volta, ritenevano che i Duodecimani fossero muqassira, ossia "coloro che non riescono" a comprendere la divinità di Ali.
Si registra però un'eccezione a questa opinione unanime che gli Alawiti non erano musulmani. Verso la fine del XIX secolo, quando i missionari cristiani iniziarono a interessarsi agli Alawiti, le autorità ottomane cercarono di convertirli all'Islam. I francesi avevano già legami speciali con i cattolici maroniti e le autorità di Istanbul temevano che un legame simile si stesse creando con gli Alawiti. Pertanto, costruirono moschee nelle aree abitate dagli Alawiti, edificarono scuole per insegnare l'Islam, esercitarono pressioni sui leader religiosi alawiti affinché adottassero le pratiche sunnite e, in genere, cercarono di fare in modo che gli Alawiti si comportassero da veri musulmani. Questo caso isolato di sunniti che tesero la mano all'Alawismo si concluse dopo pochi decenni ed ebbe un impatto minimo sul comportamento degli Alawiti.
La religione islamica riserva una particolare ostilità agli Alawiti. Come altre sette post-islamiche (come i Baha'i e gli Ahmadi qadiani), essi sono visti in contraddizione con il principio chiave islamico, secondo cui l'ultima rivelazione di Dio fu fatta a Maometto, e questo i musulmani lo trovano assolutamente inaccettabile. La legge islamica riconosce la legittimità dell'Ebraismo e del Cristianesimo perché quelle religioni hanno preceduto l'Islam; di conseguenza, ebrei e cristiani possono mantenere la loro fede. Ma agli Alawiti è negato questo privilegio. In effetti, i precetti dell'Islam richiedono che gli apostati come gli Alawiti siano venduti come schiavi o giustiziati. Nel XIX secolo, uno sceicco sunnita, Ibrahim al-Maghribi, emise una fatwa in modo che i musulmani potessero liberamente prendere le proprietà e le vite degli Alawiti; e un viaggiatore britannico riporta che gli fu detto: "Questi Ansari, è meglio ucciderne uno che pregare un giorno intero".
Essendo perseguitati con una certa frequenza (circa 20 mila furono massacrati nel 1317 e metà di quel numero nel 1516,) gli Alawiti si isolarono geograficamente dal mondo esterno rimanendo nelle proprie aree rurali. Jacques Weulersse ha spiegato così la loro situazione:
Sconfitte e perseguitate, le sette eterodosse scomparvero oppure, per sopravvivere, rinunciarono al proselitismo. (...) Gli Alawiti si trincerarono silenziosamente sui loro monti. (...) Isolati in una zona aspra, circondati da una popolazione ostile, ormai senza comunicazioni con il mondo esterno, gli Alawiti iniziarono a vivere la loro esistenza solitaria nel segreto e nella repressione. La loro dottrina, pienamente formata, non si è ulteriormente evoluta.
E. Janot ha descritto in tal modo il problema: "Vittima di bullismo da parte dei turchi, vittima di un deciso ostracismo, derubato dal suo proprietario terriero musulmano, l'Alawita non aveva il coraggio di lasciare la sua regione montuosa, dove l'isolamento e la povertà lo proteggevano". Alla fine degli anni Venti, meno della metà dell'uno per cento viveva nelle città: soltanto 771 Alawiti su una popolazione di 176.285 abitanti. Nel 1945, soltanto 56 Alawiti erano registrati a Damasco (anche se molti altri potrebbero aver nascosto la loro identità). A ragione, "il nome Nusayri divenne sinonimo di contadino". I pochi Alawiti che vivevano lontano dalla loro area montuosa praticavano quotidianamente la taqiya. Ancora oggi, gli Alawiti dominano le aree rurali di Latakia, ma costituiscono solo l'11 percento dei residenti nel capoluogo di quella regione.
Secoli di ostilità hanno messo a dura prova la psiche alawita. Oltre a pregare per la perdizione dei loro nemici sunniti, gli Alawiti hanno attaccato gli estranei. Hanno acquisito la reputazione di gente di montagna feroce e indisciplinata che si è opposta a pagare le tasse che dovevano alle autorità e spesso ha saccheggiato gli abitanti dei villaggi sunniti nelle pianure. Nel 1812, John Lewis Burckhardt osservava che quegli abitanti dei villaggi "disprezzano gli Anzeyri [Ansari] per la loro religione e li temono, perché spesso scendono dalle montagne di notte, attraversano l'Aaszy [il fiume Asi o Oronte] e rubano o portano via con la forza il bestiame della valle".
Nel 1860, le cose sembravano andare ancora peggio, quando Samuel Lyde aggiunse che "non si pensa di uccidere un musulmano, come fosse un nemico naturale, o un cristiano, come fosse una cosa impura". In una guida di viaggi, scritta più o meno nello stesso periodo, l'autore britannico metteva in guardia dalla fredda accoglienza che ci si poteva aspettare dagli Alawiti: "Sono una razza indomita e in qualche modo selvaggia, dedita al saccheggio e persino allo spargimento di sangue, quando si suscitano i loro ardori o si desta la loro diffidenza". Con un meraviglioso eufemismo, l'autore della guida concludeva scrivendo: il loro territorio va quindi attraversato con prudenza".
Gli Alawiti si ritirarono sulle montagne a causa della persecuzione e vi rimasero, al riparo dal mondo in generale, privi di potere politico oltre i confini della loro regione, isolati dalle entità politiche più ampie, quasi oltre i limiti del cambiamento storico. La sopravvivenza ben oltre il XX secolo di pratiche arcaiche ha fatto della regione alawita (per usare le parole di Jacques Weulersse) una "terra fossile". Poco è cambiato in quel territorio perché "non è la montagna che si è umanizzata, ma è l'uomo che si è reso selvaggio". Gli Alawiti ne hanno sofferto: "il rifugio che avevano conquistato è diventata una prigione: sebbene fossero i padroni della montagna non potevano andarsene".
I governi ebbero difficoltà a sottomettere il territorio alawita. In effetti, esso passò sotto il controllo ottomano alla fine del 1850. La pacificazione della regione portò in seguito a incursioni economiche sunnite e alla formazione di una sottoclasse alawita. Essendo dei contadini poco istruiti, privi di organizzazione politica o di forza militare, gli Alawiti lavoravano in fattorie appartenenti a proprietari terrieri arabi sunniti, ricevendo soltanto un quinto di quanto prodotto. Gli agenti ottomani spesso esigevano il doppio o il triplo delle tasse dovute nella regione di Latakia.
Gli Alawiti erano così duramente provati dopo la Prima guerra mondiale che molti giovani lasciarono la loro terre per lavorare altrove: i maschi andavano a svolgere lavori umili o si arruolavano nelle forze armate; le femmine, all'età di 7-8 anni lavoravano come domestiche nelle case di città di arabi sunniti, e poiché molte di queste ragazze finirono per diventare amanti di questi uomini (si stima che un quarto dei bambini alawiti nati tra il 1930 e il 1940 aveva un padre sunnita), i musulmani e gli Alawiti consideravano questa pratica fortemente riprovevole. In alcuni casi, le ragazze venivano addirittura vendute. Non è esagerato affermare, come fa uno storico autoctono, che gli Alawiti "erano tra i più poveri d'Oriente". Il revrendo Samuel Lyde andò ancora oltre, scrivendo nel 1860 che "lo stato della società [alawita] è un perfetto inferno sulla Terra".
Gli effetti politici della povertà erano esacerbati dalla natura di queste divisioni, che seguivano linee geografiche e comuitarie. I sunniti che vivevano nelle città godevano di un maggiore benessere e dominavano i contadini alawiti. Jacques Weulersse descrisse nel 1934 come ogni comunità "viva separatamente con i propri costumi e le proprie leggi". Non sono soltanto diversi, ma anche ostili (...) l'idea dei matrimoni misti sembra inconcepibile". Nel 1946, aggiunse che "l'antagonismo tra la popolazione urbana e quella rurale è talmente profondo che si può quasi parlare di due diverse popolazioni che coesistono all'interno di un unico quadro politico". Una generazione dopo, Nikolaos van Dam osservava: "I contrasti urbano-rurali, a volte, erano così forti che le città sembravano colonie di stranieri che vivevano alle spalle della popolazione rurale colpita dalla povertà. (...) Nel corso del tempo, la comunità alawita sviluppò una forte sfiducia nei confronti dei sunniti che erano stati così spesso i loro oppressori". Questo risentimento alawita verso i sunniti si è dimostrato molto importante negli ultimi anni.
L'ascesa degli Alawiti, 1920-1970
L'ascesa degli Alawiti è avenuta nel corso di mezzo secolo. Nel 1920, erano ancora l'umile e inferiore minoranza appena descritta, poi, nel 1970, governarono magistralmente la Siria. Questa straordinaria trasformazione ha avuto luogo in tre fasi: il mandato francese (1920-1946), il periodo del dominio sunnita (1946-1963) e l'era del consolidamento alawita (1963-1970).
Il mandato francese, 1920-1946
Secondo Yusuf al-Hakim, un eminente politico siriano, gli Alawii adottarono un atteggiamento filofrancese anche prima della conquista francese di Damasco nel luglio 1920. "Gli Alawiti ritenevano di essere in uno stato di grazia dopo l'inferno; di conseguenza, si sono consacrati al mandato francese e non hanno inviato una delegazione al Congresso [generale] siriano". Essi si opposero così fermamente al principe Faysal, il sovrano arabo sunnita della Siria tra il 1918 e il 1920 sospettato di volerli dominare, che organizzarono una rivolta contro di lui nel 1919, utilizzando armi francesi. Secondo un osservatore ben informato, gli Alawiti maledicevano l'Islam e pregavano "per la distruzione dell'Impero ottomano". Alla fine del 1919, il generale Gouraud ricevette un telegramma da 73 leader alawiti in rappresentanza di diverse tribù, i quali chiedevano "l'istituzione di un'unione nusayri sotto la nostra assoluta protezione".
Due anni dopo, gli Alawiti si ribellarono contro il dominio francese sotto la guida di Salih al-'Ali, un episodio questo che il governo di Assad mostra con orgoglio come una credenziale antimperialista. Ma un esame più attento fa ritenere che la rivolta aveva più a che fare con il fatto che gli Ismailiti si erano schierati dalla parte della Francia e, dato lo stato delle relazioni esistenti tra Ismailiti e Alawiti, ciò portò all'ostilità tra gli Alawiti e i francesi. Non appena le autorità francesi concessero l'autonomia agli Alawiti, ottennero il loro sostegno.
Il potere mandatario francese emise dei francobolli siriani soprastampati con la dicitura "Lattaquie". |
In cambio, gli Alawiti contribuirono a mantenere la sovranità francese. Si presentarono alle urne in gran numero quando la maggior parte dei siriani boicottò le elezioni del gennaio 1926 promosse dalla Francia. Fornirono uno sproporzionato numero di soldati al governo, formando circa la metà degli otto battaglioni di fanteria che componevano le Troupes Spéciales du Levant, fungendo da forza di polizia e svolgendo attività di intelligence. Nel maggio 1945, la stragrande maggioranza delle Troupes Spéciales rimase fedele ai propri comandanti francesi. Gli Alawiti repressero le manifestazioni di protesta sunnite, fermarono gli scioperi e sedarono le rivolte. Gli Alawiti favorirono apertamente il prosieguo del dominio francese, temendo che la partenza della Francia avrebbe portato a una riaffermazione del controllo sunnita su di loro. Un importante politico alawita una volta disse a Henri de Jouvenel, l'Alto Commissario francese per la Siria (1925-1927): "Siamo riusciti a fare più progressi in tre o quattro anni che in tre o quattro secoli. Pertanto, lasciateci nella nostra situazione attuale".
Il sentimento filofrancese si espresse in modo particolarmente chiaro nel 1936, quando l'incorporazione temporanea dello Stato alawita nella Siria provocò ampie proteste. Una petizione del marzo 1936 definiva l'unione con i sunniti una "schiavitù". L'11 giugno 1936, un leader alawita scrisse una lettera al primo ministro francese Léon Blum, rammentandogli "la profondità dell'abisso che ci separa dai siriani [sunniti]", e chiedendogli di "immaginare la disastrosa catastrofe che farebbe seguito", all'incoporazione.
Giorni dopo, sei notabili alawiti (tra cui Sulayman Asad, che si dice fosse il nonno di Hafiz al-Asad) inviarono un'altra lettera a Blum in cui formulavano numerose osservazioni: gli Alawiti differiscono dai sunniti dal punto di vista religioso e storico; gli Alawiti rifiutano di unirsi alla Siria perché è uno Stato sunnita e i sunniti li considerano miscredenti (kafirs); porre fine al mandato esporrebbe gli Alawiti a un pericolo mortale; "lo spirito del feudalesimo religioso" rende il Paese inadatto all'autogoverno; pertanto, la Francia dovrebbe garantire la libertà e l'indipendenza degli Alawiti rimanendo in Siria.
Una nota alawita inviata al governo francese nel luglio 1936 chiedeva: "I francesi oggi ignorano che le Crociate avrebbero avuto successo se le loro fortezze fossero state nel nordest della Siria, nel territorio dei Nusayri? (...) Noi siamo il popolo più fedele alla Francia". Ancora più incisiva fu una petizione del settembre 1936, firmata da 450 mila Alawiti, cristiani e drusi, che affermava:
Gli Alawiti ritengono di essere creature umane, e non bestie pronte per il macello. Nessun potere al mondo può costringerli ad accettare il giogo dei loro nemici ereditari e tradizionali per essere loro schiavi per sempre. (...) Gli Alawiti rimpiangeranno fortemente la perdita della loro amicizia e del fedele attaccamento alla nobile Francia, che fino ad ora è stata così amata, ammirata e adorata da loro.
Anche se Latakia perse il suo status autonomo nel dicembre 1936, la provincia continuò a beneficiare di uno "speciale regime amministrativo e finanziario".
La resistenza alawita al potere sunnita prese una nuova piega nel 1939, quando fu organizzata una rivolta armata capeggiata da Sulayman al-Murshid, la "figura, per metà sinistra e per metà ridicola, del 'dio' obeso, analfabeta e miracoloso". Murshid, un bandito che si autoproclamò divino, sfidò il dominio sunnita con le armi francesi e circa 5 mila seguaci alawiti. Nelle parole di un rapporto consolare britannico del 1944: "I leader alawiti locali, la cui concezione del nuovo ordine in Siria è un governo nazionalista che li tratterà alla maniera dei francesi, sostenendo la loro autorità e chiudendo un occhio sui loro eccessi, stanno facendo del loro meglio per combinare tutto, e il movimento sembra essere appoggiato dai francesi". Murshid riuscì a mantenere l'auorità di Damasco al di fuori dei territori alawiti.
Fino all'indipendenza, i leader alawiti continuarono a presentare petizioni ai francesi a favore del continuo sostegno francese. Ad esempio, un manifesto firmato da dodici leader nel marzo 1945 invitava tutti i soldati alawiti a rimanere sotto il comando francese e l'arbitrato francese delle controversie tra il governo alawita e Damasco.
Predominio sunnita, 1946-1963
Furono i sunniti, soprattutto l'élite urbana sunnita, ad ereditare il governo quando il mandato francese ebbe fine nel 1946. Anche dopo l'indipendenza, gli Alawiti continuarono a opporre resistenza alla sottomissione al governo centrale. Sulayman al-Murshid guidò una seconda rivolta nel 1946, che terminò con la sua esecuzione. Una terza insurrezione fallita, guidata dal figlio di Murshid, ebbe luogo nel 1952. Il fallimento di questi sforzi indusse gli Alawiti a esaminare la possibilità di annettere Latakia al Libano o alla Transgiordania, qualsiasi cosa pur di evitare l'assorbimento in Siria. Questi atti di resistenza offuscarono ulteriormente la già scarsa reputazione che gli Alawiti avevano tra i sunniti.
Quando arrivarono al potere i governanti sunniti di Damasco non lesinarono sforzi per integrare Latakia nella Siria ((in parte, perché questa regione offriva l'unico accesso al mare). Superando la resistenza armata, abolirono lo Stato alawita, le unità militari alawite, i seggi alawiti in Parlamento e i tribunali che applicavano le leggi alawite sullo status personale. Queste misure ebbero un certo successo: gli Alawiti si riconciliarono con la cittadinanza siriana dopo la repressione di una rivolta drusa nel 1954 e da quel momento in poi rinunciarono al sogno di uno Stato separato. Questo cambio di prospettiva, che all'epoca sembrava essere una questione di importanza relativamente minore, in realtà, inaugurò una nuova era della vita politica siriana: l'ascesa politica degli Alawiti.
Una volta riconosciuto che il loro futuro era all'interno della Siria, gli Alawiti iniziarono una rapida ascesa al potere. Due istituzioni chiave, le forze armate e il Partito Ba'th, ebbero una particolare rilevanza nella loro trasformazione.
Anche se le circostanze speciali che li avevano portati nell'esercito scomparvero con la partenza della Francia, gli Alawiti e altre minoranze continuarono dopo l'indipendenza ad essere sovrarappresentati nell'esercito. I vecchi soldati rimasero in servizio e ne arrivarono di nuovi. Dato l'atteggiamento sunnita nei confronti degli Alawiti, la persistenza di un gran numero di Alawiti nelle forze armate è sorprendente. Questa anomalia è frutto di diversi fattori. In primo luogo, l'esercito mantenne la sua reputazione di luogo adatto alle minoranze. Patrick Seale ha osservato che le famiglie di proproetari terrieri sunniti "essendo principalmente nazionaliste, disprezzavano l'esercito come professione: farne parte tra le due guerre significava servire i francesi. [L'accademia militare di] Homs era ai loro occhi un posto per i pigri, per i ribelli, per coloro che erano fuori corso negli studi universitari e socialmente mediocri". Ma per i non sunniti Homs rappresentava un'opportunità per gli ambiziosi e per chi era pieno di talento.
In secondo luogo, i governanti sunniti, di fatto, non consideravano l'esercito uno strumento di Stato; temendo il suo potere nella politica interna, erano riluttanti a finanziarlo e a ingrossarne le file, e resero la carriera militare priva d'attrattiva. In terzo luogo, la terribie situazione economica degli Alawiti e di altre popolazioni rurali faceva sì che non potevano pagare le imposte per esentare i propri figli dal servizio militare. In maniera più positiva, quei ragazzi vedevano il servizio militare come un mezzo per guadagnarsi da vivere dignitosamente.
Di conseguenza, sebbene la proporzione di Alawiti che entrarono nell'Accademia militare di Homs fosse diminuita dopo il 1946, gli Alawiti rimasero sovrarappresentati nel corpo degli ufficiali. Un rapporto del 1949 affermava che "persone appartenenti alle minoranze" erano al comando di "tutte le unità di una certa importanza" nell'esercito siriano. (Questo non implicava che si trattasse soltanto degli Alawiti: ad esempio, nel 1949, la guardia del corpo del presidente Husni az-Za'im era circasso.) Gli Alawiti costituivano la maggioranza tra i soldati e circa due terzi dei sottufficiali.
I leader sunniti a quanto pare credevano che riservarsi le posizioni di vertice fosse sufficiente per controllare le forze militari. Di conseguenza, le minoranze occuparono i ranghi inferiori e per alcuni anni ebbero difficoltà a salire di grado. Paradossalmente, questa discriminazione fu loro davvero utile: poiché gli alti ufficiali fecero numerosi colpi di Stato tra il 1949 e il 1963, ogni cambio di governo fu accompagnato da rovinose lotte di potere tra i sunniti, che portarono alle dimissioni e all'assottigliamento dei ranghi sunniti. Addirittura qualcuno ha affermato, anche un po' a ragione, che c'erano più ufficiali fuori dall'esercito siriano che dentro. A prescindere da questi conflitti, i non sunniti, e in particolare gli Alawiti, beneficiarono delle ripetute epurazioni. Quando gli ufficiali sunniti si eliminarono a vicenda, gli Alawiti ereditarono le loro posizioni. Col tempo, gli Alawiti hanno ricoperto posizioni sempre più elevate, e quando un alawita saliva di grado portava con sé i propri parenti.
Le epurazioni e le contro-epurazioni che avvennero tra il 1946 e il 1963 alimentarono una profonda sfiducia tra gli ufficiali. Non sapendo mai chi potesse complottare contro chi, gli alti ufficiali spesso aggiravano l'ordinaria gerarchia di comando a favore dei legami di parentela. Poiché la paura del tradimento dominava le relazioni tra militari, avere legami etnici affidabili conferì agli ufficiali appartenenti alle minoranze un grande vantaggio. In circostanze di sospetto quasi universale, quegli ufficiali che contavano su reti affidabili potevano agire in modo molto più efficace rispetto a quelli che non facevano affidamento su simili reti. I sunniti entrarono nell'esercito come individui, mentre gli Alawiti come membri di una setta, pertanto, questi ultimi prosperarono. La solidarietà etnica alawita offrì una base di cooperazione molto più duratura rispetto alle mutevoli alleanze formate dagli ufficiali sunniti.
Gli Alawiti acquisirono il potere non solo grazie all'esercito, ma anche attraverso il Partito Ba'th. Fin dai primi anni, il Ba'th esercitò una speciale attrazione per i siriani di origine rurale e appartenenti alle minoranze, compresi gli Alawiti, che si unirono in numero sproporzionato (soprattutto alla sezione di Latakia del Ba'th). I migranti rurali che si recarono a Damasco per scopi educativi costituivano la maggioranza dei membri del Partito Ba'th. Si trattava tendenzialmente di studenti della classe medio-bassa, figli di ex contadini da poco arrivati nelle città. Ad Aleppo, ad esempio, il Ba'th rivendicava come membri ben tre quarti degli studenti delle scuole superiori di alcune scuole. Uno dei fondatori del partito era Zaki al-Arsuzi, un alawita, il quale portò nel Ba'th molti dei suoi correligionari (rurali).
In particolare, due dottrine attrassero gli Alawiti: il socialismo e il laicismo. Il socialismo offrì opportunità economiche alla comunità più povera del Paese. (Il socialismo del Ba'th, tuttavia, non fu chiaro sino al 1960 e solo quando le minoranze presero il sopravvento questo tratto divenne saliente.) Il laicismo, ossia la perdita di rilevanza della religione nella vita sociale, offrì a una minoranza disprezzata la promessa di meno pregiudizi. Cosa potrebbe essere più allettante per i membri di una comunità religiosa oppressa di una combinazione di queste due ideologie? In effetti, questi aspetti spinsero gli Alawiti (e altre minoranze rurali povere) verso il Ba'th più del suo nazionalismo panrabo.
L'unico rivale del Ba'th era l'SSNP (Partito Social Nazionalista Siriano o PSNS), che offriva più o meno le stesse attrattive. I due gareggiarono piuttosto alla pari per un decennio, fino a quando il Ba'th non eliminò l'SSNP attraverso l'affare Maliki, nel 1955. Da quel momento in poi, specialmente in Siria, gli Alawiti furono associati prevalentemente al Ba'th.
Consolidamento alawita, 1963-1970
Tre cambiamenti di regime segnarono il consolidamento del potere alawita: il colpo di Stato del marzo 1963, quello compiuto dagli Alawiti nel febbraio 1966 e il coup d'état di Assad del novembre 1970.
Gli Alawiti ebbero un ruolo importante nel colpo di Stato dell'8 marzo 1963 e assunsero molte delle posizioni chiave del governo nel regime Ba'th che ne seguì. Tra il 1963 e il 1966, in seno all'esercito e al Partito Ba'th ebbero luogo delle battaglie settarie che contrapponevano le minoranze ai sunniti.
Innanzitutto l'esercito: per opporre resistenza al presidente Amin al-Hafiz, un sunnita, e per consolidare la loro nuova posizione, i leader alawiti inondarono l'esercito di co-settari. In questo modo, gli ufficiali appartenenti alle minoranze arrivarono a dominare l'establishment militare siriano. Quando si resero disponibili settecento posti nell'esercito, subito dopo il colpo di Stato del marzo 1963, gli Alawiti ricoprirono metà delle posizioni. I sunniti ebbero così poche possibilità che alcuni cadetti diplomati non poterono ricoprire i loro incarichi nel corpo ufficiali. Mentre gli Alawiti, i drusi e gli Ismailiti occupavano posizioni delicate a livello politico, nella regione di Damasco, i sunniti furono inviati in aree lontane dalla capitale. Sebbene l'affiliazione settaria non influisse su tutte le alleanze, fornì la base per relazioni più stabili e durature. Leader alawiti come Muhammad 'Umran crearono unità chiave costituite da membri appartenenti alla propria comunità religiosa. Gli ufficiali sunniti divennero spesso delle figure di spicco, ricoprendo posizioni di rilievo, ma disponendo di poco potere. Come vendetta, Hafiz arrivò a vedere quasi ogni alawita come un nemico e perseguì palesi politiche settarie, ad esempio, escludendo gli Alawiti da alcune posizioni unicamente sulla base dell'appartenenza comunitaria.
Anche gli ufficiali alawiti che avevano contrastato il confessionalismo finirono per cedere. Gli avvenimenti politici solidificarono i legami tra gli Alawiti, riducendo le differenze tribali, sociali e settarie che storicamente li avevano divisi. Itamar Rabinovich, uno dei principali studiosi di questo periodo, spiega come il confessionalismo abbia acquisito una propria dinamica:
J'did [Salah Jadid, che governò la Siria dal 1966 al 1970] fu tra coloro che (per motivi politici) denunciarono 'Umran per aver promosso il "settarismo" (ta'ifiyya), ma paradossalmente ereditò il sostegno di numerosi ufficiali alawiti che erano stati promossi da 'Umran. (...) Gli ufficiali alawiti promossi da 'Umran si resero conto che la loro sovrarappresentazione nelle alte sfere dell'esercito provocava il risentimento della maggioranza e sembra che si fossero radunati intorno a J'did, a quel tempo il più importante ufficiale alawita dell'esercito siriano e la persona ritenuta più propensa a conservare la loro posizione elevata ma precaria. Era anche del tutto naturale per [Amin al-] Hafiz (...) cercare di radunare intorno a sé gli ufficiali sunniti accusando J'did di impegnarsi in una politica "settaria". (...) La solidarietà dei sostenitori alawiti di [Jadid] sembra essere stata ulteriormente rafforzata dalla sensazione che la questione avesse assunto un carattere confessionale e che fossero a rischio le loro posizioni collettive e personali.
Gli stessi fattori indussero gli ufficiali drusi, anch'essi sovrarappresentati nelle alte cariche militari, a schierarsi con gli Alawiti nel 1965.
Una dinamica simile ebbe luogo nel Partito Ba'th. Proprio come gli Alawiti occupavano più della metà dei settecento posti vacanti nell'esercito, così entrarono numerosi nel partito. Per rendere possibile il loro reclutamento, i requisiti ideologici per l'ammissione furono rimossi per due anni dopo il marzo 1963. Molti funzionari del partito portarono membri della loro famiglia, tribù, villaggio o setta. Come spiegava il problema un documento interno del partito Ba'th del 1966, "l'amicizia, i rapporti familiari e talvolta la mera conoscenza personale erano alla base" dell'ammissione al partito, causando "l'infiltrazione di elementi estranei alla logica e ai punti di divergenza del partito". Mentre gli Alawiti portarono altri Alawiti, molti sunniti furono epurati. I membri si quintuplicarono nell'anno successivo alla sua ascesa al potere, trasformando il partito da un'appartenenza ideologica e una settaria. Il Ba'th divenne un'istituzione completamente diversa durante i suoi primi due anni e mezzo al potere (dal marzo 1963 alla fine del 1965).
Questi cambiamenti culminarono nella decisione di Hafiz del febbraio 1966 di eliminare dall'esercito trenta ufficiali appartenenti alle minoranze. Venuto a conoscenza del suo piano, un gruppo di ufficiali baathisti principalmente alawiti estromise Hafiz e assunse il potere il 23 febbraio nel più sanguinoso cambio di governo della Siria. Una volta in carica, epurarono gli ufficiali rivali appartenenti ad altri gruppi religiosi – prima i sunniti e i drusi, poi gli ismailiti – esacerbando ulteriormente le tensioni comunitarie. Gli ufficiali alawiti ricevettero gli incarichi più importanti e acquisirono un potere senza precedenti. Il comando regionale del Partito Ba'th, un centro decisionale chiave, dal 1966 al 1970, non comprendeva alcun rappresentante delle aree urbane sunnite di Damasco, Aleppo e Hama. Due terzi dei suoi membri, tuttavia, furono reclutati dalle popolazioni rurali e minoritarie di Latakia, Hawran e Dayr az-Zur. L'inclinazione era ancora più evidente tra gli ufficiali militari del comando regionale; durante gli anni che vanno dal 1966 al 1970, il 63 per cento proveniva esclusivamente da Latakia. La presa del potere da parte degli Alawiti suscitò aspre lamentele da parte di altre comunità. Un capo militare druso, Salim Hatum, dichiarò alla stampa dopo essere fuggito dalla Siria che "gli Alawiti nell'esercito superavano in numero le altre comunità religiose in un rapporto di 5 a 1". Osservò che "ogni volta che a un militare siriano viene chiesto dei suoi ufficiali liberi, la sua risposta sarà che sono stati congedati e cacciati, e che sono rimasti solo gli ufficiali alawiti". Giocando sullo slogan Ba'th, "Una nazione araba con una missione eterna", Hatum irrise i governanti di Damasco, asserendo che credono in "uno Stato alawita con una missione eterna".
Salah Jadid (1926-1993) ha governato la Siria dal 1965 al 1970 ed è stato l'ultimo rivale di Hafiz al-Asad. Ha trascorso gli ultimi 23 anni della sua vita in una prigione siriana. |
L'uomo che vinse la lunga contesa per il controllo della Siria, Hafiz ibn 'Ali ibn Sulayman al-Asad, nacque il 6 ottobre 1930 a Qardaha, villaggio non lontano dal confine turco e sede del leader religioso alawita. Hafiz era il secondo di cinque figli (Bayat, Hafiz, Jamil, Rif'at, Bahija); inoltre, suo padre aveva un figlio maggiore da un'altra moglie. La famiglia appartiene al ramo Numaylatiya della tribù Matawira. (Ciò significa che gli antenati di Assad provenivano dall'Iraq intorno al 1120.)
Le fonti sono discordanti in merito al fatto se suo padre fosse un povero contadino, un agricoltore benestante o un notabile. È probabile che la famiglia fosse benestante, poiché mentre a Qardaha c'erano principalmente case di fango essiccato, gli Assad vivevano in una casa di pietra. Negli anni successivi, però, Assad coltivò una storia di povertà, raccontando ai visitatori, ad esempio, di aver dovuto abbandonare la scuola finché suo padre non trovò le 16 sterline siriane per pagargli le tasse scolastiche.
Vero o no, Hafiz era uno studente eccellente e, visti gli ottimi risultati nel profitto scolastico, si trasferì nella vicina città di Latakia nel 1940, dove frequentò un importante liceo, il Collège de Lattaquié. Poi, qualche tempo dopo il 1944, pare che abbia cambiato il suo nome da Wahsh, che significa "bestia selvaggia" o "mostro", in Assad, che significa "leone". Nel 1948, quando aveva solo 17 anni, andò a Damasco e si offrì volontario nell'esercito siriano per aiutare a distruggere il nascente Stato di Israele, ma non venne arruolato perché minorenne. Tuttavia, almeno secondo la sua stessa testimonianza, Assad combattè. Si iscrisse all'Accademia Militare di Homs nel 1950, si laureò nel 1952 e iniziò a frequentare l'Accademia Aeronautica ad Aleppo nel 1952. Divenne pilota da combattimento nel 1954 e si distinse in questa veste. (Abbattè un aereo britannico durante l'operazione di Suez.) Assad studiò in Egitto e poi, per undici mesi nel 1958, in Unione Sovietica, dove imparò a pilotare i MiG 15 e 17 e imparò le basi della lingua russa. Durante gli anni della RAU (Repubblica Araba Unita), fu al comando di uno sqadrone di caccia notturni, vicino al Cairo.
Assad era attivo in politica già nel 1945, dapprima fu presidente del Comitato studentesco al Collège de Lattaquié, e in seguito fu a capo dell'Unione Nazionale degli Studenti. Mentre era ancora uno studente, Assad fu imprigionato dalle autorità francesi per attività politiche. Si unì al Partito Ba'th subito dopo la sua creazione nel 1947 (e fu uno dei primi membri del partito). Pur scalando i ranghi militari, rimase attivo nel Ba'th. Nel 1959, durante il suo esilio in Egitto, Assad contribuì a fondare il Comitato militare e a organizzarne le attività. A quel punto, aveva anche avviato il decennale processo di consolidamento della sua posizione in seno alle forze armate siriane.
Nel 1961, Assad era una figura importante, pertanto, i leader conservatori che presero il potere a Damasco alla fine di quell'anno (dopo la dissoluzione della RAU) lo costrinsero a lasciare il suo incarico di capitano e ad assumere un incarico minore nel Ministero dei Trasporti. Ma Assad continuò a partecipare alle attività del Comitato militare, partecipando a un fallito colpo di Stato, il 29 marzo 1962, dopodiché fuggì a Tripoli, in Libano, dove fu arrestato dalle autorità e imprigionato per nove giorni, per poi essere estradato in Siria. Nonostante questa disavventura, egli svolse un ruolo importante nel colpo di Stato del 1963 e venne ricompensato con un richiamo nell'esercito e una rapida ascesa tra i ranghi, passando da maggiore all'inizio del 1963 a general maggiore alla fine del 1964 e a feldmaresciallo nel 1968. (Si ritirò dall'esercito nel 1970 o nel 1971.) Assad assunse il comando dell'Aeronautica nel 1963 e ne fece la sua base di potere per prendere il controllo di tutte le forze armate durante gli anni di turbolenze che ne seguirono.
Il sostegno offerto da Assad alla ribellione del febbraio 1966 si rivelò decisivo nel colpo di Stato che portò al potere gli Alawiti e la sua ricompensa fu quella di essere nominato ministro della Difesa appena trenta minuti dopo la proclamazione del nuovo regime. Questa nuova posizione dette ad Assad l'opportunità di estendere la sua autorità oltre l'Aeronautica militare, soprattutto alle forze di combattimento dell'esercito. Poi, il colpo di Stato del novembre 1970 fu il culmine dell'ascesa al potere degli Alawiti in Siria.
Conclusione
Il modo in cui gli Alawiti salirono al potere la dice lunga sulla cultura politica siriana, mostrando i complessi legami esistenti tra l'esercito, i partiti politici e la comunità etnica. Il Partito Ba'th, l'esercito e gli Alawiti avanzarono parlallelamente, ma quale di questi tre rivestiva un'importanza maggiore? I nuovi governanti erano ba'thisti che erano soldati alawiti oppure erano soldati che erano ba'thisti alawiti? In effetti, una terza definizione è più accurata: erano Alawiti che erano ba'thisti e soldati.
Certo, il partito e l'esercito erano molto importanti, ma alla fine ciò che contava di più era il trasferimento di autorità dai sunniti agli Alawiti. Senza deprecare il ruolo cruciale del partito e dell'esercito, l'appartenenza alawita ha finito per caratterizzare i governanti della Siria. Il partito e la carriera contavano, ma, come spesso accade in Siria, l'etnica e la religione hanno finito per definire l'identità. Vedere il regime di Assad principalmente in termini della sua natura baathista o militare significa ignorare la chiave della politica siriana. L'affiliazione confessionale rimane di vitale importanza e, come è stato nel corso dei secoli, la setta a cui appartiene una persona conta più di qualsiasi altro attributo.
La risposta sunnita ai nuovi governanti, che ha assunto una forma essenzialmente comunitaria, conferma questo punto di vista. La diffusa opposizione dei sunniti – i quali costituiscono circa il 69 per cento della popolazione siriana – a un sovrano alawita ha spinto l'organizzazione dei Fratelli Musulmani a sfidare il governo con metodi violenti e perfino terroristici. Sebbene finora non abbia avuto successo, la Fratellanza in diverse occazioni ha quasi fatto cadere il regime.
Sembra inevitabile che gli Alawiti – ancora una piccola e disprezzata minoranza, nonostante tutto il loro attuale potere – alla fine perderanno il controllo sulla Siria. Quando ciò accadrà, è probabile che i contrasti tra le comunità porteranno alla loro caduta, con uno scontro cruciale tra i governanti alawiti e la maggioranza sunnita. In quest'ottica, la caduta degli "Alawiti" – che sia dovuta all'uccisione di figure di spicco, a un colpo di Stato di palazzo o a una rivolta regionale – potrebbe assomigliare alla loro ascesa.
Aggiornamento del 15 giugno 2000: Con buona pace dell'ultimo paragrafo del saggio di cui sopra, la caduta degli Alawiti è davvero inevitabile, ma con la successione di Bashar al-Asad dopo la morte del padre Hafiz, avvenuta il 10 giugno scorso, il governo alawita in Siria continua.
Aggiornamento del 1° marzo 2010: "Oggi gli Alawiti della Siria sono l'unica minoranza religiosa dominante nel mondo musulmano". Con questa sorprendente affermazione, Yvette Talhamy, ex docente dell'Università di Haifa, apre il suo importante articolo, "The Fatwas and the Nusayri/Alawis of Syria" apparso in Middle Eastern Studies... . La Talhamy analizza le fatwa ostili agli Alawiti antecedenti al XX secolo e le tre favorevoli emesse sempre nel XX secolo, sostenendo che "queste fatwa hanno plasmato la storia dei Nusayri". Si tratta di una delle poche ricerche sull'argomento trattato nello scritto di cui sopra.
Aggiornamento del 21 giugno 2012: Mentre il conflitto settario tra Alawiti e sunniti riprende, stanno finalmente emergendo delle analisi su questo argomento. Eccone uno: Ayse Tekdal Fildis, "Roots of Alawite-Sunni Rivalry in Syria", Middle East Policy, Summer 2012, pp. 148–156.