Gli Stati Uniti affrontano un nuovo avversario: il musulmano sciita fondamentalista radicale. È apparso per la prima volta con l'arrivo al potere dell'Ayatollah Ruhollah Khomeini, nel 1978, ed è diventato più pericoloso negli anni successivi. La sua ideologia, la sua strategia e i suoi obiettivi rendono questo nemico diverso da qualsiasi altro incontrato in passato. La portata delle ambizioni del fondamentalista radicale pone nuovi problemi e l'intensità dei suoi attacchi contro gli Stati Uniti rende urgente la necessità di trovare delle soluzioni.
Gli attacchi contro gli americani
Dapprincipio, i problemi causati dai fondamentalisti radicali erano limitati all'Iran. Questi ebbero inizio durante la rivolta contro lo Scià dell'Iran nel 1978, quando occasionalmente attaccavano l'America. (Le più note delle loro vittime furono due dipendenti della Electronic Data Systems di Ross Perot che vennero gettati in una prigione di Teheran senza accuse mosse contro di loro e alla fine salvati da una squadra privata assunta da Perot.)
Sebbene la maggior parte degli americani avesse lasciato l'Iran quando Khomeini prese il potere, i pochi rimasti dovettero affrontare circostanze sempre più spiacevoli. In particolare, l'ambasciata americana a Teheran divenne il simbolo dell'ostilità fondamentalista; assalita brevemente dai seguaci di Khomeini, nel febbraio 1979, fu presa d'assalto una seconda volta a novembre dello stesso anno e occupata per 444 giorni, con la presa in ostaggio dell'intera missione diplomatica americana.
La crisi degli ostaggi ricevette un'enorme attenzione negli Stati Uniti, ma l'Iran venne presto e ben volentieri dimenticato nell'istante in cui fu risolto il problema specifico. Brutti ricordi, accesso limitato e una raffica di propaganda ostile fecero scomparire l'Iran dalla coscienza nazionale. Tuttavia, non ebbe luogo il contrario: gli iraniani mantennero la loro ossessione nei confronti degli Stati Uniti. Apparve subito chiaro che il fondamentalista radicale al potere in Iran considerava l'espulsione degli americani dall'Iran solo come un primo passo di una campagna più ampia.
Subito dopo aver conquistato il potere, il regime di Khomeini iniziò a promuovere e aiutare i gruppi fondamentalisti radicali in altri Paesi, gruppi che da allora emersero come una forza da non sottovalutare in molte parti del Medio Oriente. I maggiori sono Ad-Da'wa in Iraq, il Fronte Islamico per la Liberazione del Bahrein e diverse organizzazioni in Libano, tra cui Hezbollah ("Il Partito di Dio"), il movimento islamico Amal e la Jihad Islamica. Oltre ai loro sforzi per conquistare il potere per conto dei fondamentalisti sciiti, molti di questi gruppi hanno impugnato le armi contro gli Stati Uniti.
Sebbene gli attacchi compiuti dagli iraniani contro gli americani siano stati tentati in molti luoghi, andarono a segno solo in Libano, e per ovvie ragioni. Il Libano offriva ai fondamentalisti radicali, come aveva fatto l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) un decennio prima, il vantaggio unico della libertà dal controllo statale. Le condizioni anarchiche in Libano ne facevano una base ideale per il terrorismo iraniano contro gli Stati Uniti. Con sufficiente determinazione, potenti gruppi potevano operare come organismi quasi sovrani in Libano.
L'Ayatollah Ruhollah Khomeini. |
- 2 attentati dinamitardi contro l'ambasciata americana a Beirut, il 18 aprile 1983 e il 20 settembre 1984;
- Un attentato all'ambasciata in Kuwait, il 12 dicembre 1983;
- Un complotto contro l'ambasciata a Roma, sventato nel novembre 1984;
- La distruzione della caserma dei Marines statunitensi a Beirut, il 23 ottobre 1983, in cui rimasero uccisi 241 soldati;
- Il rapimento di David S. Dodge, rettore dell'Università americana di Beirut, durato un anno (dal 17 luglio 1982 al 21 luglio 1983);
- L'assassinio di un altro rettore dell'Università americana di Beirut, Malcolm Kerr, avvenuto il 18 gennaio 1984;
- Il rapimento di almeno cinque americani nelle strade di Beirut tra marzo 1984 e gennaio 1985;
- La tortura e l'omicidio di due americani su un aereo dirottato a Teheran all'inizio del dicembre 1984.
Un gruppo fondamentalista rivendicò la responsabilità di questi atti di violenza all'indomani di quasi tutti gli episodi. I fondamentalisti colpirono anche obiettivi di altri Stati, in particolare, in Francia e in Israele.
Queste aggressioni sollevano tre domande principali. Cosa si aspettano di ottenere i fondamentalisti attaccando gli americani? Qual è il ruolo dell'Iran nella violenza? E quali misure può intraprendere il governo degli Stati Uniti per proteggere i propri cittadini?
L'attacco contro la civiltà occidentale
Gli attacchi contro gli Stati Uniti hanno lo scopo di ottenere nient'altro che la scomparsa della civiltà occidentale dal Medio Oriente. Quest'obiettivo è talmente audace che può sembrare inverosimile. Anzi, la natura aliena e la portata ambiziosa delle aspirazioni fondamentaliste rendono difficile per molti occidentali prenderlo sul serio come merita. Ma in pochi credettero all'Ayatollah Khomeini quando dichiarò il suo intento di costruire una società islamica in Iran, e ci riuscì. Se non altro, i precedenti di efferatezza dei radicali segnalano la necessità di prestare particolare attenzione ai loro piani.
I fondamentalisti affrontano la vita pubblica con due preoccupazioni peculiari. In primo luogo, tracciano dicotomie rigorose in ogni sfera della vita, dividendo tutto in islamico e non islamico, musulmano e non musulmano. Questo vale, ad esempio, per il cibo, la cultura, gli individui e i governi. In secondo luogo, sentono dolorosamente il peso del declino musulmano Le glorie del periodo medievale, reali e immaginarie, vengono spesso evocate e comparate con l'arretratezza, la povertà e la debolezza di oggi. Di fronte a questa situazione, i fondamentalisti sono ossessionati dalla sfida di rendere nuovamente grandi i fedeli di Dio.
I fondamentalisti sostengono che i musulmani cercano soluzioni nell'Islam e credono che la supremazia musulmana sarà ritrovata solo nel rigoroso rispetto della dottrina e delle norme islamiche. I fondamentalisti attribuiscono le tribolazioni dei musulmani del periodo moderno a tentativi fuorvianti di emulare l'Occidente. Notano che numerosi musulmani iniziarono ad adottare le pratiche occidentali a partire dal 1800 circa, sperando di ottenere ciò che avevano gli europei, emulandoli. Nel processo, ovviamente, questi musulmani presero le distanze dall'Islam, un errore fatale dal punto di vista dei fondamentalisti.
Ma sancire l'Islam come guida alla vita moderna comporta complicazioni. Sebbene i fondamentalisti insistano sul fatto che stanno solo tornando alle antiche usanze, le soluzioni che chiedono all'Islam vanno ben oltre l'ambito tradizionale della religione. In particolare, cercano una guida islamica per quanto riguarda la distribuzione del potere economico e politico. I fondamentalisti trasformano l'Islam in un'ideologia, un'alternativa in piena regola al liberalismo, al comunismo, al fascismo, alla democrazia e ad altre ideologie dell'Occidente.
L'America e l'Europa occidentale, le cui influenze hanno avuto un impatto così ampio e profondo nei Paesi musulmani, vengono viste dai fondamentalisti come il principale ostacolo all'applicazione dell'ideologia islamica. I fondamentalisti considerano le usanze dell'Occidente seducenti e perverse, attirando i credenti che abiurano la vera religione, ingannandoli e svigorendoli. Per salvare i musulmani, si sforzano di rimuovere la tentazione della civiltà occidentale. L'eliminazione della presenza occidentale, e soprattutto americana, dalle terre musulmane, rappresenta quindi una priorità fondamentalista. L'America si distingue per le sue dimensioni, il suo dinamismo e la morale della sua politica estera; grazie al suo impareggiabile potere economico, militare e politico; e per la sua preminenza culturale. L'America è così spesso all'avanguardia della civiltà che i fondamentalisti la scelgono quasi inevitabilmente come loro obiettivo principale.
Anche se il potente fascino della cultura americana disturba tutti i fondamentalisti, pochi di loro sono in grado di combatterlo. La maggior parte di loro dedica gran parte della propria attenzione alla predicazione nelle moschee e al tenersi alla larga dalle autorità. Solo in Iran, dove i fondamentalisti radicali hanno conquistato il potere, la questione della minaccia culturale americana può ricevere la necessaria attenzione. E i leader iraniani prendono questa lotta molto a cuore. Ad esempio, Ashgar Musavi Khoeiny, leader dell'attacco del 1979 all'ambasciata americana a Teheran, ha di recente definito l'obiettivo principale della rivoluzione iraniana come lo "sradicamento" della cultura americana dai Paesi musulmani.
Il terrorismo contro gli Stati Uniti
Ma come attuarlo? I metodi diplomatici, economici, morali e altri di persuasione pacifica non possono funzionare, perché gli americani ovviamente non faranno prontamente le valigie e lasceranno il Medio Oriente. I seguaci di Khomeini ricorrono quindi alla coercizione; e il mezzo coercitivo più adatto a loro è il terrorismo. Il terrore riduce le differenze di potere tra Iran e Stati Uniti e consente a Teheran di prendere delle misure che Washington non può prendere. Nelle parole di un principe saudita: "Questi piccoli Paesi sanno che solo le persone che hanno fermato la superpotenza americana sono state dei terroristi. Vi hanno fermato in Vietnam. Vi hanno fermato in Iran. Vi stanno fermando in Libano. Ecco perché vi attaccano. È l'unico modo". I numerosi attacchi mortali contro gli americani lanciati dal 1979 rendono chiaro che i leader iraniani intendono sfruttare appieno questo vantaggio.
Quando si ripetono gli atti di violenza contro gli americani emerge una tendenza. I musulmani fondamentalisti dirigono il terrorismo principalmente contro gli americani associati alle principali istituzioni. Si notino i legami dei cinque americani sequestrati nelle strade di Beirut e presi in ostaggio l'anno successivo al marzo 1984: William Buckley, responsabile politico presso l'ambasciata degli Stati Uniti; Jeremy Levin corrispondente per Cable News Network; Peter Kilburn, bibliotecario presso l'Università americana di Beirut; il reverendo Benjamin Weir, un ministro presbiteriano; e don Lawrence M. Jenco, un prete cattolico romano. Ciascuno di questi uomini rappresenta un'istituzione considerata minacciosa dai governanti iraniani e dai loro agenti: il governo americano, i media, le scuole e le chiese.
Non a caso, il governo degli Stati Uniti si profila come il più grande nemico dei fondamentalisti. Le installazioni ufficiali americane sono state quindi l'obiettivo di preferenza per gli attacchi fondamentalisti. I media sono profondamente risentiti per ciò che viene percepito come un pregiudizio anti-islamico: sarebbe meglio che dimentichino il mondo musulmano e che non abbiano informazioni da distorcere. Le università presentano pericoli speciali in virtù della profonda influenza che esercitano sui giovani musulmani. Come ha spiegato l'Ayatollah Khomeini: "Non temiamo le sanzioni economiche o l'intervento militare. Ciò di cui abbiamo paura sono le università occidentali". I missionari vengono visti come la punta di diamante dei secolari sforzi cristiani per distogliere i musulmani alla loro fede.
Presumendo che il loro odio per l'Occidente sia ricambiato, i fondamentalisti radicali sospettano che tutti gli americani che vivono nel mondo musulmano siano coinvolti nello spionaggio. Pertanto, la Jihad Islamica ha accusato i cinque ostaggi americani in Libano di "attività sovversive", affermando: "Queste persone stanno usando il giornalismo, l'istruzione e la religione come copertura, e di fatto sono agenti della CIA". I radicali credono che i loro sforzi minaccino l'Occidente tanto quanto l'Occidente li minaccia. Hanno la stessa difficoltà a immaginare l'indifferenza americana nei loro confronti che gli americani hanno a figurarsi l'ossessione fondamentalista verso se stessi.
I fondamentalisti non nascondono le loro intenzioni di continuare e persino accelerare la loro aggressione contro gli americani. Nel novembre 1984, un membro della Jihad Islamica minacciò di "far saltare in aria tutti gli interessi americani in Libano". Il portavoce precisò chi sarebbe stato preso di mira: "Rivolgiamo questo avvertimento a ogni individuo americano residente in Libano". Due mesi dopo, quella minaccia venne rilanciata: "Dopo la promessa che abbiamo fatto al mondo che nessun americano sarebbe rimasto sul suolo del Libano e dopo l'ultimatum che abbiamo dato ai cittadini americani di lasciare Beirut, la nostra risposta alla risposta indifferente è stata il rapimento del signor Jenco. (...) Tutti gli americani dovrebbero lasciare il Libano". In risposta, un portavoce del Dipartimento di Stato dichiarò che "gli Stati Uniti non saranno costretti a lasciare il Libano". La Jihad Islamica rispose che i cinque ostaggi americani "sono ora sotto la nostra custodia preliminare per processarli come spie ... [Loro] riceveranno la punizione che meritano". E tali processi potrebbero benissimo essere tenuti.
I futuri attacchi contro gli americani saranno probabilmente diretti contro tutte quelle istituzioni già colpite, nonché contro importanti società multinazionali. Banche, produttori di petrolio, compagnie aeree, distributori di benzina e altri rappresentanti americani dilagano in Medio Oriente, sono esposti e controversi, e questo li rende un bersaglio inevitabile. Gli attacchi alle organizzazioni commerciali saranno duramente sentiti perché tali entità non possono assorbire molti colpi. Se ne andranno non appena il costo e gli sforzi per far fronte al terrorismo supereranno i vantaggi che si possono ottenere rimanendo.
Ambasciate, agenzie di stampa, scuole e chiese non prenderanno misure così chiare: presumibilmente rimarranno più a lungo in Medio Oriente. Ma lo faranno solo diventando più discrete e proteggendosi in molti modi. Queste misure funzionano, certo, ma un numero sconosciuto di ostacoli diminuisce l'efficacia di queste istituzioni, esattamente ciò che vogliono i fondamentalisti.
Se non verranno presi rapidamente dei provvedimenti, gli americani saranno costretti a ritirarsi da molte zone del Medio Oriente. Ciò non solo rafforzerebbe le forze del fondamentalismo radicale, ma creerebbe anche straordinarie opportunità per l'Unione Sovietica. Cosa potrebbe essere più vantaggioso per i sovietici, in questa regione critica, dell'estinguersi dell'influenza dell'America e dell'occultamento delle sue istituzioni?
La responsabilità iraniana
Non tutti gli atti terroristici contro gli americani possono essere collegati direttamente o inequivocabilmente al governo iraniano, ma prove circostanziali indicano in modo convincente che esistono forti legami tra Teheran e i fondamentalisti radicali.
I musulmani fondamentalisti radicali arrivarono per la prima volta dall'Iran nella regione di Baalbek, in Libano, nel dicembre 1979. Sebbene fossero stati inviati a combattere Israele, il loro piccolo numero e la scarsa formazione li rendevano inefficaci. Un secondo contingente di iraniani si recò in Libano, nel giugno 1982; ma anziché cercare di affrontare Israele, questi soldati approfittarono dei disordini seguiti all'invasione israeliana per organizzare e spronare gli sciiti del sud del Libano. Formarono alleanze con organizzazioni libanesi come il movimento islamico Amal e alla fine istituirono un governo islamico a Baalbek, lungo le linee iraniane. Altri iraniani furono inviati a Baalbek: alla fine del 1982 erano circa 1.500. Soldi e armi forniti dall'Iran vennero portati in Libano; secondo il quotidiano libanese An-Nahar, nel settembre 1983, una sola organizzazione fondamentalista, Hezbollah, disponeva di circa 3 mila combattenti. Stime recenti fanno ammontare il numero a circa 5 mila miliziani.
Il movimento libanese proclama pubblicamente di essersi ispirato a Khomeini. Nelle parole di un giovane membro di Hezbollah: "Siamo una rivoluzione islamica (...) l'Iran ha avuto una grande influenza su di noi". Quando nel settembre 1983 le truppe di Hezbollah dimenticarono la preghiera del venerdì a Baalbek, la televisione di Teheran notò che "il loro corteo era guidato da autorità religiose musulmane che portavano striscioni proclamando la necessità di diffondere la rivoluzione islamica [dell'Iran] e di combattere i nemici dell'Islam". Più laconico è il graffito rinvenuto su molti muri di Beirut, che recitava: "Siamo tutti Khomeini".
Gli sciiti libanesi adottano spesso la retorica e gli obiettivi del governo iraniano. Un membro di Hezbollah avrebbe affermato: "Il nostro slogan è 'Morte all'America nel mondo islamico'". Un altro era ancora più ambizioso: "Il futuro è per i musulmani. L'Unione Sovietica e gli Stati Uniti vogliono conquistare la Terra. Con l'imam Khomeini, possiamo riuscire a eliminare queste forze, a distruggere queste forze".
Le due parti concordano sul valore del terrorismo contro gli Stati Uniti. Hussein Mussawi, il leader del movimento islamico Amal, definì l'attacco del 1983 contro la caserma dei Marines "una buona azione". Da parte loro, i media di Teheran presentarono questo attacco come un atto di "resistenza popolare". Un editorialista iraniano scrisse che "i soldati americani erano morti come faraoni sotto le macerie del loro tempio", e il governo iraniano evitò vistosamente di condannare questo e altri attacchi suicidi. Nel dirottamento dell'areo della Kuwaiti Airlines, la collusione tra il governo iraniano e i terroristi apparve quasi certa. In merito a questo episodio, il presidente dell'Iran, Sayyid 'Ali Khamene'i riconobbe che "il movimento islamico e la posizione anti-sionista e contraria agli Stati Uniti della nazione libanese hanno il sostegno della Repubblica islamica dell'Iran".
Il controllo da parte dell'Iran, sebbene difficile da tracciare, è inconfondibile. Gran parte del finanziamento, delle armi e delle competenze organizzative proviene da Teheran. Nelle parole di un leader di Hezbollah in Libano: "Khomeini è il nostro grande capo. Dà gli ordini ai nostri capi, che ce li danno. Non abbiamo un leader preciso, ma un comitato".
Le soluzioni diplomatiche
Il terrorismo fondamentalista rappresenta una nuova sfida per gli americani. Altri nemici degli Stati Uniti impiegano il terrore per cambiare specifiche politiche di governo; ma i fondamentalisti cercano nientemeno che l'espulsione degli americani – privati e organizzazioni, nonché funzionari governativi – dal Medio Oriente e dal mondo musulmano. Come ha spiegato Hussein Mussawi, "non stiamo combattendo in modo che il nemico ci riconosca e ci offra qualcosa. Stiamo combattendo per spazzare via il nemico".
Proprio perché gli obiettivi fondamentalisti musulmani sono così stravaganti, le strategie contro la campagna di terrore iraniana sono difficili da formulare. L'appeasement, in genere, è comunque la risposta sbagliata, e qui è completamente fuori questione. Il governo degli Stati Uniti non può abbandonare il Medio Oriente, tanto meno può costringere i cittadini americani a farlo. Inoltre, la grande maggioranza dei musulmani mediorientali non vorrebbe che gli americani se ne andassero.
Oltre alle misure puramente difensive o di appeasement, quali provvedimenti possono prendere gli Stati Uniti per prevenire ulteriori atti di violenza? Due approcci offrono possibili risposte: diplomazia e ritorsione.
Gli sforzi diplomatici diretti verso Teheran o verso i gruppi fondamentalisti in Libano sono quasi certamente inutili, perché nessuno dei due accetterà meno della cacciata degli americani dalla regione. Invece, la diplomazia deve concentrarsi sulla ricerca di alleati nella battaglia contro i fondamentalisti radicali tra coloro che temono il loro potere. Numerosi francesi sono stati uccisi da questi integralisti e la loro violenza si è estesa al Kuwait e all'Italia; gli israeliani, in stato di shock, ritengono che i gruppi sciiti nel sud del Libano siano più feroci dell'OLP; le altre fazioni in Libano temono la prospettiva di un aumento del potere sciita; e gli sciiti libanesi che non sono fondamentalisti radicali rifiutano le aggressioni dei loro correligionari.
Questa lista è straordinariamente lunga, ma si deve dubitare del fatto che uno qualsiasi degli Stati sarebbe disposto a sprecare molo denaro o sangue in Libano, e gli altri libanesi hanno dimostrato di non poter più contenere i fondamentalisti.
Un solo Paese potrebbe e vorrebbe intervenire: la Siria. Se le autorità siriane fossero inclini a farlo, potrebbero reprimere il potere fondamentalista libanese in diversi modi. I canali che forniscono denaro, armi e altre forme di aiuti da Teheran potrebbero essere eliminati. Altre fazioni libanesi potrebbero essere aiutate contro gli sciiti. Oppure le forze siriane potrebbero essere utilizzate allo stesso scopo.
Ma perché Hafiz al-Assad dovrebbe decidere di interferire? Per due ragioni. Da quando è scoppiata la guerra civile libanese nel 1975, la preoccupazione principale della Siria è stata quella di impedire a qualsiasi fazione di controllare il Paese. Quando i maroniti erano al governo nel 1975, Damasco appoggiò le forze ribelli; quando i ribelli, inclusa l'OLP, minacciarono di prendere il potere nel 1976, la Siria fece un brusco voltafaccia e appoggiò i maroniti. Quando i maroniti emersero con nuova forza nel 1976, i siriani appoggiarono di nuovo i ribelli. Una delle fazioni ribelli, gli sciiti, minaccia ora di controllare la maggior parte del Libano, e i leader siriani devono sicuramente prepararsi a impedirglielo.
Il controllo sciita minaccia anche in un altro modo. Guidati dall'organizzazione dei Fratelli Musulmani, i fondamentalisti in Siria costituiscono l'opposizione più pericolosa al governo siriano. Questa organizzazione era talmente temuta che le autorità, nel luglio 1980, decretarono che l'appartenenza al gruppo era un crimine punibile con la pena capitale. Nel dicembre 1980, le forze militari siriane attaccarono un campo dei Fratelli Musulmani ad Ajloun, in Giordania, portando i due Paesi a un passo dalla guerra. Tenuto conto di questa apprensione, Damasco deve essere estremamente preoccupata che i fondamentalisti in Libano possano dirigere aiuti ai loro colleghi sunniti in Siria. La dichiarazione del gennaio 1985 di amnistia per i membri dei Fratelli Musulmani potrebbe indicare che il governo, temendo una coalizione di fondamentalisti, cerca di rabbonire la sua opposizione. In tal caso, Damasco avrebbe una chiara ragione per rivoltarsi contro i fondamentalisti sciiti in Libano.
Non sarebbe facile per gli americani raggiungere un accordo con il presidente Hafiz al-Assad, se non altro perché da anni le loro politiche vanno in direzioni opposte. Tuttavia, questi due governi – così come altri Stati e la maggior parte dei cittadini libanesi – ritengono di avere un interesse comune a reprimere gli sciiti radicali del Libano.
Rappresaglie
Gli sforzi diplomatici dovrebbero essere tentati, ma non occorre aspettarsi che producano risultati. Non possono sostituire la volontà di opporsi alla forza con la forza. Nel contemplare l'uso della violenza, l'obiettivo americano deve essere quello di trovare misure che scoraggino ulteriori episodi terroristici. Come sempre, numerosi ostacoli legano le mani degli americani. Per cominciare, tre considerazioni escludono un attacco diretto contro l'Iran.
Innanzitutto, gli Stati Uniti non possono compiere azioni che rischiano di portare l'Unione Sovietica in Iran, perché ciò faciliterebbe il controllo sovietico del Golfo Persico e renderebbe il flusso di petrolio di quella regione ancora più vulnerabile di quanto non sia già. Le restrizioni al libero flusso del petrolio potrebbero avere le più gravi conseguenze per gli Stati Uniti e i suoi alleati, portando alla possibile neutralizzazione del Giappone e allo scioglimento della NATO. Tenere l'Unione Sovietica fuori dall'Iran e dal Golfo Persico deve avere la massima priorità nella politica degli Stati Uniti. Stando così le cose, Washington non può correre rischi prendendo delle misure che potrebbero portare alla disintegrazione territoriale dell'Iran. Per quanto siano detestabili le politiche dell'Ayatollah, gli interessi americani esigono che il governo di Teheran mantenga un fermo controllo sull'intero Paese. Tutti gli attori – i ribelli provinciali militari iracheni, i gruppi di opposizione in esilio – che riducono l'autorità di Teheran, contraddicono questi interessi essenziali. Sebbene sia frustrante, gli Stati Uniti non devono ledere la presa del potere del governo di Khomeini.
In secondo luogo, gli obiettivi militari iraniani sono vietati. Attaccarli significherebbe in effetti unirsi allo sforzo bellico iracheno contro l'Iran, provocando numerose ripercussioni indesiderabili. Ciò allineerebbe Washington con l'aggressore nella guerra Iran-Iraq e la legherebbe strettamente a uno dei regimi più repressivi del Medio Oriente; spingerebbe ulteriormente l'Iran nel campo sovietico; e, lungi dal ridurre gli atti di terrorismo contro i cittadini americani, la cooperazione con Saddam Hussein li aumenterebbe. Per questi motivi, tutti gli obiettivi iraniani con valore militare, indipendentemente da quanto insignificanti o remoti siano, e tutte le strutture economiche importanti, come il terminal di esportazione di greggio dell'isola di Kharg, devono essere inviolabili.
In terzo luogo, gli Stati Uniti sono limitati dai propri standard morali; non possono imitare gli iraniani e colpire alla cieca i civili. Gli Stati Uniti devono rispettare determinate norme di comportamento, anche se i loro nemici non lo fanno.
Queste tre restrizioni escludono di fatto le azioni americane contro l'Iran. Colpire alcuni obiettivi potrebbe mettere in pericolo la stabilità del governo; altri renderebbero gli Stati Uniti alleati dell'Iraq; e altri ancora violerebbero gli standard etici americani.
Se l'Iran sfugge alle rappresaglie, i suoi agenti all'estero – soprattutto quelli in Libano – non ne hanno bisogno. Colpire i fondamentalisti radicali a Baalbek evita i rischi di colpire lo stesso Iran. Ciò non destabilizzerebbe il governo di Teheran e gli iraniani in Libano non sono coinvolti nella guerra con l'Iraq. Ma sono attivamente coinvolti nel terrorismo.
Il governo degli Stati Uniti ha spesso minacciato ritorsioni contro i fondamentalisti radicali, ma non l'ha ancora fatto. Philip Taubman ha spiegato sul New York Times perché non è successo niente dopo l'attentato del settembre 1984, a Beirut:
I funzionari hanno detto oggi [4 ottobre] che il presidente Reagan e i suoi principali collaboratori non avevano autorizzato un attacco di rappresaglia contro il Partito di Dio [Hezbollah] sia per ragioni pratiche sia politiche.
Secondo i funzionari, i consiglieri militari e dell'intelligence hanno avvisato la Casa Bianca dell'inefficacia di un raid aereo e del rischio di uccidere civili innocenti, e questo perché i leader e i seguaci del gruppo non si riuniscono mai in un unico luogo.
Alla Casa Bianca è stato detto che sarebbe stato anche difficile introdurre di nascosto le forze americane nella Bekaa per effettuare un raid.
Parimenti importante, secondo i responsabili, è convinzione diffusa tra i consiglieri di Reagan che un attacco di rappresaglia contro il Partito di Dio o contro l'Iran non farebbe altro che causare un'escalation di attacchi terroristici contro gli Stati Uniti.
Questi motivi di inerzia non sono più sufficienti. Se gli Stati Uniti non hanno le capacità per lanciare attacchi aerei o incursioni di commando, allora, tali competenze devono essere immediatamente sviluppate. Non si può consentire che l'abitudine del nemico di circondarsi di innocenti inibisca ogni uso americano della forza. E la paura di provocare altri attacchi terroristici non ha alcun peso a seguito dell'oltraggio del sequestro di Teheran. Come ha osservato il Segretario di Stato George P. Shultz, "un grande potere (...) deve assumersi la responsabilità delle conseguenze della propria inazione così come delle conseguenze della sua azione".
L'unica seria esitazione per quanto riguarda l'attacco alle installazioni fondamentaliste in Libano ha a che fare con l'efficacia. Esigere un prezzo elevato per le atrocità contro gli americani fornirebbe un disincentivo per il nemico? Oppure ci sono i mezzi e la volontà per ricostruire le strutture?
È difficile rispondere in astratto a questa domanda, poiché l'avversario è sfuggente e i suoi mezzi sono incerti. Va invece rilevato con forza il punto opposto: l'assenza di punizione incoraggia i fondamentalisti a sfidare gli Stati Uniti. Come possono non disprezzare un potere che può essere colpito di volta in volta senza timore di rappresaglie, che non protegge i suoi cittadini e che non va oltre l'indignazione verbale?
È giunto il momento per gli Stati Uniti di reagire. La punizione dei terroristi che sono più coinvolti e più vulnerabili – quelli nella regione di Baalbek – rappresenta la migliore opportunità per proteggere gli americani e i loro interessi in Medio Oriente. Se il governo siriano può essere indotto a cooperare, tanto meglio, ma se quest'obiettivo fallisce, gli Stati Uniti devono prepararsi a intraprendere un conflitto costoso e spiacevole.