Da oltre 50 anni, una questione impedisce a Iran e Iraq di intrattenere buoni rapporti, ossia il controllo del fiume Shatt al-Arab. Questo è l'oggetto della loro attuale disputa territoriale. Lo Shatt al-Arab è l'estuario formato dalla confluenza dei fiumi Tigri ed Eufrate a sud dell'Iraq, a circa 100 miglia dal Golfo Persico. È un fiume dal fascino e dalla bellezza esotica, patria di Sinbad il marinaio e degli arabi delle paludi. La sua importanza odierna deriva dal fatto che le sue ultime 40 miglia segnano il confine tra Iran e Iraq.
Due giustificazioni
La mappa pubblicata dal WSJ che accompagna quest'articolo. |
Tale questione rimase insoluta per diversi decenni, sebbene agli iraniani non piacesse il fatto che i loro due porti chiave di Abadan e Khurramshahr potessero essere raggiunti solo attraverso le acque irachene. Nel 1965, gli impianti petroliferi iraniani furono trasferiti da Abadan in un sito ubicato nel Golfo Persico, quello dell'isola di Kharg, per bloccare ulteriori ingerenze irachene. Tuttavia, gli scambi commerciali con Khurramshahr, attraverso il quale proveniva la maggior parte delle importazioni in Iran, erano soggetti all'interferenza irachena; inoltre, i tirannici funzionari iracheni utilizzarono lo Shatt al-Arab in modo sempre più sgradito agli iraniani. Lo scià Mohammad Reza Pahlavi minacciò nel 1965 di rinunciare al trattato del 1937, se le provocazioni irachene fossero continuate, e nel 1969 lo fece, chiedendo un nuovo confine lungo la linea mediana del fiume.
Per esercitare pressioni sull'Iraq affinché raggiungesse l'accordo, lo Scià aiutò i ribelli curdi nel nord dell'Iraq, fornendo loro armi, denaro e rifugio. La tattica funzionò: nel marzo 1975, gli iracheni accettarono un nuovo confine a metà dello Shatt al-Arab, in cambio dell'interruzione dell'appoggio iraniano ai curdi. Il movimento curdo crollò nel giro di pochi mesi.
Questo accordo del 1975 riuscì a ottenere la pace interna per l'Iraq, ma a costo di rancori e di sentimenti vendicativi tra la leadership irachena. Il Partito Baath al potere presta enorme attenzione all'integrità della "nazione araba" e alla sacralità della sua terra. Consentire anche a mezzo fiume, lungo 64 km, di cadere sotto il controllo dell'Iran irrita profondamente. I governanti iracheni accettarono temporaneamente i cambiamenti apportati al corso d'acqua, al fine di comprare la pace con i curdi, ma speravano alla fine di riconquistare tutto ciò che avevano concesso.
L'opportunità di farlo è arrivata più rapidamente di quanto si aspettassero: la rivoluzione islamica in Iran, nel 1978-1979, ha ribaltato gli equilibri di potere.
La caduta dello Scià e la sua sostituzione con l'ayatollah Khomeini ha portato a un'intensa animosità tra i due Paesi. Le politiche di Khomeini hanno causato anche il crollo del potere militare iraniano. I nuovi leader iraniani hanno fomentato i problemi tra gli sciiti iracheni, chiedendo ai musulmani in Iraq di rovesciare i loro governanti atei. Gli iracheni, a loro volta, hanno aiutato molti nemici del regime di Khomeini – Shahpur Bakhtair, il generale Oveissi, un movimento che anela all'indipendenza del Khuzustan, e i ribelli curdi. Alla fine di aprile, un uomo armato iracheno ha attaccato l'ambasciata iraniana a Londra.
Quando la massiccia macchina militare dello Scià si è sfaldata, l'Iran è diventato un obiettivo sempre più allettante. Le truppe hanno disertato, gli ufficiali sono stati rimossi, i tecnici stranieri sono fuggiti. Il divieto di vendere armi all'Iran da parte degli Stati Uniti dopo l'occupazione dell'ambasciata americana ha imposto la cannibalizzazione degli aerei per i pezzi di ricambio. La guerra civile e i sabotaggi si sono estesi. Le spese militari sono solo una frazione di quello che erano una volta, e l'esercito è decaduto dal suo elevato status sotto la Scià, divenendo un'organizzazione sospetta, con gravi problemi morali.
Dati gli ostili sentimenti iracheni riguardo all'accordo del 1975 e l'impotente aggressività del regime di Khomeini, era solo una questione di tempo prima che gli iracheni rinunciassero all'accordo del 1975 e rivendicassero nuovamente la giurisdizione su più della metà dello Shatt al-Arab. Lo hanno fatto la scorsa settimana. Era anche chiaro che probabilmente sarebbero andati oltre per controllare più territorio iraniano, in particolare, la provincia del Khuzestan.
Il Khuzestan è la regione sudoccidentale dell'Iran, e confina con lo Shatt al-Arab. Ha due peculiarità che lo rendono unico in Iran: contiene di fatto tutte le riserve petrolifere iraniane e fino a qualche tempo fa la maggioranza della sua popolazione parlava arabo.
Fino al 1938, l'area era conosciuta come Arabistan. L'elemento arabo conferisce agli iracheni una giustificazione per intromettersi e forse anche per rivendicare la provincia ricca di petrolio. Inoltre, i bei porti del Khuzestan fornirebbero all'Iraq punti d'attracco tanto necessari.
La guerra dell'Iran appoggia le ambizioni di Saddam Hussein. |
Per la politica iraniana, le ripercussioni della guerra con l'Iraq sembrano molto meno piacevoli. Va ricordato, tuttavia, che l'Iran è ancora distrutto a causa della sua rivoluzione e gli eventi seguono una propria logica. Tra i due partiti che si contendono il potere in Iran, i nazionalisti e gli attivisti islamici (rappresentati da Bani Sadr e Mohammed Beheshti, leader del Partito Repubblicano Islamico), quest'ultimo sembra essere quello vincente. La sua prima preoccupazione non è lo Shatt al-Arab, e non lo sono nemmeno le forze armate iraniane o l'unità nazionale. Piuttosto, sta cercando di trasformare la vita iraniana secondo le linee guida islamiche. Di conseguenza, le preoccupazioni del governo, di recente, hanno avuto principalmente a che fare con la cultura e la moralità. L'Iran è entrato in guerra con l'Iraq a causa del fervore emotivo e dell'inquietudine per le questioni interne, non per vantaggi pianificati. L'Iran ha intensificato la guerra bombardando per disperazione Baghdad e gli impianti petroliferi, e non in seguito a un chiaro piano di battaglia.
Ci sono poche possibilità che la guerra con l'Iraq porterà alla liberazione degli ostaggi americani. Al contrario. Martedì scorso, il Majlis (il Parlamento iraniano) ha accantonato a tempo indeterminato la questione degli ostaggi. Quella decisione sembra essere arrivata in risposta a una mossa irachena molto intelligente compiuta il giorno prima. Radio Baghdad ha annunciato che gli ostaggi erano stati liberati e ha indicato questo come prova del fatto che il governo iraniano è colluso con la CIA. Di fatto, gli iracheni temono che se gli ostaggi verranno rilasciati, l'Iran farà la pace con gli Stati Uniti e riceverà i pezzi di ricambio di cui ha disperatamente bisogno. Questo falso annuncio da parte di Baghdad rende una riconciliazione più remota; i khomeinisti non accetterebbero mai di essere così facilmente anti-americani.
Prigionia prolungata
Gli Stati Uniti ci guadagnano poco. La guerra probabilmente prolungherà la prigionia degli ostaggi e di certo pregiudicherà le forniture di petrolio per noi stessi e per i nostri alleati. Una vittoria irachena accrescerà l'influenza di uno Stato radicale che esecra gli accordi di Camp David, minaccia la stabilità in Medio Oriente e sostiene sempre più la rivoluzione in tutto il mondo.
Inoltre, una vittoria irachena è una vittoria sovietica; i russi hanno fornito la maggior parte delle loro armi e ora sono nella posizione di rafforzare la loro presa sull'Iraq. Un successo iracheno rafforza la posizione dell'Unione Sovietica a livello internazionale, rendendo il regime Baath più vulnerabile alle pressioni sovietiche.
La nostra prima preoccupazione ora non è quale di questi Stati anti-americani vincerà, ma che le forniture petrolifere lascino il Golfo Persico con il minor disagio possibile. Per garantire ciò, gli Stati Uniti potrebbero dover posizionare navi da guerra nello Stretto di Hormuz per garantire la rotta commerciale che conduce nel Golfo.
Oltre a questo, gli Stati Uniti hanno poche opzioni, mentre i russi hanno in mano quasi tutte le carte. Una sconfitta iraniana in questa guerra aprirà quel Paese a ulteriori divisioni e lo renderà sempre più soggetto agli intrighi sovietici.