Il compito dello storico spesso non è quello di accertare ciò che la stampa dice, ma di andare dietro l'apparenza dei risultati e di capire perché dice quello che dice, quando lo dice e qual è l'effetto di ciò che ha detto.
- - Lucy Maynard Salmon, The Newspaper and the Historian (1923)
Focalizzarsi su Israele e sugli Stati Uniti
La copertura mediatica americana della guerra in Libano del 1982 ha suscitato a giusto titolo molte critiche. Come più analisi hanno dimostrato, sono stati commessi degli errori nella presentazione dei fatti e i pregiudizi contro Israele erano dilaganti. Ma la menzogna e i pregiudizi non sono in genere la fonte principale di imprecisione riguardo al Medio Oriente. Ciò deriva, piuttosto, dall'argomento scelto per la copertura mediatica.
In parole povere, i giornalisti americani sono interessati soltanto a due argomenti relativi al Medio Oriente: Israele e gli Stati Uniti. Qualunque cosa accade che sia collegata a questi due Paesi viene amplificata e diffusa in tutto il mondo; tutto ciò che non lo è viene di fatto ignorato.
Alcune statistiche serviranno a chiarire questo punto. Esaminando l'operato di tre network tra il 1972 e il 1980, si rileva che il numero medio di minuti dedicati all'anno a Israele era 98,4. Al contrario, l'Egitto ha ottenuto soltanto 54,7 minuti, l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) 42,4, la Siria 25,7, il Libano 18,4, l'Arabia Saudita 12,7, la Giordania 8,5 e l'Iraq 7,2. Per quanto concerne gli Stati Uniti in Medio Oriente, la copertura mediatica ricevuta in media nell'arco di nove anni era di 152,7 minuti, mentre la copertura dell'Unione Sovietica era limitata a 19,4 minuti e quella riguardante l'Europa era di 13 minuti.
L'attrazione per gli Stati Uniti da parte dei media appare più evidente nel caso dell'Iran. Dal 1972 al 1978, i notiziari dedicarono all'Iran soltanto 9,6 minuti all'anno; poi, nel 1979-1980, la crisi degli ostaggi fece aumentare di 39 volte l'interesse per l'Iran che passò a 375,2 minuti. Come arguisce William C. Adams, autore dello studio in cui sono state pubblicate queste statistiche:
Nell'insieme, l'accento posto sul conflitto arabo-israeliano ha distolto l'attenzione dalle notizie sul Medio Oriente a scapito di parti della regione che non sono contigue a Israele. Allo stesso tempo, l'enfasi sulla politica statunitense e sul suo ruolo ha sviato l'attenzione dalle relazioni del mondo con il Medio Oriente. (...) Fino agli avvenimenti consumatisi in Afghanistan e in Iran nel 1979 e nel 1980, le notizie sul Medio Oriente riguardavano principalmente il conflitto arabo-israeliano e il ruolo degli Stati Uniti nella regione.
Questa preoccupazione per solo due parti di un insieme molto più ampio genera un'estrema ristrettezza di vedute che, a sua volta, spiega il gran numero di distorsioni e di errori commessi dal giornalismo americano riguardo al Medio Oriente.
Israele agli occhi degli americani
Nonostante le dimensioni ridotte e la grande distanza geografica di Israele, gli americani conoscono la sua vita politica meglio di quella di qualsiasi altro Paese straniero. I nomi di molti leader israeliani, ad esempio, sono conosciuti negli Stati Uniti più di quelli di qualunque altro governo, come la Gran Bretagna e l'URSS. Numerosi americani possono conversare tranquillamente degli ultimi sviluppi nel conflitto israeliano con gli arabi o possono formulare opinioni specifiche sull'attuale politica israeliana. Come rileva Marvin Schick, un osservatore, anche se la popolazione israeliana è meno di un errore statistico nel censimento cinese, "io so un mucchio di cose sull'economia israeliana e quasi nulla sul sistema economico cinese". In breve, Israele ha quello che può essere definito il più elevato quoziente di notorietà pro-capite al mondo. (L'India ha forse quello più basso.) Nessun altro Paese di dimensioni analoghe – come il Benin, il Laos, la Norvegia, il Paraguay – gode anche solo di una minima parte della familiarità di cui Israele beneficia negli Stati Uniti.
Quest'affinità è in gran parte il risultato dello speciale interesse che la stampa nutre nei confronti di Israele. Gli organi d'informazione americani hanno più corrispondenti in Israele che in qualsiasi altro Paese straniero tranne la Gran Bretagna. Sembra che nulla riguardo a Israele sia troppo insignificante per la copertura mediatica negli Stati Uniti, e tutto può fare notizia. Sono numerosi gli aspetti della vita quotidiana israeliana che attirano l'attenzione internazionale, oltre agli eventi importanti che si verificano con straordinaria regolarità, come guerra, terrorismo, risoluzioni delle Nazioni Unite e altro. Di quale altro piccolo Paese vengono così spesso riportati il tasso d'inflazione o la politica sugli insediamenti, e dando loro risalto? Anche gli avvenimenti di minore importanza, di solito ignorati dalla stampa americana – uno sciopero dei medici o gli attriti municipali tra fazioni religiose e non religiose – rivestono interesse quando hanno luogo in Israele.
Ecco un esempio tratto da un giornale locale americano. Il quotidiano The News, di Lynchburg, in Virginia, limita il suo reportage internazionale a una rubrica intitolata "Notizie dal mondo", ma le notizie riguardanti Israele figurano in maniera sproporzionata in questa rubrica. Ad esempio, il 6 agosto 1984, uno dei quattro articoli apparsi in "Notizie dal mondo" era un resoconto abbastanza dettagliato in merito alle accuse mosse dal governo israeliano contro quattro dei più grandi istituti bancari del Paese che erano stati tacciati di aver costituito un cartello illegale per fissare i tassi d'interesse. Di tutto ciò che era accaduto nel mondo il giorno prima, è difficile capire come ciò potesse rivestire la massima importanza per gli abitanti della Virginia, nel sud degli Stati Uniti.
La stesso dicasi sul piano internazionale, dove Israele, e tutto ciò che è associato a esso, fa notizia. La Liberia, quando ristabilì le piene relazioni con Israele nel 1983, attirò l'attenzione di una stampa che fino a quel momento l'aveva del tutto ignorata. Le vendite di armi da parte di Israele sono costantemente di interesse pubblico. Durante la crisi delle Isole Falkland del 1982, gli israeliani fornirono armi all'Argentina; poi, il taglio delle armi americane in America Centrale ha trasformato Israele in un emissario degli Stati Uniti. Quest'attenzione consente di dimenticare quale attore minore è Israele nel mercato globale degli armamenti; e con quale frequenza altri alleati degli Stati Uniti vendono armi a regimi controversi (dalla Gran Bretagna all'Argentina, dalla Francia al Sudafrica, dall'Italia alla Libia, e così via).
Di certo, un reportage coerente e approfondito su Israele è di per sé lodevole. Gli americani sono in generale troppo poco esposti al mondo oltre i loro confini, e la copertura mediatica di Israele aiuta, in una certa misura, a colmare questa lacuna. In effetti, le circostanze in Israele sono così diverse da quelle americane – dalle sue piccole dimensioni e dalla posizione assunta tra i Paesi vicini alla sua cultura multilingue e alla sua economia socialista – che apprendere delle cose in merito a Israele, volenti o nolenti, insegna agli americani molte altre cose sul mondo.
Ma oltre ai benefici ci sono anche dei costi. L'accento posto su Israele distorce sostanzialmente il modo in cui gli americani percepiscono il Medio Oriente e complica, anziché facilitare, la comprensione degli sviluppi tra Israele e gli arabi.
Per cominciare, la straordinaria importanza data alle questioni relative a Israele trasmette l'impressione che Israele sia il fattore chiave in tutti gli aspetti della politica mediorientale. Qualunque sia il problema – i prezzi del petrolio, la sicurezza del Golfo Persico, le relazioni statunitensi e sovietiche con gli arabi – Israele sembra avere sempre un ruolo da protagonista. Questo non solo minimizza altri fattori importanti, come l'Islam e il panarabismo, ma riduce la complessità della politica mediorientale a una sola dimensione. La verità è che Israele non tiene conto dell'instabilità della politica araba, delle politiche antioccidentali dell'OPEC, della guerra Iran-Iraq, della guerra civile in Libano o dell'allineamento pro-sovietico del governo siriano. Se i media non fossero così preoccupati per Israele, gli americani avrebbero una visione più corretta ed equilibrata del suo ruolo in Medio Oriente.
Dalla prima distorsione ne consegue, in qualche modo paradossalmente, una seconda: poiché ciò che concerne Israele finisce nelle prime pagine dei giornali e ciò che non lo riguarda, nella migliore delle ipotesi, viene sepolto nelle ultime pagine, gli americani tendono a non notare che l'entità dei problemi politici di Israele è tipica del Medio Oriente. Ad esempio, pressoché ogni confine in questa parte del mondo, dalla Libia al Pakistan, dalla Turchia allo Yemen, è mal definito o contestato. Alcuni di questi problemi legati ai confini hanno portato alla guerra (come ad esempio quelli in merito alle differenze tra Iran e Iraq). Ma gli americani tendono a conoscere soltanto i problemi dei confini di Israele e non si rendono conto che essi s'inscrivono in uno schema che si ripete in tutto il Medio Oriente. Di conseguenza, essi tendono, erroneamente, a vedere il caso di Israele come unico.
La preoccupazione dei media per Israele induce anche a ingigantire l'importanza di un attore arabo, l'OLP. A differenza dei Paesi arabi, che sono delle nazioni con politiche interne e identità separate da Israele, l'OLP è naturalmente legata a Israele. Come organizzazione che esiste per distruggere Israele, il suo destino è indissolubilmente legato a quello dello Stato ebraico. Come alter-ego di Israele, essa riceve altresì un'eccessiva copertura da parte dei media americani. I commenti espressi da ogni piccolo dirigente palestinese vengono rilevati con la stessa attenzione prestata a quelli dei personaggi politici israeliani di minor spicco. Come Israele, l'OLP è immaginata essere più potente di quanto non sia in realtà, perché viene osservata così da vicino.
Per motivi analoghi, ai profughi palestinesi viene riservata un'attenzione sproporzionata al loro numero o alla loro sofferenza. Molto tempo dopo che altri profughi di una generazione fa sono scomparsi dalla memoria degli americani – come i turchi di Crimea, i tedeschi della Germania dell'Est, i coreani, gli indiani, i pakistani, gli ebrei dei Paesi arabi – i palestinesi rimangono vividi e impressi. In un'epoca in cui un numero molto più elevato di profughi vietnamiti, cambogiani, afgani e somali viene sottoposto a tribolazioni ben peggiori, la preoccupazione per Israele induce erroneamente molti osservatori a concludere che le circostanze dei palestinesi sono più meritevoli della loro attenzione.
Le notizie sui vicini di Israele vengono falsate dall'accento posto sulle loro relazioni con Israele. Solo una parte delle notizie sulla vita politica di Libano, Siria, Giordania ed Egitto raggiunge il pubblico americano, per lo più quella parte che fa riferimento a Israele. Ad esempio, le questioni chiave in Egitto, come i problemi economici endemici, l'ascesa dell'Islam fondamentalista e l'incombente crisi demografica, attirano l'attenzione della stampa soprattutto nella misura in cui potrebbero influenzare le relazioni con Israele. Anwar as-Sadat è diventato una star dei media negli Stati Uniti perché ha preso la decisione di porre fine allo stato di guerra con Israele; Hosni Mubarak rimane sconosciuto agli americani perché non ha preso alcuna iniziativa importante nei confronti di Israele.
Se considerare l'Egitto in termini di relazioni con Israele non rende giustizia alla sua vita politica, questo è ancora più vero nel caso del Libano, dove la guerra civile ebbe inizio nell'aprile del 1975 e continua dieci anni dopo. La stampa americana le prestò particolare attenzione solo nel 1978, quando Israele lanciò un'operazione nel sud del Libano. Poi, l'attenzione mediatica scemò di nuovo fino al 1982, quando il Libano tornò alla ribalta delle cronache a causa di una seconda incursione militare lanciata da Israele nell'estate di quell'anno nel sud del Libano. In termini di notizie, Il Libano è un'appendice di Israele.
La copertura mediatica dei massacri in Libano sottolinea chiaramente questo punto. Numerosi massacri furono perpetrati durante gli anni della guerra civile, alcuni dei quali (come quelli a Tel az-Zataar e a Damur) fecero migliaia di vittime. Tali massacri suscitarono solo la minima impressione nei media americani, i quali li segnalarono debitamente, pur tendendo a perdersi nelle incertezze delle accuse e delle contro-accuse. Stavano accadendo cose orribili, ma gli americani non conoscevano affatto la natura del conflitto, tanto meno l'identità dei combattenti o le ragioni della loro morte. Poi, vennero i massacri di Sabra e Shatila, che per sei settimane da settembre a ottobre del 1982 dominarono le prime pagine e i notiziari negli Stati Uniti, seguiti poi da mesi di discussioni e controversie. In questo caso, i media avviarono inchieste su ogni dettaglio delle morti, rintracciarono i perpetratori e specularono sulla distribuzione della colpa.
Ma qual è la differenza tra i massacri precedenti e quello di Sabra e Shatila? Non sta nel numero delle vittime né nella brutalità degli assassini. Il massacro di Sabra e Shatila si contraddistingue perché in esso fu implicato in qualche modo Israele. Gli arabi che si massacrano a vicenda non è qualcosa che fa notizia; la presenza di Israele trasforma lo stesso evento in uno spettacolo mediatico. Eppure, il disinteresse per le precedenti nefandezze e il profondo interesse per Sabra e Shatila, come se fosse stata una strage sui generis e non una di una lunga serie, porta ancora una volta alla distorsione e a una visione gravemente erronea della storia e della politica araba.
L'ossessione per Sabra e Shatila ha avuto un effetto ancor più inquietante. La copertura mediatica internazionale era talmente focalizzata sui Israele che chiunque non avesse prestato molta attenzione avrebbe pensato che erano stati i soldati israeliani a perpetrare i massacri (sebbene la loro colpevolezza era di fatto limitata all'aver dato alle milizie falangiste l'accesso ai campi palestinesi per poi non intervenire per fermarli). Nei mesi successivi, l'attenzione americana si concentrò sulla commissione d'inchiesta israeliana, e non sulla sua controparte libanese discontinua e inconcludente, confermando così ulteriormente l'impressione che solo Israele meritava di essere sul banco degli imputati. I libanesi avevano ucciso i palestinesi e l'opinione pubblica americana condannò gli israeliani. In questo caso, l'eccessiva enfasi su Israele provocò la falsificazione di ciò che era accaduto.
Infine, l'eccessiva esposizione di Israele lo induce a osservare impossibili norme morali. Gli stessi israeliani, ovviamente, accettano gli stessi standard delle democrazie occidentali e aspirano altresì a rispettare il codice morale contenuto nella religione ebraica. Inoltre, come principali beneficiari dell'aiuto statunitense, gli israeliani devono fare accettare i criteri esigenti che gli americani applicano ai loro alleati. È una bella cosa. Ma per la stampa Israele sembra così grande e i suoi nemici così piccoli, che non viene giudicato in relazione a loro o ad altri Stati, ma in relazione a ideali astratti. Il resto del mondo è visto nel contesto della sua epoca e del luogo, Israele viene considerato isolatamente.
Gli esempi non sono difficili da trovare. Quasi nessun giornalista che analizza il controllo israeliano sulla Cisgiordania parla nei suoi articoli del controllo giordano sulla Cisgiordania dal 1948 al 1967 né offre raffronti con altre parti del mondo arabo. Anche se una corretta valutazione del governo israeliano degli arabi deve tenere conto del passato arabo, la preoccupazione dei media nei confronti di Israele cancella la presenza araba ed elimina di conseguenza l'odierna situazione della Cisgiordania da tutte le considerazioni di tempo e di luogo.
Allo stesso modo, le azioni militari di Israele sono spesso giudicate senza tener conto delle azioni dei suoi nemici. Durante l'assedio di Beirut, nell'estate del 1982, molti giornalisti americani condannarono Israele per la morte degli innocenti abitanti di Beirut; ma in genere omisero di rilevare che i civili erano esposti al pericolo, in primo luogo, a causa della strategia dell'OLP di utilizzarli come ostacoli contro un assalto israeliano. Le discussioni sulla moralità dell'OLP non hanno mai catturato l'interesse americano come i dibattiti sulla moralità israeliana; e se il comportamento di Israele viene alla fine considerato superiore a quello dei suoi avversari, questo importa poco. Il vero banco di prova si riduce alla discrepanza tra le azioni e gli ideali di Israele, entrambi preferibili a quelli degli arabi.
In ognuno di questi casi, l'ossessione dei media per Israele compromette gravemente la comprensione americana di Israele e degli altri attori in Medio Oriente. Israele non è, di fatto, la chiave per le questioni regionali; l'OLP ha poco margine per un'azione indipendente; l'importanza dell'Egitto va ben oltre le sue relazioni con Israele; Sabra e Shatila non erano un evento nuovo in Libano; i massacri furono perpetrati dai libanesi e non dai soldati israeliani; e responsabilità ultima dell'assedio di Beirut ricade sull'OLP. Così formulate, queste affermazioni sembrano evidenti, eppure, troppo spesso si sono perse nella raffica di attenzione prestata quasi solo a Israele.
Perché focalizzarsi su Israele?
Cosa spiega la notiziabilità di Israele? Deriva in parte dal fatto che Israele è il principale alleato americano in un conflitto regionale in corso, drammatico ed epocale. In questo senso, Israele può essere paragonato al Vietnam del Sud, che a suo tempo soffriva di un eccessivo controllo sulla stampa e che è stato anche giudicato in base a principi morali astratti, e non in relazione al suo nemico. Ma Israele esercita un fascino tutto suo che va oltre la sua posizione di principale alleato degli Stati Uniti. Perfino eventi che riguardano a malapena il conflitto arabo-israeliano, come l'interruzione dei voli della compagnia aerea El Al o le dispute sull'archeologia, fanno notizia all'estero, mentre non è mai stato così per le informazioni analoghe in merito al Vietnam del Sud, e per quelle relative all'Egitto, alla Giordania o all'Arabia Saudita.
Per comprendere questo interesse è necessario fare un passo indietro rispetto al flusso di avvenimenti quotidiani e ricordare alcuni fatti culturali. Sia per la stampa americana sia per i suoi lettori, la ragione più importante per porre l'accento su Israele è il fatto che è lo Stato ebraico.
Israele riveste un grande interesse per gli ebrei americani, che avvertono un legame tra il suo destino e il loro, e che desiderano avere informazioni dettagliate sul Paese e su tutto ciò che lo riguarda che probabilmente non ha eguali tra altri gruppi negli Stati Uniti. La presenza di un gran numero di ebrei nei media contribuisce ulteriormente all'interesse per Israele, così come il fatto che gli ebrei sono concentrati nelle grandi città dove hanno sede i principali media – in particolare a New York.
Ancora più importante è, tuttavia, l'interesse inesauribile dei cristiani per gli ebrei, che è dovuto in parti pressoché uguali alla teologia e alla storia. Il fatto che il Cristianesimo si sia originato dal Giudaismo ha creato una tensione duratura tra le due religioni, i cui punti di contatto sono numerosi e complessi. Gesù era un ebreo che non accettava numerose pratiche ebraiche; a sua volta, gli ebrei hanno respinto Gesù come il messia. I cristiani hanno ritenuto spesso gli ebrei responsabili della morte di Gesù e hanno creduto che la seconda venuta di Cristo comporterà la conversione di tutti gli ebrei. I cristiani considerano sacra la Bibbia ebraica, ma la leggono in modo diverso dagli ebrei. Per questo e per altri motivi, gli ebrei hanno un posto unico nella teologia cristiana e quindi anche nella civiltà cristiana. Nel corso dei secoli, ciò che gli ebrei fanno è sempre stato un argomento d'interesse centrale per i cristiani.
La storia ha accentuato questo interesse. Durante la maggior parte dei tempi medievali e moderni, gli ebrei erano gli unici non cristiani che la maggior parte degli europei avesse mai conosciuto. E si distinguevano: si vestivano in modo diverso, praticavano riti religiosi esotici e vivevano in comunità separate. Come cospicua minoranza religiosa con un ruolo cruciale nella teologia cristiana, gli ebrei sono sempre stati sproporzionalmente importanti in Europa.
Negli ultimi tempi, si sono verificati due sviluppi che hanno modificato questa immagine. Innanzitutto, gli Stati Uniti hanno ereditato, con alcune modifiche, l'interesse europeo per gli ebrei. In secondo luogo, Israele ha ereditato la visibilità legata agli ebrei d'Europa. Ma mentre gli ebrei d'Europa hanno attirato l'attenzione per essere differenti, gli ebrei del Medio Oriente, paradossalmente, attirano l'attenzione per essere familiari. Lo Stato d'Israele, fondato da coloni provenienti dall'Europa, è la nazione più occidentale della sua regione. Di conseguenza, per un americano, è il Paese più comprensibile del Medio Oriente. (La maggioranza orientale emergente in Israele non cambia questo, perché la cultura politica dominante rimane quella stabilita dai pionieri all'inizio del secolo.) Le speranze e le paure degli israeliani sono molto più accessibili agli americani rispetto a quelle dei loro vicini.
La relativa familiarità di Israele fa ancora più differenza per i giornalisti che non hanno competenza in fatto di Medio Oriente. I media non fanno eccezione alla regola generale secondo cui le istituzioni americane creano generalisti. Un dipendente fa carriera nella sua organizzazione ruotando spesso e mostrando capacità in numerose mansioni. Di conseguenza, i reporter americani inviati in Medio Oriente sono quasi sempre dei novellini riguardo all'argomento e alla cultura della regione di cui si devono occupare. La familiarità di Israele, contrariamente al carattere esotico della vita musulmana, rende lo Stato ebraico ancora più seducente: questo è un Paese che i giornalisti credono di poter capire. E inoltre, come rileva S. Abdallah Schleifer, è anche un Paese del Medio Oriente dove il corrispondente può trovare una fidanzata.
Israele ha altresì l'unico governo democratico e la sola società aperta del Medio Oriente: e come tale, offre ai media internazionali opportunità non disponibili altrove. (Il governo libanese è stato più o meno democratico, a seconda delle circostanze; la stampa poteva agire liberamente, entro i limiti stabiliti dal governo siriano e dall'OLP.) I giornalisti israeliani, essendo essi stessi di spirito indipendente e attivi, forniscono ai loro colleghi molte idee per i report. Poiché molti giornalisti americani sono indolenti quando si tratta di perseguire tutte le parti del conflitto in Medio Oriente, si concentrano sulle questioni israeliane.
Nei Paesi arabi (talvolta chiamati dai giornalisti ("l'arco del silenzio"), i giornalisti sono normalmente sottoposti a severi controlli statali. Il governo siriano di Hafiz al-Asad potrebbe devastare una delle sue città, Hama, senza che fuoriesca una foto. In Arabia Saudita, il riserbo che circonda la famiglia reale ha indotto un funzionario dell'ambasciata americana ad affermare che "imparare il linguaggio arcano dei manifesti murali affissi a Pechino o quantificare le immagini del Primo Maggio a Mosca per vedere chi entra e chi esce è molto più semplice che lavorare in Arabia Saudita". Anni dopo, l'occupazione della Grande Moschea della Mecca, avvenuta nel novembre del 1979, rimane un enigma. Chi erano quelle persone e cosa speravano di ottenere? I resoconti di quanto accaduto attribuiscono l'occupazione a tutti: dai marxisti ai fondamentalisti islamici. Nei Paesi arabi, i fatti sono fuorvianti, soprattutto per coloro che non hanno familiarità con la lingua e con la cultura.
Per tutte queste ragioni e molto altro ancora – il dramma della sua nascita, la rinascita della lingua ebraica, l'aliyah degli ebrei da tutto il mondo, le associazioni religiose secolari della terra – Israele attira l'attenzione in modo sproporzionato da parte dei media americani.
Riflettori puntati sugli Stati Uniti
Il secondo centro dell'attenzione mediatica statunitense – gli stessi Stati Uniti – necessita di poche spiegazioni. Gli americani hanno enormi interessi economici, politici e militari in Medio Oriente. Le aziende energetiche fanno affari nella maggior parte dei Paesi dell'area e le attrezzature petrolifere sono quasi onnipresenti. Circa cinque sesti di tutti gli aiuti esteri da parte degli Stati Uniti vanno soltanto a quattro paesi del Medio Oriente (Turchia, Israele, Egitto e Pakistan), oltre alla Grecia. Le istituzioni americane di istruzione superiore sono situate a Istanbul, Beirut e al Cairo. Enormi quantità di armi statunitensi sono andate dal 1971 a Israele, ai suoi vicini e alla regione del Golfo Persico. Il Comando centrale fu istituito nel 1980 per coordinare le forze di intervento rapido nelle aree del Golfo Persico e dell'Oceano Indiano. Nel 1981 e nel 1983, accordi di cooperazione strategica vennero firmati con Israele. I Marines americani, le navi e gli aerei per proteggerli stazionarono in Libano dal 1982 all'inizio del 1984. E così via.
La presenza di un team americano all'estero distorce il modo in cui i giornalisti statunitensi si occupano del Medio Oriente. Essi perseguono gli interessi del loro Paese in un modo che, ad esempio, è vietato ai giornalisti canadesi per quanto concerne il Canada. I reporter americani riconoscono apertamente questa propensione. Larry Pintak, corrispondente a Beirut di CBS News, lo spiega molto brevemente: "Finché i Marines sono stati in Libano, la CBS doveva essere lì".
I problemi sorgono quando il punto di vista degli Stati Uniti arriva a dominare: gli americani trovano più interessante leggere di se stessi piuttosto che degli stranieri. È terribilmente facile per loro perdere di vista la questione principale a favore del ruolo degli Stati Uniti. I giornalisti sono i primi a cadere in questa trappola.
Ad esempio, quando venne fatto un sondaggio tra i giornalisti americani sulla notizia più importante del 1983, essi scelsero di gran lunga l'attentato dinamitardo del 23 ottobre alla caserma dei Marines a Beirut, che fece 241 vittime. Questo è logico da una prospettiva americana, perché fu la più grande perdita di vite umane da parte dell'esercito statunitense, dopo la guerra del Vietnam. Ma da un punto di vista mediorientale fu una scelta sorprendente. L'attentato dinamitardo alla caserma dei Marines, per quanto tragico, provocò solo qualche altra vittima in una guerra civile iniziata nel 1975. Le morti furono significative solo nella misura in cui scossero la risolutezza degli Stati Uniti a mantenere forze di terra in Libano. I giornalisti americani erano molto meno interessati alle vicende accadute nel 1983 che non riguardavano gli Stati Uniti, anche se erano molto più importanti per il Medio Oriente: la transizione pacifica alla democrazia in Turchia; il fallimento delle trattative per la riconciliazione nazionale in Libano; le dimissioni del primo ministro Begin in Israele; l'incontro Arafat-Mubarak in Egitto; il rifiuto del piano Reagan da parte di re Hussein; la scissione dell'OLP; il piazzamento di missili contraerei SA-5 e di tecnici sovietici in Siria, per citarne soltanto alcuni.
Quando i giornalisti americani si concentrano sul coinvolgimento diretto del loro Paese, incoraggiano il resto della nazione a fare altrettanto. Questo causa due problemi. Innanzitutto, gli argomenti internazionali diventano nazionali. Ciò che inizia come dei disaccordi tra gli Stati Uniti e i governi stranieri finisce per trasformarsi in dispute interne. Dopo che i Marines assunsero un ruolo attivo in Libano, nel settembre del 1983, il problema principale negli Stati Uniti è diventato il loro dispiegamento. Con la morte di ogni soldato, il dibattito interno (sulla Risoluzione che limita i poteri di guerra e le questioni correlate) ha acquisito maggiore importanza e le questioni internazionali hanno perso terreno. Nel giro di pochi mesi, l'ambasciatore libanese negli Stati Uniti, 'Abdallah Bouhabib, ha osservato con un certo sgomento che i leader americani erano "interessati solo a discutere della questione dei Marines. Non parlano più del Libano: di riconciliazione nazionale, di rafforzamento del governo. (...) La questione si limita ai Marines e non al Libano". Trasformare le questioni mediorientali in dibattiti interni mina gli sforzi degli Stati Uniti intesi a formulare una politica efficace: poiché gli americani prestano meno attenzione ai fini e più ai mezzi, gli obiettivi che raggiungono sono meno numerosi.
In secondo luogo, concentrarsi sugli Stati Uniti significa valutare gli eventi in Medio Oriente attraverso il prisma degli interessi americani. Dal gennaio 1978 al gennaio 1981, la stampa fuorviò gravemente il pubblico descrivendo gli avvenimenti in Iran alla luce del coinvolgimento degli Stati Uniti lì. Mentre il regime dello Scià vacillava, la sicurezza dei cittadini americani residenti in Iran divenne la preoccupazione principale. Pertanto, la caduta dello Scià venne valutata in termini di affari americani, di capacità militati americane, di relazioni statunitensi con l'URSS e di prezzi del petrolio negli Stati Uniti. La stampa discusse anche a lungo del ruolo del governo statunitense nel regime dello Scià e di ciò che Washington avrebbe potuto fare per impedire la sua caduta. Indipendentemente dal comportamento degli iraniani, gli interessi americani sono sempre rimasti in primo piano.
L'assalto all'ambasciata americana a Teheran, nel novembre del 1979, mise da parte tutte le altre questioni in Iran. Per quindici mesi, la storia degli ostaggi dominò ogni aspetto dei reportage dall'Iran. Ma la tendenza dei media americani a presentare ogni cosa che accadeva in Iran come orbitante intorno al problema degli ostaggi era peggiore dell'eccessiva attenzione prestata a questioni come chi aveva visto gli ostaggi e che cibo avevano mangiato a Natale. Il dramma dell'ambasciata, che era un sintomo (e non una causa) di una grande lotta per il potere a Teheran, venne visto dagli americani come un fine in sé, anzi, come la questione centrale della politica iraniana. Il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti portò in questo caso, e non per la prima volta, a una comprensione profondamente errata degli eventi in Medio Oriente.
L'insidia opposta è altrettanto pericolosa. Se gli americani non sono direttamente coinvolti in un problema, beh, questo scompare dalla stampa. Due conflitti – la guerra Iran-Iraq e l'invasione sovietica dell'Afghanistan – hanno avuto luogo a lungo in assenza della partecipazione militare degli Stati Uniti o anche in mancanza di un importante ruolo diplomatico degli Stati Uniti. Com'era prevedibile, entrambi sono stati trascurati dalla stampa americana. In termini di perdite di vite umane, la guerra tra Iran e Iraq è stata la quarta guerra più costosa del XX secolo (dopo le due guerre mondiali e il conflitto in Indocina). I leader iraniani hanno minacciato di bloccare le esportazioni di petrolio dal Golfo Persico, il che avrebbe portato a una carenza di milioni di barili di greggio al giorno sul mercato mondiale. Ma la perdita di vite umane e la sicurezza petrolifera sono due problemi distanti quando gli Stati Uniti non sono coinvolti; i giornali hanno trattato superficialmente le notizie sull'andamento del conflitto bellico (in genere nient'altro che cronache sommarie di vittime in città sconosciute) che perfino i lettori più affezionati hanno perso interesse. Per quanto riguarda l'Afghanistan, i giornalisti americani si sono precipitati lì poco dopo l'invasione sovietica, in parte probabilmente perché prevedevano un ruolo diretto degli Stati Uniti; quando ciò non è avvenuto, la stampa ha perso interesse per la storia degli abitanti dei villaggi che combattevano le truppe sovietiche.
Le difficoltà di accesso alle aree di combattimento in Iraq, Iran e in Afghanistan non spiegano questa scarsità di notizie. Quando i giornalisti si interessano a una questione non vengono scoraggiati dalle restrizioni governative. In Iran, ad esempio, dopo che i giornalisti americani vennero espulsi il terzo mese della crisi degli ostaggi, i media statunitensi mantennero la copertura informativa quasi ininterrottamente grazie ai cittadini non americani. E in Afghanistan, per chiunque sia determinato a prestare attenzione mediatica alla guerra, c'è la strada da percorrere a piedi dal Pakistan. Il livello dell'interesse americano a questi due conflitti probabilmente sarebbe rimasto pressoché inalterato se un alleato come la Francia avesse appoggiato militarmente il regime iracheno o avesse inviato armi ai ribelli afgani. Ma se gli Stati Uniti avessero adottato una di queste iniziative, l'interesse sarebbe salito alle stelle dimostrando ancora una volta che il coinvolgimento americano fa più notizia del motivo di tale coinvolgimento.
Ripercussioni internazionali
Il ruolo dei media americani nel plasmare l'opinione pubblica statunitense e nell'influenzare le politiche di Washington richiede poca elaborazione, ma il loro impatto all'esterno del Paese è meno noto. In larga misura, hanno stabilito il programma per il resto del mondo. Ciò che riportano gli inglesi o i giapponesi fa notizia in pochi altri Paesi, ma affinché un avvenimento guadagni importanza internazionale deve essere segnalato dalle principali associazioni di stampa statunitensi. Le notizie, come i soprani, devono arrivare a New York. non importa quale sia la provenienza, un sigillo americano trasforma una notizia in un avvenimento di prim'ordine.
Pertanto, l'assalto all'ambasciata americana a Teheran fece scalpore ovunque perché la notizia fu ampiamente diffusa negli Stati Uniti. Nello stesso Iran, l'occupazione dell'ambasciata assunse un'importanza molto maggiore a causa dell'attenzione prestata dagli Stati Uniti. Ma quando sessantasei cittadini cecoslovacchi sono stati catturati dalle forze UNITA in Angola, nel marzo del 1983, la copertura mediatica fuori dalla Cecoslovacchia è stata praticamente nulla. Alla domanda sulla contrapposizione con l'attenzione prestata agli ostaggi americani, Zdenek Porybny, caporedattore esteri del Rude Pravo, il più importante giornale cecoslovacco, si è lamentato dell'"egocentrismo dei mass media americani" e ha osservato che un solo prigioniero americano è una notizia importante "ma non è così quando 66 cecoslovacchi vengono catturati come ostaggi. Riteniamo che se la stampa internazionale fosse stata più attiva, [UNITA] avrebbe liberato gli ostaggi molto prima".
Il mondo intero è influenzato dal modo in cui la stampa americana si occupa del Medio Oriente. L'eccessiva attenzione rivolta a Israele e agli Stati Uniti si diffonde altresì in altri Paesi. Anche i cinesi – che non hanno alcun interesse storico per Israele e che sono maggiormente interessati alle azioni sovietiche che a quelle americane – tendono a soffermarsi su Israele e sugli Stati Uniti. Le stesse popolazioni del Medio Oriente, che dovrebbero avere le loro opinioni sugli affari regionali, sono profondamente influenzate dalla loro esposizione ai media americani e così anche loro si soffermano sugli stessi due argomenti.
In questo modo i media non solo riportano le notizie sul Medio Oriente, ma addirittura le creano. Settimane di attenzione prestata a Sabra e Shatila hanno esacerbato una crisi per il governo di Israele. La poca attenzione rivolta all'invasione sovietica dell'Afghanistan ha contribuito a minare le forze di resistenza. Le duplici preoccupazioni della stampa americana hanno distolto l'attenzione degli Stati Uniti, dei loro alleati e dei loro amici dai problemi importanti e l'hanno rivolta alle piccole questioni, e questo ha avuto numerosi effetti dannosi.
Per uno storico del Medio Oriente, gran parte di ciò che i media trovano importante deve essere scontato. Lo storico è in grado di discernere tra i materiali messi a disposizione dai giornalisti, ma deve ignorare accuratamente le loro priorità e le interpretazioni, che spesso si rivelano fuorvianti, o peggio.
Aggiornamento dell'1 febbraio 1988: Alcune statistiche confermano che i giornalisti americani sono ancora interessati principalmente a due argomenti in Medio Oriente: Israele e gli Stati Uniti. Nel gennaio del 1988, il secondo mese dell'Intifada palestinese, tre emittenti americane hanno dedicato una parte sorprendentemente ampia di notizie serali agli avvenimenti di cronaca in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Secondo l'A.D.T. Research di New York, l'ABC ha dedicato 67 minuti ai palestinesi e 5 minuti alla questione del ritiro sovietico dall'Afghanistan. NBC ha dato loro 50 minuti e solo 10 minuti ai caucus dello Stato dell'Iowa in vista delle elezioni presidenziali. Alla CBS, gli stessi argomenti hanno ricevuto rispettivamente 48 e 16 minuti.
Aggiornamento del 17 novembre 2009: Da oggi Google News offre un esempio drammatico della notiziabilità di Israele.
Le prime due tematiche trattate da Google News, il 17 novembre 2009, riguardano Israele. |