Con la schiavitù che è tornata alla ribalta, grazie alla sua fioritura in Sudan e in Mauritania, la scrupolosa e vivace ricerca di Ennaji su questo fenomeno presenta un interesse storico e al contempo attuale. Qual è esattamente la condizione degli schiavi nei paesi musulmani e come ha avuto fine questo flagello sociale?
Facendo un ampio uso degli Archivi di Stato del Marocco, l'autore può fornire una ricchezza di dettagli, forse senza precedenti, che gli permette di delineare l'istituto della schiavitù in paese musulmano. Egli considera la pratica della schiavitù di una diversità sconcertante, poiché gli schiavi dell'élite disponevano di competenze e utilizzavano beni che erano al di là della portata della persona media libera (ad esempio, accompagnando il loro padrone nel pellegrinaggio alla Mecca); uno schiavo particolarmente istruito e pio si guadagnò "il più profondo rispetto" di tutti quelli che lo incontrarono: infatti, la maggior parte gli baciavano la mano! All'estremo opposto, i braccianti agricoli sembravano vivere e lavorare in condizioni non troppo differenti da quelle della parte meridionale dell'America. I ricchi formavano e istruivano i loro schiavi, sia per dei fini economici sia per il loro piacere personale; i poveri si arrangiavano come potevano. Gli schiavi più apprezzati erano le donne geisha che potevano intrattenere i loro padroni in pubblico e in privato; esse talvolta godevano di benefici maggiori rispetto alla moglie. Gli schiavi maltrattati costantemente scappavano – "i fuggiaschi facevano parte del paesaggio itinerante"; al contrario, quelli che venivano trattati bene erano fedeli come "cani", come dice in modo maldestro un osservatore francese. Come simbolo dell'impotenza dello schiavo, il padrone poteva cambiare casualmente il suo nome da un anno all'altro o da un giorno all'altro. Le schiave servivano i loro padroni come concubine e per procreare figli. Le donne schiave erano più numerose degli uomini in una proporzione di 2 a 1. L'emancipazione era abbastanza rara.
Nonostante questa varietà, Ennaji azzarda qualche generalizzazione: "La brutalità faceva parte della loro vita quotidiana". Gli schiavi simboleggiavano il potere dei loro padroni. L'istruzione e le competenze "hanno creato una gerarchia fra gli schiavi, rendendo più profonde le differenze di trattamento" tra loro. Gli schiavi tremavano all'idea di essere mandati nei mercati per essere venduti ("niente eguagliava la tristezza di una vendita di schiavi"); e il valore degli schiavi diminuiva man mano che loro età avanzava.
Per quanto riguarda l'abolizione della schiavitù, Ennaji mostra che l'istituto della schiavitù è scomparso nella prima metà di questo secolo, non tanto a causa del Protettorato francese (che ha trovato più facile la politica di continuare questa pratica, così popolare tra i potenti del paese – e presente anche tra qualche residente francese) quanto invece per una mancanza di approvvigionamento. La schiavitù "è scomparsa non per editto ma per forza di cose". Viste le condizioni attuali della guerra in Sudan e della schiavitù endemica della Mauritania, questo non è un buon segno.