Beinen e Lockman offrono una lettura eccentrica della storia egiziana dal periodo che intercorre fra la colonizzazione britannica e l'ascesa al potere di Gamal 'Abd al-Nasir (Nasser). Gli autori sostengono due punti di vista principali: gli inizi del Novecento hanno visto il proletariato urbano "costituire una nuova classe sociale" e alla fine degli anni Quaranta questa classe era diventata "una forza altamente visibile e importante nella società egiziana".
Il primo punto non è altro che una questione di semantica (soprattutto quando si ha a che fare con un paese per niente industrializzato, come lo era l'Egitto nel 1900), e pertanto c'è poco da discutere. Ma il secondo punto è palesemente falso, poiché i dati forniti dagli autori mostrano che gli sforzi della classe operaia furono ripetutamente vanificati – per mano degli industriali, dei funzionari governativi o a causa dei Fratelli musulmani. Inoltre, Beinen e Lockman ammettono che Gamal 'Abd al-Nasir distrusse il potere degli operai nel "compromesso storico" del 1954. Il che ne fa solo "una forza politicamente rilevante" e il sottoscritto dopo aver letto questo volume di oltre quattrocento pagine ha la netta sensazione che è davvero così.
Forse la chiave dell'obiettivo alla base di questa strana impresa si trova nella dipendenza dei due autori da termini come "interpretazioni accademiche egemoniche [ossia non marxiste] della storia mediorientale", "il sistema capitalista mondiale", "il modo di produzione capitalistico", "i compradores" e "la classe reazionaria e parassitaria dei grandi proprietari terrieri". L'utilizzo di queste vecchie locuzioni sta a indicare che questo non è un libro sull'Egitto quanto piuttosto una dichiarazione enunciata all'interno del mondo chiuso degli studiosi marxisti.