Mitchell, docente di politica alla New York University, ha scritto un libro sorprendente. Egli fornisce un'interpretazione del processo coloniale attingendo a vaste letture di osservatori del XIX secolo (tra cui Lord Cromer, Gustave le Bon, Husayn al-Marsafi e Ali Mubarak) e di teorici contemporanei francesi (soprattutto Jacques Derrida e Michael Foucault). Il risultato è una tesi sottile quasi evanescente che si può sintetizzare così: l'azione europea di soggiogare l'Egitto ha comportato l'imposizione di un ordine simile ma estraneo a ogni aspetto della vita egiziana – dal riordino delle case dei villaggi alla filosofia dell'educazione. Se c'era un elemento comune a tutte queste iniziative, beh, quello era la creazione di forme esterne europee, cornici in cui inserire la vita della gente del posto, neutralizzandola, rendendola perfino ridicola, e svigorendola.
Il tentativo di Mitchell di creare un costrutto teorico è brillante e i suoi dettagli sono affascinanti (soprattutto gli esempi specifici portati alla luce dal lontano secolo scorso come le descrizioni dell'Esposizione universale di Parigi del 1889 e del metodo d'insegnamento Lancaster). Ma il suo tentativo è profondamente sbagliato e anche perverso. Prendiamo la questione degli egiziani che si rifiutano di adottare la carta stampata fino al XIX secolo. Mitchell respinge la solita spiegazione: oscurantismo e conservazione del potere. Piuttosto, egli ricorda la pratica musulmana di recitazione e spiegazione del testo, e poi sostiene che questa tradizione potrebbe essere dovuta al fatto che gli studiosi lancino degli incontrollati anatemi contro l'editoria. Quello di Mitchell è un tentativo coraggioso, ma fallisce per due motivi. Innanzitutto, egli non fa altro che specificare i motivi dell'oscurantismo; in secondo luogo, ogni scritto non è un "testo" che ha bisogno di spiegazioni e non tutta l'opposizione è opera degli studiosi: l'opposizione alla carta stampata ha avuto delle radici ben più profonde e più ampie di quello che Mitchell presume.
Per tutte le sue pecche (e ce ne sono molte, tra cui l'uso esasperante e del tutto inutile del pronome di prima persona in ogni pagina), Colonizzare l'Egitto offre un nuovo approccio all'interpretazione della storia moderna del Medio Oriente. Ma la cosa ancor più importante è che essa richiede una risposta.