Le origini del volume La modernizzazione in Medio Oriente risalgono alla pubblicazione del 1996 di Black Le dinamiche della modernizzazione. L'autore ha poi fatto seguire a questo classico della teoria della modernizzazione quattro volumi che si occupano della Russia e della Cina, del Giappone, dell'Asia interna e ora del Medio Oriente. Naturalmente, sono cambiate molte cose dal 1996, in termini di comprensione del processo di modernizzazione, ma a Black va riconosciuto il merito di stare al passo coi tempi.
Detto questo, il volume in questione è meno interessante per la sua interpretazione della modernizzazione della sua visione del Medio Oriente moderno. Ispirati in gran parte dall'altro curatore, Brown, i contributi contenuti nel libro pongono l'accento a giusto titolo sul retaggio ottomano del Medio Oriente e sottolineano la sua importanza permanente per la politica della regione. In alcuni brani, si esagera il suo ruolo (ad esempio, là dove si ravvisa negli sviluppi pan-arabi "la speranza nostalgica per la più ampia unità politica che l'Impero ottomano un tempo rappresentava"), ma l'enfasi è ben riposta. Essi hanno ragione a considerare l'area afro-asiatica ottomana come "la sola area culturale" e a isolare le sue caratteristiche. Tra quest'ultime si riscontra il potere politico che dà accesso alla ricchezza economica e non viceversa; l'assenza della società civile (le istituzioni fra lo Stato e gli individui ); una confusione tra l'opposizione politica e il tradimento; una netta divisione tra la cultura del centro e della periferia; e la politica del vincitore che prende tutto.
Gli autori sintetizzano i precedenti della modernizzazione del Medio Oriente con la frase "sviluppo disgiuntivo". La gente è più abile rispetto alla media, ma le strutture politiche sono più tiranniche; la ricchezza è maggiore, ma è anche vero che è più dipendente dall'esterno; nel complesso, il potenziale è grande ma la strada verso il successo non è assicurata.