La Simon ha individuato 500 thriller scritti in inglese e ambientati in Medio Oriente. Alcuni di questi (Mantello verde di John Buchan e La tamburina di John Le Carré) sono celebri; altri sono poco conosciuti, pieni di antichi stereotipi ("i loro visi loschi e scuri di carnagione li facevano immediatamente identificare come arabi") e di complotti assurdi (Cobalt 60 di Richard Grave racconta la storia di un emiro che si fa passare per un fotografo tedesco e tenta di uccidere i leader americani lanciandogli addosso delle graffette radioattive; Casbah Killers di Nick Carter tratta di un complotto berbero, appoggiato dai comunisti cinesi, per invadere l'Europa attraverso un tunnel sotto Gibilterra).
Con eleganza e senso dell'humour, la Simon evidenzia le principali caratteristiche dei thriller (i loro complotti, gli eroi, i criminali) e tira un certo numero di conclusioni sugli atteggiamenti britannici e americani nei confronti del Medio Oriente. Come si addice a una storica, l'autrice mostra altresì come questi atteggiamenti siano cambiati dalla Prima guerra mondiale.
Emergono certe costanti: gli anglofoni s'interessano al Medio Oriente se ciò li tocca; malgrado decenni di sforzi, il razzismo resta profondamente radicato nella mentalità popolare e la paura di un Islam rinascente ha una forza speciale perché evoca secoli di ricordi – anche se la natura della minaccia non è più militare ma economica. Certo, non è una bella immagine; ma poiché le attitudini popolari influenzano la politica, beh, di questo i politici ne devono tenere conto.