Potrebbe sembrare che le relazioni degli Stati Uniti con il Medio Oriente siano cominciate nel 1973 o nel 1945, ma in realtà esse hanno avuto un ruolo molto importante nei primi quarant'anni di vita del Paese. A quell'epoca, tuttavia, il mondo musulmano non era circoscritto al Levante e al Golfo Persico ma agli "Stati barbareschi" del Nord Africa che in quello stesso periodo catturarono circa settecento americani da trentacinque navi.
La cattura di questi americani crea un modello ovvio e impressionante, poi seguito in occasione del sequestro del 1979-1981 dell'ambasciata americana a Teheran e della crisi degli ostaggi occidentali in Libano tra il 1982 e il 1992. Sia il governo sia l'opinione pubblica hanno discusso la scelta delle tattiche (non fermarsi davanti a nulla per liberarli o mostrare indifferenza per sminuire la loro importanza?) Allora come oggi, le azioni dei regimi mediorientali hanno avuto delle profonde ripercussioni sugli atteggiamenti americani verso l'Islam; in entrambe le ere, l'opinione pubblica americana ha dedicato un'attenzione eccessiva al destino di un piccolo numero di prigionieri, trasformando la loro condizione in un trauma nazionale. E in entrambe le epoche, gli europei hanno guardato con stupore all'ossessione americana.
Questa storia è stata raccontata molte volte in passato ma Allison va oltre la narrazione politica per inserirla in un contesto culturale americano. L'autore, ad esempio, riassume numerose vicende sull'argomento dei prigionieri e mostra come l'oltraggio alla "schiavitù" dei bianchi americani in Barberia abbia avuto un impatto sul dibattito in merito alla schiavitù fin troppo reale nel sud degli Stati Uniti.