Diversamente dal conflitto arabo-israeliano – una controversia di vecchia data oggetto di studi approfonditi – la guerra Iran-Iraq è recente e poco conosciuta. Un esperto analista del governo che di recente ha cominciato a scrivere pubblicamente con il proprio nome, Anthony Cordesman, è forse lo scrittore più utile sull'argomento e questo studio potrebbe essere il suo libro migliore.
L'analisi di Cordesman s'incentra sull'equità del conflitto: "La guerra è al suo settimo anno proprio perché le forze militari e le capacità strategiche di entrambe le parti sono rimaste in stretto equilibrio". Entrambi i Paesi sono stati sfruttati al massimo delle loro possibilità; in ambedue le nazioni, le provviste alimentari sono state progressivamente ridotte a fronte di maggiori spese militari. Se il caso o un solo errore militare potrebbero decidere le sorti della guerra, il fervore rivoluzionario e la geografia favorevole dell'Iran rendono il conflitto assai meno vulnerabile. Questo giustifica una cauta strategia irachena che rasenta la stasi.
L'autore è pessimista sulle condizioni postbelliche, perché egli crede che la guerra possa incoraggiare un'impennata a lungo termine del separatismo turco in Iraq e un declino a lungo termine del tenore di vita in Iran. Una sconfitta irachena potrebbe anche spaccare quel Paese a livello religioso. E anche se egli definisce il disaccordo territoriale che c'è dietro la guerra "stupido e vano", prevede però che esso continuerà anche dopo il cessate il fuoco.
Le raccomandazioni politiche di Cordesman meritano molta attenzione: l'Occidente "può permettersi di aspettare e di agire nel proprio interesse. (…) Ciò che è necessario è una politica occidentale coerente ed equilibrata nei confronti di entrambe le nazioni – proteggendo l'Iraq dalla sconfitta pur mantenendo l'offerta di migliori legami economici e relazioni con l'Iran".