Zürcher, docente di storia all'Università di Amsterdam, ha scritto una storia sintetica della Turchia nei due secoli che vanno dal 1789 al 1991. Il volume probabilmente diventerà un classico in lingua inglese sull'argomento perché è agile, esaustivo e attendibile. Guardando ai Giovani turchi e ad Atatürk come se fossero un solo periodo storico, che si estende dal 1908 al 1950, esso offre delle preziose idee nuove su una fase storica di cui si è appreso poco. Per quanto concerne il futuro, Zürcher sostiene saggiamente che i due principali problemi del Paese sono l'inflazione e la questione curda.
Allo stesso tempo, il testo riflette i pregiudizi anti-turchi purtroppo così diffusi fra gli europei. Sulla questione incendiaria del genocidio armeno durante la Prima guerra mondiale, egli scrive che "quest'autore è quantomeno dell'opinione che ci sia stata una politica di sterminio controllata centralmente, istigata dal Cup, il Comitato per l'Unione e il progresso [ossia la leadership in alto]". Senza condannare Atatürk, Zürcher gli fa abbassare la cresta. Nel volume apprendiamo che il suo governo aveva "tendenze totalitarie". Leggiamo che la sua ideologia "mancava di coerenza (…) e di richiamo emotivo". In un altro brano scopriamo che la sua interpretazione del movimento nazionale turco "altera il quadro storico". Piuttosto che assumere quest'atteggiamento riluttante, sarebbe stato più utile che l'autore (e gli europei in generale) avesse celebrato la Repubblica di Turchia come una storia di successo e come un modello per il mondo musulmano da emulare. I turchi hanno bisogno di questa spinta; e il mondo esterno ha molto bisogno che essi abbiano successo nel loro audace esperimento ataturkista.