Quando la guerra con l'Iraq infuriava, in che modo la Repubblica islamica ha mobilitato e motivato il proprio popolo alla sopportazione e al fare dei sacrifici? Com'era prevedibile, mostra la Gieling dell'Università cattolica di Nimega, Ankara l'ha fatto sacralizzando il conflitto in nome dell'Islam. Basandosi sui discorsi e sui sermoni pronunciati dai leader politici e su altre piccole cose (gli slogan sui tabelloni pubblicitari, i nomi delle operazioni e delle unità militari), l'autrice dimostra in modo convincente in uno studio ben strutturato come l'Islam sia stato importante nel giustificare lo sforzo bellico e nello spingere gli iraniani a sostenerlo.
In tal modo, la Gieling pone l'accento sulla guerra intesa come un jihad (combattimento autorizzato dall'Islam) e non come un compito facile visto che il jihad è normalmente ingaggiato contro i non-musulmani (e il 95 per cento degli iracheni è musulmano). Per aggirare quest'ostacolo, il governo ha tracciato un'analogia con la guerra combattuta da 'Ali, il genero del Profeta Maometto, contro i suoi avversari musulmani. In effetti, l'immagine di 'Ali come guerriero "è stato un fattore importante negli sforzi per mobilitare la popolazione iraniana". I paragoni con i musulmani del passato hanno sortito altresì l'effetto intelligente di permettere una guerra di aggressione contro Saddam Hussein: la guerra con l'Iraq "non si è basata esclusivamente sul fatto che l'Iran era stato attaccato e che pertanto si difendeva. Si è anche fondata sul fatto che era stata ordinata da Dio". E quando nel 1988 arrivò il momento di accettare un cessate il fuoco, anche questo fu spiegato in termini islamici.
Le autorità iraniane hanno enfatizzato non solo le linee generali dell'Islam ma anche i dettagli. Ad esempio, esse hanno cercato di rafforzare la loro stessa legittimità imitando i califfi di un tempo: se questi ultimi pronunciavano dei sermoni appoggiandosi a una spada, le autorità iraniane lo facevano imbracciando un Kalashnikov. Nel complesso, la campagna è sembrata funzionare, poiché la popolazione iraniana ha combattuto, pagando un caro prezzo, con sei anni di guerra offensiva.