Drysdale e Hinnebusch offrono due argomenti principali, uno perfettamente sensato, l'altro esposto a gravi dubbi. Essi screditano a giusto titolo la tendenza a ignorare il ruolo della Siria nel conflitto arabo-israeliano, sostenendo che "non ci può essere nessuna pace globale, duratura o stabile in Medio Oriente senza una pace siro-israeliana". "A mo' di sostegno di questa tesi, si noti l'influenza siriana sui palestinesi, sul Libano e sulla Giordania".
Gli autori indeboliscono la loro tesi affermando contro quasi ogni evidenza, che il governo siriano accetta che Israele sia lì per rimanere e ritiene che un equo accordo di pace soddisfi i suoi stessi interessi. E ancora meglio: essi sostengono che Damasco "è pronto a fare pace con Israele alle giuste condizioni; che il tipo di pace che si vuole sia realistica e realizzabile; e che tale pace potrebbe essere offerta dal regime di Hafez al-Assad e confermata dai suoi successori".
Lo studio termina con delle raccomandazioni politiche per il governo americano: chiedere un ritiro israeliano dalle alture del Golan, coinvolgere attivamente la Siria nel processo diplomatico, non escludere Mosca, non disperare quando le cose vanno male e porre fine alla corsa agli armamenti. Anche se, di fondo, è ineccepibile, la cosa sorprendente di questi suggerimenti è quanto abbiano poco a che fare soprattutto con la Siria; in particolare, Drysdale e Hinnebusch non dicono una parola riguardo a questioni come i diritti umani, il terrorismo, il traffico di droga e l'occupazione siriana del Libano.